Avvenire, 8 luglio 2025
I ragazzi in colonia senza smartphone. Ma solo il 9% accede alle attività estive
Per le famiglie l’estate è la stagione più lunga. Alcuni, dovendo trovare un’occupazione per i figli per tutte le settimane della pausa scolastica, cercano l’attività più economica e vicina a casa; altri invece non badano a spese e sfruttano l’occasione per trasformare le attività estive nella migliore esperienza di benessere e detox. Da cosa? Dallo stress della scuola, compagno di viaggio di tanti bambini e ragazzi, ma anche – se possibile – dallo smartphone da cui molti hanno già sviluppato una dipendenza. O almeno è quello di cui si preoccupa l’83% dei genitori, secondo quanto rivelato da una recente indagine di Demopolis che, rispetto al 2019, registra un aumento di oltre 15 punti percentuali dell’allarme percepito da parte di mamme e papà.
Da questa consapevolezza ha preso le mosse la tendenza di cercare per i propri figli campi di disintossicazione dai social, colonie contrassegnate da attività offline o perlomeno centri estivi dove il telefono non abbia campo. In Toscana è la stessa Coldiretti a registrare il trend delle aziende agricole con fattorie didattiche che offrono esperienze di disconnessione da smartphone, social e YouTube. A Trento, nella frazione di Candriai, la cooperativa Aerat, che da sempre si occupa di colonie per ragazzi, per quest’estate ha messo a punto il campo “Besupernatural” per bambini tra gli 8 e i 13 anni il cui programma prevede giochi di squadra, attività creative e passeggiate e nemmeno un momento dedicato agli schermi. Durante la settimana di vacanza proposta dal Wwf, invece, il cellulare è permesso solo alla sera per la classica chiamata a casa. E le foto? ScuolaZoo, che offre giorni di disconnessione per ragazzi in Toscana, propone di portare con sé una macchina analogica.
Tra le proposte più strutturate c’è il campo estivo di digital detox di Fondazione Carolina che è giunto alla sua seconda edizione: quest’anno si tiene a Borgo Rubens, a due passi da Torino, ed è rivolto a ragazzi tra i 13 e i 16 anni i quali, a gruppi di dieci, possono partecipare ad escursioni, laboratori, esperienze con i cavalli e a contatto con la natura con l’esplicito obiettivo di tornare poi alla vita normale e a quella online senza eccessi. Per motivi diversi – diremmo di “ordine pubblico” e gestione dei ragazzi, più che per una specifica linea – anche gli oratori, che ospitano migliaia di ragazzi sul territorio nazionale, si sono attrezzati in tal senso e in molte realtà i cellulari vengono requisiti appena oltrepassati i cancelli e restituiti alla fine della giornata. D’altronde, quando devi correre da una parte all’altra del campo di calcio o seguire i passi dei balli di gruppo, lo schermo serve davvero a poco e al massimo rischia di fare uno scivolone.
Nel nostro Paese, però, avere o non avere il cellulare in tasca rischia di apparire solo come una questione di lana caprina. Uno studio appena pubblicato della Fondazione OpenPolis rivela che in Italia solo nove under 14 su cento frequentano un centro estivo. A rischio sono soprattutto le città con 60-100mila abitanti che, concentrando un’alta richiesta ma un numero non sufficiente di servizi, consentono l’accesso alle attività estive ad appena 5,9 minori su cento. I dati si riferiscono al 2021, quando ancora la pandemia non era del tutto superata, ma sembrano fotografare una situazione simile a quella odierna in cui tra l’altro appare una disparità geografica preoccupante. Gli utenti dei servizi estivi rappresentano il 14,5% dei giovani residenti nell’Italia nordorientale, il 12,5% in quella nord-occidentale ma solo il 6,8% al centro e appena il 3,5% al sud. Le regioni più sguarnite sono Calabria, Puglia e Campania dove meno di due ragazzi su cento frequenta attività estive. Al sud ben 15 capoluoghi non raggiungono nemmeno la soglia di un utente ogni cento bambini: significa che il 60% delle città meno attrezzate con i centri estivi si trova nell’Italia meridionale.
Il problema è che proprio chi non riesce ad accedere a iniziative estive rischia più degli altri di trascorrere lunghe ore davanti agli schermi. È ancora la Fondazione Carolina a fornire i dati: i ragazzi dagli 11 ai 17 anni stanno online tra le sei e le otto ore al giorno ma – durante le vacanze – la media aumenta fino a superare le dieci ore di connessione tra videogame, contenuti in streaming, social media e messaggistica istantanea che si concentrano anche nella fascia serale e notturna. L’iperconnessione è un rischio perché, oltre a danneggiare la socialità in presenza e a favorire l’isolamento, può diventare una trappola e attivare dinamiche di sexting, ludopatia, adescamento e challenge pericolose da cui qualsiasi attività di qualità per i giovanissimi – pur se non marchiata con l’esplicita etichetta “digital detox” – potrebbe invece salvare.