Robinson, 6 luglio 2025
Ricomincia il lungo, strano viaggio
Cos’è la psichedelia? Una risorsa? Una minaccia? Una promessa mancata? Un percorso di guarigione? E se sì, da quale malattia? Il 19 aprile del 1943, mentre l’Europa si suicidava tra le fiamme della Seconda guerra mondiale, nella neutrale Svizzera il dottor Albert Hofmann, un promettente chimico non ancora quarantenne, fece la passeggiata in bicicletta più sorprendente della storia. Hofmann lavorava per la Sandoz, una multinazionale farmaceutica. Cercava un rimedio per i problemi di pressione. Trovò l’Lsd (la chimica è piena di scoperte accidentali, basti pensare alla penicillina). Sintetizzata la molecola, assunse 250 ug senza immaginarne gli effetti. A quel punto inforcò la bicicletta e tornò a casa. Quando l’acido cominciò a “salire”, il giovane chimico pensò di essere impazzito. O di stare per morire. Rientrato in casa si distese sul divano e, in una situazione più tranquilla (set e setting – contesto e stato d’animo – si rivelarono importanti sin da subito), gli effetti terrorizzanti cominciarono a svanire. Hofmann sentì dischiudersi dentro di sé sensazioni sempre più piacevoli. Avevano a che fare con la beatitudine e la grazia divina. Gli sembrava di percepire la vita come fosse il primo giorno del mondo, di sfiorare segreti fondamentali a intestimoniabili, di essere in armonia non solo con la propria storia personale ma con il cosmo. Poteva una creatura violenta e prevaricatrice qual è l’uomo essere degna di una simile esperienza? Quel giorno cominciò la rivoluzione psichedelica. Perlomeno nell’era moderna. Con approssimazione si potrebbe dire che Hofmann disseppellì una tradizione antica. Per più di un millennio, fino alla fine del IV secolo d. C., si celebrarono i “misteri eleusini”. Ogni anno, nel mese di boedromione (il nostro settembre-ottobre), un gruppo di fedeli camminava da Atene verso il santuario di Eleusi. Qui gli iniziati assumevano il ciceone, una sostanza ricavata dalla segale cornuta. Sprofondavano in uno stato di coscienza, e in un rituale, nel corso del quale (i misteri erano imperniati sul mito di Persefone) la soglia tra il regno dei vivi e quello dei morti sembrava sbriciolarsi. Gli iniziati ricevevano un’illuminazione di cui avrebbero dovuto fare tesoro nella vita “normale”.
L’era cristiana censurò a lungo queste pratiche. Ma quando Hofmann fece la sua scoperta il mondo attraversava un periodo di crisi profonda. Un’epoca post-religiosa e post-spirituale, governata dalla tecnica, dal denaro, da ideologie sanguinarie, da un’umanità che faceva funzionare a pieno regime i campi di concentramento e che, da lì a poco, avrebbe sganciato le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. In un’epoca oscura, la psichedelia cercava di parlare a una residuale parte luminosa?
Finita la Seconda guerra mondiale, “il bambino difficile” di Hofmann cominciò a farsi largo. Non solo l’Lsd, ma anche la psilocibina (i cosiddetti funghi magici, usati per secoli in Messico e altri paesi dell’America Latina), la mescalina, quella che William Burroughs chiamerà yage (l’ayahuasca e il suo principio attivo, il Dmt) iniziarono a diffondersi in Europa e negli Stati Uniti. Le sostanze furono a lungo legali. Se ne sperimentò l’uso terapeutico, psicanalitico, neuroscientifico, con qualche risultato incoraggiante, non senza perplessità e controindicazioni.
Il problema esplose quando gli psichedelici divennero un fenomeno culturale. Nel periodo che va dalla fondazione dei Grateful Dead (1965) alla Summer of Love la situazione sembrava sfuggita di mano. Timothy Leary e Richard Alpert erano stati già cacciati da Harvard per aver condotto le sperimentazioni con Lsd e psilocibina coinvolgendo molti studenti universitari.
