Avvenire, 8 luglio 2025
Ancora allerta pioggia Ma non chiamiamole “bombe d’acqua”
Abbiamo un problema con le “bombe d’acqua” ed è un problema tutto italiano e non meteorologico. Il fatto è che, come gli scienziati che si occupano di meteorologia provano invano a ricordarci da anni, le bombe d’acqua non esistono. Quelle piogge improvvise, abbondanti e anche devastanti che hanno colpito l’Italia negli ultimi giorni dopo il grande caldo della scorsa settimana sono nubifragi, particolarmente forti e concentrati su una singola zona.
Renzo Rosso, ordinario di Costruzioni idrauliche e marittime al Politecnico di Milano che ha messo l’espressione “bombe d’acqua” anche nel titolo di un suo libro di qualche anno fa, ammette in un’intervista che «bomba d’acqua è un sintagma del tutto scorretto usato solo nel nostro Paese, ma ormai entrato nel lessico comune. Nacque dopo l’alluvione versiliese del giugno 1966, un evento molto particolare e straordinariamente intenso, forse una traduzione di “cloudburst”, anche se quell’evento non fu esattamente un cloudburst». Si tratterebbe di una traduzione sbagliata, perché la parola cloudburst – che definisce un evento in cui più di 100 mm di pioggia cadono in meno di un’ora, spesso in un’area molto ristretta – è il composto di cloud, cioè nuvola, e burst, che significa scoppio. Un’etimologia che coincide con il composto latino nubifragio, che mette assieme nubes (nuvola) e fragium (rottura).
L’ostinazione della stampa italiana a parlare di bombe d’acqua, soprattutto dal 2000 in avanti, ogni volta che si verificano forti temporali con effetti pesanti, ha convinto anche la Treccani a inserire l’espressione tra i neologismi del 2014. Dovessimo provare a tradurla, per esportare questa espressione nel resto del mondo, nessuno ci capirebbe: gli inglesi chiamano waterbomb i nostri gavettoni, i palloncini riempiti d’acqua dai bambini per tirarseli in spiaggia. Una bomba d’acqua è la stessa cosa per i tedeschi (che chiamano i gavettoni Wasserbombe), i francesi (che hanno le loro bombe à eau) o gli spagnoli, i cui bambini si divertono con le bomba de agua.
Può sembrare una pignoleria, e invece è una questione semantica interessante, che ci interroga sul ruolo della stampa nel descrivere il mondo che ci circonda. Perché la pioggia cade dal cielo, mentre le bombe qualcuno le lancia. Chi è che ci sta bombardando con acqua e grandine? Chi ci sta attaccando a colpi di nubifragi? Di chi siamo le vittime? «Le parole hanno un peso, un valore che spesso va al di là delle definizioni fredde dei vocabolari. Le parole evocano concetti e sensazioni, a volte tutti e due insieme. Possono aiutare a capire, ma anche confondere: insomma, vanno scelte bene. La locuzione “bomba d’acqua”, secondo me, non fa eccezione: mi induce ad immaginare l’atto di un qualcuno lontano ed invisibile che osserva, preme un bottone, e – bum! – scrive la fisica Patrizia Favaron in un intervento sul tema sul sito dell’Aisam, l’associazione italiana di scienze dell’atmosfera e meteorologia –. Certo, precipitazioni molto intense, come se ne vedono di frequente negli ultimi tempi, causano dei danni. Raccontarle alla stregua di “bombe” ci suggerisce che questi danni sono inevitabili, che l’unica cosa da fare (si fa per dire) è non trovarsi nel punto dell’esplosione. Magari, mettere uno scolapasta in testa non appena il cielo comincia ad incupirsi. Le “bombe” (di qualunque tipo), in un certo senso, liberano chi le riceve da ogni assunzione di consapevolezza, o responsabilità».
Ecco il nodo: scegliere di parlare di “bombe d’acqua” significa inquadrare il tema di questi disastri meteorologici in un contesto para-bellico. Un metodo che può aiutare a catturare l’attenzione, in un contesto mediatico in cui l’attenzione è tutto, ma che certo non aiuta nessuno a capire. Ci stiamo purtroppo abituando a questa deriva bellica del linguaggio: ci basta ricordare come durante la pandemia l’allora commissario Domenico Arcuri più volte parlò dell’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 come una sorta di guerra mondiale contro un nemico invisibile. Oggi come allora questo nemico non c’è: il clima sta cambiando, anche per gli effetti dell’attività umana, e quello che possiamo fare è intervenire per quanto possibile per contrastare il climate change e gestirne gli effetti. Sta a chi governa, a livello nazionale e locale, fare in modo di creare le condizioni perché la popolazione possa essere protetta quando avvengono grandi nubifragi. Non possiamo stare fermi ad aspettare che qualcuno smetta di tirarci “bombe d’acqua” che non esistono.