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 2025  luglio 07 Lunedì calendario

I segreti fiscali di Dublino: perché l’Irlanda è il cavallo di Troia della Casa Bianca (e fa male all’Italia). Cosa succede oggi

Oggi i ministri dell’Economia dell’area euro riuniti nell’Eurogruppo dovrebbero eleggere – salvo sorprese – il loro “presidente” per i prossimi anni. Una dimostrazione della carenza di leadership e di chiarezza strategica in questo momento nell’Unione europea è nel nome del favorito: Pascal Donohoe, ministro delle Finanze dell’Irlanda da sette anni, già presidente dell’Eurogruppo da cinque e ora candidato di punta (del partito popolare europeo) a succedere a se stesso. In lui non c’è nulla di disonorevole sul piano personale. Lo scandalo di una sua eventuale rielezione sarebbe piuttosto politico, finanziario e ora legato anche alla sottomissione alla quale Donald Trump sta cercando di obbligare l’area euro e l’intera Unione europea. 
Il suo profilo
Donohoe infatti non è solo uno dei registi di una delle maggiori e non dichiarate operazioni – tuttora in corso – di elusione fiscale delle più grandi multinazionali americane, anche a danno dei contribuenti europei e italiani. Nel farlo, Donohoe contribuisce con il suo governo anche ad alterare i saldi commerciali fra Unione europea e Stati Uniti in un modo che alimenta l’ostilità di Trump e ci espone ancora di più al rischio di dazi a titolo di ritorsione. Ciò va direttamente a danno del settore farmaceutico italiano, uno dei maggiori d’Europa e fra i più dinamici dell’industria nazionale. Eleggere un rappresentante dell’Irlanda come proprio leader, per l’Eurogruppo e per l’Italia in particolare sarebbe autolesionismo. Sarebbe come eleggere un cavallo di Troia del trumpismo, non sul piano ideologico ma su quello concreto degli obiettivi che il presidente degli Stati Uniti persegue: smontare ogni tentativo di far pagare (quasi) normalmente le tasse agli oligarchi del Big Tech e di Big Pharma di Silicon Valley, indebolire qualunque forma di sovranità europea, imporre la sua legge. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti oggi dovrebbe votare contro Donohoe (nella foto, i due a Roma), perché la posta in gioco è troppo alta. Vediamo.
Il “panino” delle tasse
Prima di tutto qualche fatto sull’Irlanda che di solito non si dice per eleganza. Si sa che negli ultimi trent’anni l’Irlanda ha una storia come piattaforma dell’elusione fiscale su vasta scala, attraverso meccanismi come il celebre “Double Irish with Dutch Sandwich” (“doppio irlandese con sandwich olandese”, un sistema che permetteva fino al 2019 alle multinazionali domiciliate nel Paese di non pagare praticamente tasse sui profitti in Europa, Africa e Medio Oriente tramite triangolazioni intra-gruppo con l’Olanda e paradisi fiscali come le Bermude). Non si dice spesso, invece, che nei vent’anni fino al 2018 i gruppi beneficiari del “Double Irish” hanno incanalato fra 1.200 e 1.400 miliardi di dollari di utili verso paradisi fiscali. Si dirà: acqua passata. Il “Double Irish” era così sfacciato ed estremo che il governo di Dublino ha dovuto renderlo del tutto inservibile dal 2020 e adesso non ricorre più a pratiche scorrette. Ma davvero? Se è così, restano da spiegare altri fatti. 
Le entrate pubbliche di Dublino
Oggi tre sole aziende, Microsoft, Apple e Pfizer, valgono da sole quasi il 40% di tutte le entrate pubbliche di Dublino a titolo di tasse societarie e per il 12% del gettito fiscale complessivo del Paese. Un equilibrio in sé fragilissimo. Basta che qualcuno di questi gruppi sposti il proprio ufficio di gestione dei diritti di proprietà intellettuale dall’Irlanda a Malta o a Cipro, per distruggere le finanze pubbliche del Paese. Quei “quartier generali” di tante grandi multinazionali in Irlanda consistono spesso giusto in qualche avvocato, qualche segretaria, un conto in banca e una cassetta delle lettere. È come se l’Italia accettasse il rischio di perdere quaranta, ottanta o centoventi miliardi di euro di entrate da una settimana all’altra. Cosa può indurre un governo a mettersi in una situazione del genere?