Leary sosteneva che se pochi milioni di statunitensi avessero sperimentato la sostanza, questo avrebbe cambiato i paradigmi culturali del suo Paese per sempre. Di fatto il consumo di psichedelici in quel periodo fu massiccio. Milioni di ragazzi (e adulti) provarono a forzare le porte della percezione. Gente comune. Ma anche individui (da Steve Jobs al premio Nobel per la chimica Kary Mullis) che avrebbero associato il proprio nome a cambiamenti epocali. Molti psiconauti intrecciarono gli effetti delle proprie “illuminazioni” con le ragioni dei movimenti che lottavano per i diritti civili e si opponevano alla guerra in Vietnam. La psichedelia impensierì il potere costituito. La dottrina Nixon arrivò a rendere illegali queste sostanze, accomunandole a cocaina ed eroina, droghe che nulla hanno a che fare con ciò di cui stiamo parlando. Il “ban” si estese a livello internazionale. Arrivò l’“inverno” psichedelico, durato oltre quarant’anni. Poi, nel 2016, un gruppo di scienziati guidati da David Nutt dell’Imperial College di Londra, utilizzò la risonanza magnetica per capire cosa succedesse davvero a un cervello sotto Lsd. Si scoprì che molti dati sbandierati dai sostenitori delle politiche repressive erano fasulli. La molecola non “bruciava il cervello”, e poteva avere effetti terapeutici. Certo, andava utilizzata con molta cautela. Cominciò il “rinascimento psichedelico”. Si riaccese l’interesse (e lo studio) su sostanze come Lsd, psilocibina, ketamina, Mdma. In alcuni paesi la sperimentazione tornò legale per la cura di stati depressivi gravi, per il disordine da stress post-traumatico, per il trattamento psicologico dei malati terminali. Ripresero slancio l’uso ludico, le cerimonie private, i tentativi di associare gli psichedelici alla ricerca spirituale e all’esperienza religiosa. In modo forse più consapevole rispetto al passato.
Arriviamo ai nostri giorni. Cosa dobbiamo aspettarci dalla psichedelia? La “crisi” che il mondo attraversa è di nuovo profonda. Abbiamo ripreso a ucciderci tra noi su vasta scala, siamo stritolati nelle gabbie dei nostri ego, bistrattiamo il lato spirituale, devastiamo l’ambiente, preferiamo l’aggressione alla conoscenza, la paranoia all’amicizia. La nostra spinta autodistruttiva – oggi prevalente – è antitetica alle energie e ai sentimenti di cui buona parte della cultura psichedelica si dice portatrice. Bisogna tuttavia diffidare della trasformazione di una materia così delicata in una moda (il turismo dell’ayahuasca, il proliferare di guru e ciarlatani) o in business la psichedelia sarà il nuovo grosso affare delle multinazionali farmaceutiche?), è necessario persuadere i meno avvertiti che non esistono pillole miracolose, che esistono rischi, che il concetto di “riduzione del danno” è invece una buona bussola. Non è uno sport per tutti, non è una scorciatoia ma, forse, uno strumento prezioso. Diventa più calzante la parola greca pharmakon, un termine a doppia chiave: “veleno” o “medicina” a seconda dell’uso. La cura di sé (e del prossimo) è una questione complessa, piena di sfaccettature e pratiche eterogenee. Nessun viaggio lisergico, da solo, ha trasformato un imbecille in una creatura sensibile. Né, naturalmente, gli psichedelici sono l’unica via per diventare alcunché. Viviamo già in uno stato di coscienza alterato permanentemente: la droga psichica più devastante (propaganda e ricerca del consenso) viene spacciata dal potere in forme semprepiù sofisticate. Si traduce in repressione, prevaricazione, guerra. In questo nuovo impero delle tenebre la psichedelia avrebbe senso se diluita in un più ampio movimento (spirituale, politico, sociale, artistico, scientifico) capace di agire nel segno della consapevolezza, del rispetto, all’occasione del dissenso, della fraternità, del ritorno alla parte luminosa.