Avvenire, 8 luglio 2025
È allarme per i 200mila “hikikomori”: in estate sale il rischio dell’isolamento
In Giappone, il Paese che ha esportato il fenomeno o perlomeno il termine per identificarlo, sono un milione e mezzo. Da noi, a quasi diecimila chilometri di distanza, gli «hikikomori», ovvero i ragazzi che scelgono volontariamente di “stare in disparte” e ritirarsi dalla società in modo prolungato, non sono ancora stati contati nella loro totalità ma – quel che è certo – è che il numero dei casi, le cui caratteristiche sono state codificate negli anni Settanta dallo psichiatra nipponico Tamaki Saito, è in crescita e l’accelerazione avviene soprattutto d’estate. Racconta Marco Crepaldi, presidente e fondatore di Hikikomori Italia, associazione nazionale di sostegno alle famiglie e ai ragazzi colpiti da questo malessere: «Esistono diversi gradi di ritirati sociali: c’è chi si isola nella sua stanza e non ha contatti nemmeno con la famiglia, chi non esce di casa ma mantiene una relazione con i genitori e chi – ed è questa la forma meno grave ma anche quella su cui bisognerebbe intervenire – continua a frequentare la scuola come unico sbocco sul mondo esterno. Per questa categoria di hikikomori l’estate è un momento critico: molti ragazzi, approfittando della lunga pausa delle lezioni, scivolano verso una forma di isolamento più grave e, a settembre, non si ripresentano in classe. Come associazione in questo periodo riceviamo più segnalazioni del solito, che arrivano soprattutto da chi affronta un passaggio critico, dalle medie alle superiori o dal liceo all’università e, sotto il peso del cambiamento, crolla».
Secondo quanto hanno identificato gli esperti, in effetti, gli hikikomori iniziano a dare i primi segnali proprio intorno ai 15 anni quando, di fronte alle sfide dell’adolescenza e dello sviluppo che spaziano dal campo della sessualità alle scelte scolastiche, il ritiro sociale diventa per alcuni l’unica soluzione possibile. «Si tratta soprattutto di maschi – precisa Crepaldi – che rispetto alle femmine faticano a chiedere aiuto. Fattori di rischio sembrano essere anche l’iperprotezione e il carico di aspettative da parte dei genitori, spesso di livello culturale medio- alto, nonché un’ottima intelligenza logica personale non supportata, però, da una altrettanto sviluppata intelligenza socioemotiva». Finora il ritiro sociale non è stato mappato su tutta la popolazione italiana e attualmente ci si basa sull’esperienza degli enti del terzo settore, che intercettano i casi più gravi, e su due indagini: una firmata dal Consiglio nazionale delle ricerche e un’altra condotta dall’Istituto superiore di sanità, entrambe concentratesi sui ragazzi che stanno scivolando nell’isolamento sociale ma che ancora frequentano le scuole. A questa categoria appartengono tra i 50 e i 70mila ragazzi tra i 14 e i 19 anni a cui però dovrebbero aggiungersi coloro che già hanno chiuso a chiave la serratura della propria casa e della propria stanza e che potrebbero portare la cifra totale degli hikikomori italiani a quota 200mila. Come se non bastasse il numero è in crescita: gli studi già citati hanno rilevato un raddoppio dei lupi solitari che ancora frequentano la scuola e che sono almeno un adolescente su dieci. In generale sembra che tutti i ragazzi, anche quelli che non presentano particolari devianze, abbiano progressivamente ridotto le relazioni dirette a favore di quelle digitalmente mediate, innescando un problema di solitudine generazionale.
È proprio qui che bisogna agire – insiste Crepaldi – perché «risolvere il problema è possibile ma a patto di intervenire tempestivamente, nel primo anno di ritiro. I luoghi cruciali del pronto intervento sono la famiglia e la scuola che invece spesso sottovalutano i segnali e si muovono solo quanto è troppo tardi. D’altronde non è semplice: per le famiglie significa mettersi in discussione, per le scuole vorrebbe dire pensare seriamente a strumenti di valutazione meno ansiogeni e a costruire spazi protettivi rispetto a chi ha difficoltà di adattamento sociale. Da parte nostra, per gli istituti, abbiamo pensato a linee guida per l’individuazione precoce ma oggi sono in uso solo in Piemonte e Sicilia: servirebbe un intervento nazionale». Attualmente l’unica iniziativa in questo senso è il disegno di legge presentato alla Camera ormai un anno e mezzo fa dalla deputata di Forza Italia Rosaria Tassinari e intitolata “Disposizioni per la diagnosi e la cura della sindrome di hikikomori e per l’assistenza delle persone che ne sono affette”. La proposta, attualmente in fase di prima lettura, vorrebbe anzitutto riconoscere la patologia per poi mettere in campo iniziative per curarla anche grazie a un Osservatorio Nazionale che si incarichi del primo monitoraggio a livello nazionale.