Robinson, 6 luglio 2025
Un’eterna ricerca della luce
Quella che segue è una storia che di solito viene raccontata in altro modo o non viene raccontata affatto. È una storia parziale e partigiana, poco ortodossa e difficilmente dimostrabile. Le prove sono volatili, ma indizi e presagi persistono come accade nelle vite individuali, dove quasi mai il disegno si presenta completo e procede invece per schizzi, errori, correzioni, pentimenti. È costruita, questa storia, più che su deduzioni, induzioni e conclusioni su intuizioni e sincronicità che le imprimono un certo andamento quantistico, comprese tutte le variabili che il soggetto introduce con la sua sola presenza di osservatore.
È una filosofia della storia d’azzardo, fatta di rinascimenti continui, continue riemersioni alla luce, perché in natura nulla si crea e nulla si distrugge, ma invece tutto si trasforma: la natura, come sapevano i greci, ama nascondersi. Per poi tornare a mostrarsi ai suoi devoti. Così è questa storia: un processo carsico che si manifesta per poi inabissarsi e riemergere in altri luoghi, con altre condizioni, in altre vesti ma sempre con lo stesso messaggio: la liberazione in questa vita è possibile attraverso la conoscenza. Di se stessi: conosci te stesso.
Una conoscenza che ha solo marginalmente a che fare con la ragione e ancora meno con la mera osservazione, catalogazione, logica ed è tanto antica quanto presente perché è il cuore stesso, senza tempo come la dimensione psichica, di ogni insegnamento sapienziale.E come ogni sapienza ha una sua propria tecnologia, di natura spirituale, meditativa, biochimica e iniziatica.
La si trova nell’antica Grecia nel passaggio tra i presocratici, Pitagora e gli insegnamenti non scritti di Platone, nella sua seconda navigazione metafisica affidata non all’impotente linguaggio della ragione ma a quello evocativo del mito. Nei misteri orfici e nelle estasi di Plotino che si ricongiunge all’Uno, che i cinesi già da secoli chiamavano Tao e gli indiani Brahman. Nel vuoto privo di opposti che sottende i sutra buddisti e nella vibrazione dello yoga kashmiro, nella dottrina non duale del Vedanta che nutrirà l’Islam delle origini e le tariqa sufi in tutta l’Asia Centrale, così come l’esicasmo bizantino. La si trova tenacemente tanto a ovest quanto a est in viaggio sulle carovane delle vie della seta che oltre al carico di spezie, pepe, sete e broccati trasportavano da Oriente a Occidente anche idee, afflati, rivelazioni, preghiere, esercizi spirituali.
Questa storia ripete ossessivamente in lingue e con simboli diversi che una è la sapienza, una la ricerca anche se molteplice è il sentiero, e uno lo scopo: liberare, guarire e illuminare l’oscura materia umana. Questa storia la si ritrova nelle corti italiane del ’400, nelle accademie di Firenze, Rimini, Forlì, portata dagli esuli delle macerie di Bisanzio in quello che, ancora accecati dalla sua bellezza, chiamiamo appunto Rinascimento. E risplende poco più di un secolo per poi spegnersi con le ceneri di Campo de’ fiori nel rogo di Giordano Bruno e poi rianimarsi, in fuga dalle ombre della Controriforma nell’Europa del nord, e brillare come un diamante sottola lente di Spinoza e infine ricongiungersi con la sua gemella d’oriente nella sintesi di Schopenhauer. Questa storia, in uno dei sui rivoli, accende i Lumi di Francia e della Rivoluzione e approda, ringiovanita, nella costituzione dei padri fondatori delle colonie americane. E lì, si inabissa di nuovo travolta dagli appetiti di una nazione che ormai vuole farsi impero.
Fino agli anni Cinquanta, dove – dopo due guerre mondiali e due bombe atomiche che calano la cortina di ferro sul mondo e quella dell’angoscia sull’anima collettiva – riemerge per poco più di un decennio in quella che i vincitori con il solito disprezzo per i vinti chiamano controcultura, ma che è semplicemente cultura poiché porta a una liberazione (dai bisogni, dalle nevrosi, dalle sofferenze, dall’assurdità del mondo). E, questo valga solo come chiosa in tempi di appropriazione culturale, la liberazione è un concetto politico che nella modernità è di sinistra, anzi ancora più a sinistra.
