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 2025  luglio 06 Domenica calendario

Grateful Dead il concerto senza fine

Fino a qualche anno fa, se prendevi un taxi a Kansas City, a St. Louis, a Louisville o in un’altra città dell’America profonda, spesso trovavi un deadhead alla guida. Ti spiegava che, dei circa 2.350 set live della sua band preferita, tenuti nei primi trent’anni di carriera (oggi il numero deve essere almeno raddoppiato) lui ne aveva visto la maggior parte, compresi quelli in Europa e in Egitto.
Ma chi è un deadhead? Si tratta di un devoto dei Grateful Dead, il gruppo musicale psichedelico per eccellenza, che quest’anno festeggia sessant’anni di avventure. I loro concerti erano considerati veri e propri riti messianici. E i paramenti religiosi di un vero deadhead erano non soltanto la collezione di tutti i dischi della band, ma soprattutto la memoria di più show possibili. Il motivo di tanta dedizione? «Non hanno mai suonato una delle loro 500 canzoni in maniera uguale. Erano sempre versioni differenti. Così ogni concerto era un evento», concludeva il tassista di Kansas City.
Il leader della band, del resto, il chitarrista Jerry Garcia, morto il 9 agosto del 1995, era soprannominato Captain Trip. Oggi, almeno in terra americana, è un’icona pari a Bob Dylan. Per la rivista Rolling Stone è il numero 57 dei maggiori artisti di ogni tempo. L’archivio Getty Images conta 3.394 sue foto, in rete si trovano 15 mila registrazioni in streaming/download del suono liquido del suo strumento. Perché? Il fenomeno che Garcia rappresenta, nato a metà degli anni Sessanta a San Francisco, nel quartiere di Haight-Ashbury, ombelico del mondo della mitica Summer of Love, è tutt’altro che tramontato. Si tratta di un vero mistero senza tempo. I Grateful Dead (“morti riconoscenti”) si sono sciolti dopo la scomparsa del frontman. Eppure, proprio da quel momento, sono stati più vivi che mai. Per l’anniversario, il culmine delle celebrazioni saranno tre concerti al Golden Gate Park di San Francisco ad agosto, nei quali Garcia verrà sostituito dal chitarrista Trey Anastasio (leader di un’altra band di culto, i Phish). Un megacofanetto celebrativo, Enjoying the Ride, con 60 dischi che raccolgono 450 brani e 60 ore di musica dai 21 luoghi più iconici della loro lunga storia live, è già esaurito, ed è entrato in cima alle classifiche di Billboard.
Nel sito ufficiale dei Grateful Dead gadget e lineedi moda disegnate a bella posta per il sessantennale (stampe, felpe, pantaloni, magliette, grembiuli da cucina, stickers già sold out) sono entrati a far parte di un merchandising anche in precedenza mastodontico. Alla ristampa in corso dei loro 24 dischi in studio (sempre con allegato un supporto live inedito), al lancio di ben 150 album live ufficiali per l’etichetta Rhino del gruppo Warner, dopo la morte di Garcia è seguita anche la pubblicazione di esibizioni dal vivo inedite, che hanno il sapore dei leggendari bootleg, le registrazioni clandestine degli albori del rock. Sono i cosiddetti Dick’s Picks, in 36 volumi. Ma il mercato non era evidentemente ancora saturo, se si è proceduto a distribuire anche un’altra collana dedicata, i Dave’s Picks, giunti oggi al volume 54, cui vanno aggiunti i 21 della Jerry Garcia Band, il progetto solista del leader. E non sarebbe tutto.