I conti monstre
Che qualcosa non quadri lo dice anche la bilancia dei pagamenti irlandese, secondo i dati dell’Eurosistema. Perché è abnorme. Sempre più abnorme, anche dopo che il “Double Irish” è andato ufficialmente in pensione. Qualche esempio? Nella vendita dei servizi legati al settore dell’informazione, delle telecomunicazioni e dei computer (ICT) l’Irlanda ha un saldo attivo (vende più di quanto compra) cresciuto così:
2013, più 34 miliardi di euro
2019, più 117 miliardi (ultimo anno del “Double Irish”)
2023, più 215 miliardi
2024, più 253 miliardi
A prima vista, non ha senso. Fatte le proporzioni alle dimensioni dell’economia – quel surplus vale da solo il 55% del prodotto lordo irlandese – è come se l’Italia avesse un saldo attivo di 1.150 miliardi in una singola voce della sua bilancia commerciale o se la Germania ne avesse uno di duemila miliardi, sempre su una sola categoria di prodotti (in realtà su ICT l’Italia è in rosso di sette miliardi e la Germania di dieci).
I compensi per la proprietà intellettuale
Cosa stia accadendo in realtà si nota da un’altra voce della bilancia irlandese, quella legata ai cosiddetti “compensi per l’uso di proprietà intellettuale”. In sostanza, questi compensi sono ciò che si paga a un’azienda per usare il suo software, un suo brevetto o i diritti su qualche innovazione spesso immateriale. Quando pagate Netflix per vedere una serie, ChatGPT per usare la sua intelligenza artificiale, Microsoft per il servizio di videoconferenze Teams, Apple per produrre degli iPhone o Pfizer per produrre un farmaco di cui esse hanno il brevetto. Lì di abnorme ci sono i deficit dell’Irlanda e la loro crescita ininterrotta negli anni, specie dopo l’estinzione del “Double Irish”):
2013, meno 27 miliardi di euro
2019, meno 75 miliardi (ultimo anno del “Double Irish”)
2023, meno 126 miliardi
2024, meno 152 miliardi
Il “Beautiful Budget Bill”
In sostanza l’Irlanda versa ogni anno in diritti di proprietà intellettuale a un pugno di aziende americane non molto meno della metà del suo prodotto interno lordo. I numeri corrispondenti delle più grandi economie europee – Germania, Francia, Italia – sono centinaia o decine di volte più piccoli. Persino il corrispondente numero di tutta l’area euro, che è venticinque volte più grande dell’Irlanda, è più piccolo di quello dell’Irlanda stessa. Possibile? Sì, possibile. Perché al posto del “Double Irish” Dublino ha introdotto un sistema dai risultati simili, che si sposa ed è complementare con le riforme fiscali di Donald Trump. Proprio quelle appena radicalizzate e prorogate con il “Beautiful Budget Bill” firmato tre giorni fa dal tycoon. Le due cosa vanno insieme, non si capiscono l’una senza l’altra. E insieme svuotano e demoliscono, come Trump ha appena fatto senza alcuna reazione europea, la “Global Minimum Tax”; cioè l’unico tentativo di far pagare qualche tassa non del tutto ridicola alle multinazionali.
Trump e l’Isola verde
Cosa voglio dire? Lo ha spiegato in un’audizione al Congresso un paio di anni fa Brad Setser del Council on Foreign Relation due anni fa. La riforma fiscale di Trump del 2018 crea un’aliquota fiscale di favore al 10,5% (metà del normale) sui profitti relativi a voci come brevetti e diritti di proprietà intellettuale realizzati all’estero, ma prevede addirittura regimi per cui le multinazionali riescono a pagare anche meno di così. Il “Beautiful Budget Bill” prolunga tutto fino al 2035. In sostanza gruppi americani come Pfizer, Apple, Microsoft e molti altri vendono i loro beni e servizi dall’Irlanda in tutta Europa, spesso anche in Africa e in Medio Oriente (di qui gli enormi surplus di cui sopra). Ma le filiali irlandesi versano per questo enormi diritti di proprietà intellettuale alle case madri in America, il cui prezzo peraltro è fissato arbitrariamente alto all’interno stesso di ciascun gruppo (di qui gli enormi deficit su quelle voci nella bilancia dei pagamenti di Dublino). Formalmente si immagina che le filiali irlandesi comprino a caro prezzo dalle loro case madri in America brevetti o altri diritti per poi vendere i relativi prodotti in tutta Europa ed oltre. 