L’ultima parte della storia, almeno nella sua frequenza visibile sconvolge il mondo appunto in una manciata di anni, da quando, per trovare un evento preciso, Aldous Huxley scrive Le porte della percezione nel 1954. Da quel momento gli esperimenti clinici sulle sostanze psichedeliche, Lsd e psilocibina soprattutto – che alla Hopkins, Stanford, Harvard, Ucla, Chicago venivano portati avanti con una certa prudenza e mal celato stupore per gli incredibili risultati che sembravano ottenere nel trattamento di depressione e dipendenze croniche – trovano un altro linguaggio ed escono dal setting. Huxley sancisce e annuncia l’esistenza di sostanze, nel suo caso la mescalina, che contribuiscono ad allentare, se non abbattere le difese tra le diverse regioni della psiche e tra la psiche stessa e l’ordine delle cose. E proclama di fatto la rivoluzione prossima ventura.
La ricerca non solo clinica, ma filosofica e culturale rinasce, o meglio torna alla luce e i nuovi sacerdoti sono Grof, Hubbard, Osmond, Hoffer, Kesey – che riesce a portare sul suo nido del cuculo la vecchia generazione dei beat come Cassady e Ginsberg – ma anche i Grateful Dead. Osano l’inosabile: riportare alla luce in chiave contemporanea non solo un antico percorso di liberazione, ma anche indicare le nuove sostanze eucaristiche da assumere nel rito iniziatico in grado di abbattere le difese e la sete inestinguibile del nostro ego. Per dirla con Grof: «Queste sostanze sembrano funzionare come amplificatori relativamente aspecifici che aumentano la carica energetica associata ai contenuti dell’inconscio profondo della psiche e li rendono disponibili per l’elaborazione conscia». Ben presto la sostanza esce dai laboratori e si incarna in quella che, da Leary in poi, diventerà, tra luci e ombre come in ogni rivoluzione, la cultura hippie, della Summer of love, del pacifismo, dell’ambientalismo, dei diritti civili. C’è un’America che guida il mondo per una volta non con il volto di Marte ma con quello di Dioniso. È troppo. Nel ’71 è già finito tutto: Nixon mette al bando ogni esperimento psichedelico in grado di convincere generazioni presenti e future che non è il caso di buttare la vita nel consumismo o peggio ancora in qualche guerra lontana. Si tagliano i capelli, dai wayfarer si passa agliaviator finché tutto torna a sprofondare nei rassicuranti e reaganiani anni Ottanta.
Ma, già alla fine dei Novanta, ilgenius loci americano evidentemente ancora imbevuto di antica sapienza sciamanica nonostante i genocidi portati avanti con determinazione prima dei conquistadores e poi dai pionieri, torna a rinascere. Come archeologi che scoprono una biblioteca sepolta, nuovi ricercatori della psiche rimettono mano alle teorie che negli anni Cinquanta erano state così promettenti. Concettualmente non sono soli, ormai quella cultura ha coltivato e cresciuto intelletti e istituzioni: a partire da Graves e Campbell, passando per Hillman fino a Pollan, Doblin e la Maps, oltre alle veterane Hopkins e Yale, Ucsf e le omologhe in Canada, Regno Unito, Olanda. Le sostanze tornano, dopo il bagno nella rivoluzione, nelle mani dei sacerdoti che continuano, come i predecessori, a osservare l’arretrare nei pazienti del pensiero logico e astratto e il balzare in primo piano di quello immaginativo, delle libere associazioni, simile ai sogni, all’ispirazione artistica o all’illuminazione creativa che permane, come esperienza significativa, anche dopo la seduta.
C’è chi sostiene che gran parte della scoperte degli ultimi quarant’anni siano state influenzate dalla psichedelia. Steve Jobs non aveva problemi ad ammetterlo, e in effetti la visione di un mondo connesso, di una coscienza universale comune e di una conoscenza alla portata di tutti è l’archetipo della Rete delle origini così come di ogni altro antico rinascimento. Ma da quando il sogno libertario di Internet è finito nell’incubo del capitale, dei grandi monopoli che ininterrottamente sorvegliano, stimolano al consumo ed estorcono ogni attimo della nostra attenzione, da quando il genio della lampada dell’intelligenza artificiale promette l’esaudire di ogni desiderio consapevole e inconsapevole e con l’avanzata autoritaria questa storia sta tornando a inabissarsi. Non resta che attendere il prossimo segnale su dove riaffiorerà. Un indizio: Bill Gates, altro figlio del silicio, poi monopolista pentito e infine filantropo redento, ha appena annunciato una donazione di 200 miliardi, tutto il suo patrimonio, nei prossimi vent’anni. Destinazione: Africa.