In America si stima che il brand Grateful Dead vale 4,4 miliardi di dollari e il modello di marketing viene studiato nei corsi avanzati di business. Come è possibile? Per spiegare la nascita di una “band-universo” (il corrispettivo in musica di quello che in letteratura si definisce “romanzo- mondo”) partiamo da un mezzo passo falso. I primi due album dei Dead suonarono fragili alle orecchie dei futuri deadheads, che affollavano i loro potenti concerti in strada a Haight-Ashbury. Così Garcia e co. ebbero l’idea di un primo disco dal vivo. Esce nel 1969 Live/Dead, aperto da Dark Star, destinata a diventare il Santo Graal del gruppo. Qui ci sono i Dead in tutta la loro visionaria psichedelia. Ma c’era allora nella band un musicista genialoide, Pigpen McKernan, che aveva solide radici blues ben più che hippy. Morto a 27 anni nel ’73 per abuso di alcolici, Pigpen avrà però il tempo di imprimere una nuova svolta. Nei dischi successivi, da Aoxomoxoa a Workingman’s Dead, i viaggi cosmici non mancheranno, ma stavolta imbrigliati dentro le tradizionali radici americane, quelle di Woody Guthrie e Robert Johnson.
Era la formula perfetta. Negli States i critici fanno risalire allo scrittore Mark Twain la nascita della moderna lingua americana. Gli studiosi fanno però un distinguo tra i due suoi capolavori fondativi. Nel romanzo Le avventure di Tom Sawyer del 1876 il protagonista fantastica di essere un avventuriero, ma sempre dentro i confini di una casa e una famiglia. I suoi sono soltanto sogni. Sette anni dopo arriverà invece Le avventure di Huckleberry Finn. In un viaggio lungo il Mississippi, Huck si rivela un vero vagabondo, la cui alleanza con il flusso del mondo gli consente di sopravvivere fuori dai limiti. Sono le due facce del sogno americano, una fatta di finzioni e storie, l’altra di scelte difficili ma concrete. I Dead le fonderanno in un gigantesco arazzo compositivo: la tradizione roots sarà Tom Sawyer, sognatore entro precisi confini. Lo spericolato viaggio, la psichedelia cosmica, invece sarà Huck. La band li terrà insieme, generando un miracolo di longevità artistica diventato anche stile di vita.
Il resto sono leggende. Fioccano intorno ai Dead come sfuggite dall’epopea del Mahabharata. La misteriosa e oscura Dark Star, per esempio, considerata più di una canzone. Incisa nel ’ 67 in versione 2:40, diventa due anni dopo una suite di 30 minuti che insegue il jazz cosmico di Miles Davis e John Coltrane. Nel ’74 sfonderà i 50 minuti e sarà eseguita live 500 volte. E ancora, una cosmologia fatta di design, immagini e simboli, tra cui gli orsetti danzanti Devotion Bear, che rappresentano spirito e cultura della comunità, i teschi con il fulmine, gli scheletri con le rose in omaggio al loro nome. Infine, i favolistici concerti del 1978 presso l’Altopiano di Giza: quando un’eclissi di sole oscurò una delle esibizioni, lo scrittore Ken Kesey scalò la piramide di Cheope per piantarvi in cima la bandiera dei Dead e una carovana di beduini li scambiò per divinità riapparse dalle tombe dei faraoni. Un sofisticato sistema di cavi portò fin dentro la piramide il suono di 25 amplificatori (solo un pezzo del gigantesco “Wall of Sound” dei Dead, costituito da 23 tonnellate di attrezzature e 28 mila watt di potenza). Ma per farsi sentire da chi?
Poi, nel 1985, quando gli acid test degli hippy si erano trasformati, per tanti di quella generazione, in dipendenza da eroina (lo stesso Garcia rischiò di morire per coma diabetico dopo una disintossicazione) avvenne l’incontro con Joseph Campbell, il più grande studioso americano di mitologia comparata, l’uomo che aveva ispirato a George Lucas la metafisica di Star Wars. L’ottantunenne professore venne portato a un concerto dei Dead. Vedendo i deadheads danzare, Campbell si sbilanciò: «Questo è Dioniso che parla attraverso ottomila ragazzi». Così invitò Garcia a discettarne all’università di Berkeley. Forse era l’anello mancante nell’universo dei Grateful Dead. Ma il sentiero si interruppe nel 1987, con la morte del mitologo.