Così si abbatte l’imponibile
Risultato: le filiali irlandesi delle multinazionali con quei pagamenti di diritti alle case madri abbattono il loro imponibile, cosicché l’aliquota effettiva scende molto (molto, molto) sotto al 15% ufficiale; e le case madri negli Stati Uniti abbattono l’imponibile per quei redditi da proprietà intellettuale grazie alle riforme fiscali di Trump. Meraviglioso. Ma il volume di affari di Microsoft, Pfizer o Apple è talmente enorme che anche una piccola tassa pagata da loro copre una grande parte del bilancio della piccola Irlanda. Il fenomeno ha preso piede al punto che l’Irlanda, secondo l’ultimo bollettino della Banca centrale europea, ha superato gli Stati Uniti per l’export di “information and communications technology” (grafico sotto).
I segreti fiscali di Dublino per Apple, Microsoft e Pfizer: l’Eire è il cavallo di Troia della Casa Bianca
Dublino alla guida dell’Eurogruppo
Così Dublino, da cavallo di Troia di Trump, si candida alla guida dell’Eurogruppo. Eppure per quanto la farmaceutica è anche un po’ peggio di come appare. Perché guardate l’export di beni materiali dall’Irlanda (senza servizi digitali):
2013, 98 miliardi di euro
2019, 225 miliardi (ultimo anno del “Double Irish”)
2024, 329 miliardi (71% del prodotto lordo)
Così gioca Big Pharma
In sostanza lo stesso meccanismo che vale sul digitale è all’opera anche nel farmaceutico e non solo per Pfizer, ma anche per Merck, Johnson & Johnson o Eli Lilly. La differenza è che una parte dell’export che sembra uscire dall’Irlanda verso il resto del mondo in realtà non sfiora neanche le coste dell’isola verde. Si stima che circa un terzo di quelle vendite si faccia da lavorazioni su commessa delle filiali irlandesi presso Paesi a basso costo, India su tutti. Le spedizioni di medicine si fanno direttamente dall’India agli Stati Uniti o al resto del mondo, ma contabilmente vengono registrate come vendite dell’Irlanda (con relativo vantaggio fiscale). Cresce così il surplus della zona euro, che poi Trump usa come argomento per aggredirci con la sua guerra economica. Ecco la crescita dell’export farmaceutico dall’Irlanda agli Stati Uniti negli ultimi anni (qui la fonte):
Ed ecco come cresce il surplus dell’area euro verso gli Stati Uniti a causa dei farmaci teoricamente irlandesi, ma in realtà “made in India” (fonte Bce):
Il surplus commerciale
La situazione è così paradossale che persino la compassata Bce nota nel suo ultimo bollettino: «Le nostre stime suggeriscono che quasi il 30% del surplus nei beni dell’area euro con gli Stati Uniti nel 2024 riguarda commerci di filiali di multinazionali americane, mentre queste aziende contano per il 90% del deficit dell’area euro nei servizi» (proprio per il meccanismo dei maxi-versamenti alle case madri negli Stati Uniti sulle proprietà intellettuali). E aggiunge la Bce: «Multinazionali americane operano tramite lavorazioni a contratto su beni venduti a Paesi terzi (inclusi gli Stati Uniti) senza che i prodotti entrino mai nell’area euro».
Lo scandalo sotto gli occhi di tutti
In sostanza, lo scandalo è sotto gli occhi di tutti. Solo che non se ne parla. Trump usa i dati del surplus europeo distorti dalle tattiche fiscali irlandesi e dai gruppi americani per aggredire l’Europa ancora di più. L’ultima minaccia riguarda proprio il settore farmaceutico europeo, seconda voce dell’export italiano in America per circa 10 miliardi di euro nel 2024. Donohoe, già da cinque anni alla guida dell’Eurogruppo, vuole tenere il posto per assicurarsi che questi temi restino fuori dall’agenda a Bruxelles. E noi rischiamo di rieleggerlo. Poi però non lamentiamoci di Trump: almeno lui sa fare il suo interesse, noi no.