la Repubblica, 7 luglio 2025
Se l’Autonomia non piace più: contrari sei italiani su dieci
Il progetto di introdurre l’autonomia differenziata nelle Regioni a statuto ordinario non sembra attrarre più i cittadini italiani, come in passato. Al contrario. Nel recente sondaggio di Demos la maggioranza, 6 persone su 10, esprime dissenso, al proposito. Una componente stabile, negli ultimi mesi. I favorevoli, invece, sono stabili e perfino in leggero calo, rispetto a un anno fa. Quando raggiungeva il 46%, mentre nel 2023 superava il 50%. Ma il tempo, da allora, si è fermato. O meglio, ha cessato il percorso avviato negli anni precedenti, quando il federalismo aveva costituito un argomento efficace, per il partito che, prima e più degli altri, l’aveva sostenuto. Quando la Lega, guidata da Matteo Salvini, alle Europee del 2019 aveva raggiunto il 34%. Primo partito in Italia.
Naturalmente, il motivo del successo non era costituito solo dal “federalismo”. Dalla rivendicazione di autonomia territoriale e ragionale. Altre ragioni avevano spinto la Lega. E, già l’anno prima, alle elezioni legislative, il M5s, che aveva sfiorato il 33%. Una soprattutto: l’antipolitica. La capacità di attrarre l’insoddisfazione dei cittadini verso i partiti e i politici che guidavano il Paese. L’idea federalista, invece, costituiva un “argomento forte”, soprattutto nelle “aree di forza della Lega”. Le Regioni del Nord. Negli anni seguenti, però, il clima d’opinione è cambiato. E continua a cambiare, perché non ci sono più riferimenti stabili. In ambito nazionale e, a maggior ragione, internazionale. “L’autonomia regionale”, per questo motivo, rimane un tema importante. Ma non “rassicurante”. Perché i problemi maggiori provengono da oltre i confini “nazionali”, non “regionali”. Nell’ultimo anno, così, non si colgono più grandi cambiamenti d’opinione, al proposito. Su base nazionale. Dove, però, si confermano le distanze “territoriali” appunto. Perché la questione dell’autonomia riguarda e coinvolge anzitutto i rapporti fra le aree del Paese. E non per caso si osserva una distanza fra nord e sud. In particolare, fra il nordest e le altre aree del Paese. Compreso il nordovest. A nordest, infatti, la domanda di autonomia supera il 60%. Nel nordovest si ferma al 46%. Mentre nelle regioni dell’Italia centrale scivola sotto il 30%.
Può sorprendere semmai come la rivendicazione autonomista risalga (di poco) nel Mezzogiorno, dove si avvicina al 40%. Ma questa tendenza, già osservata in passato, riflette un sentimento comprensibile, che alimenta la rivendicazione nei confronti del Nord. E dello Stato centrale.
Tuttavia, i problemi politici territoriali, che caratterizzano soprattutto il Nord, non si fermano all’autonomia. Vanno ben oltre. E coinvolgono il soggetto politico storicamente autonomista. La Lega, appunto. Che si deve misurare con la scelta del suo leader storico, del nordest, Luca Zaia. Segretario della prima Lega, la Liga Veneta. Il quale di recente ha fondato una propria “lista personale”. Ed è probabile che faccia dell’autonomia e dell’indipendenza una bandiera.
Così, il principale rischio del dibattito e delle polemiche sulla questione dell’autonomia è che si alzino altri muri, oltre a quello storico fra Nord e Sud. E nuovi confini, che si sono levati negli anni. Per marcare il distacco da “Roma capitale”. E la distanza fra le diverse aree del Paese. “Un” Paese che non è semplicemente “uno”, come ha sottolineato Arnaldo Bagnasco in un testo importante, pubblicato nel 1977 e intitolato, in modo significativo: “Tre Italie. La problematica territoriale dello sviluppo italiano”. Mettendo in luce l’importanza del rapporto fra società, economia e territorio. Che poneva in evidenza una Terza Italia, il centro nordest. Caratterizzata da piccole imprese. E grandi partiti. Ma l’Italia, rispetto a quando ne ha scritto e de-scritto Bagnasco, si è complicata ulteriormente. È divenuta molteplice. Anzi, lo è sempre stata. Perché, per citare un’altra figura eminente, il presidente Carlo Azeglio Ciampi, “è un Paese di paesi. Città. Regioni. E il segno della sua unità è la diversità. La pluralità”.
L’importante è non trasformare la diversità e le differenze in distacco, i confini in muri.