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 2025  luglio 07 Lunedì calendario

La politica è sempre un affare di famiglia

Nei giorni scorsi hanno destato sorpresa e preoccupazione le dichiarazioni di Eric Trump, il figlio terzogenito del presidente statunitense, secondo le quali non sarebbe difficile per lui o altri membri della sua famiglia, ad esempio il fratello maggiore Donald Jr. o la sorella Ivanka, proporsi un giorno nemmeno troppo lontano come successori politici del padre. I Trump sono già una ramificata dinastia imprenditoriale, perché non dovrebbero pensare di trasformarsi in una dinastia politica?
Un proposito, secondo molto osservatori, pericoloso. In realtà, gli Stati Uniti sono da molto tempo una democrazia con forti connotati dinastici. Il “potere del sangue”, se così vogliamo definirlo, ha scandito la sua storia dai tempi dell’indipendenza (di pari passo col “potere del denaro"). Quando si parla della politica americana tutti pensano ovviamente al clan contemporaneo dei Kennedy, ma ci si dimentica degli Adams, dei Bayard, dei Breckinridge, dei Bush, dei Frelinghuysen, degli Harrison, dei Lee, dei Livingston, dei Lodge, dei Long, dei Muhlenberg, dei Roosevelt, degli Stockton, dei Taft, dei Tucker, degli Udall, dei Washburn per limitarsi alle casate più importanti a livello nazionale.
Ma si potrebbero anche citare, a livello dei singoli Stati federati, i Folsom in Alabama, i Brown in California, i Russell in Georgia, i Farrington nelle Hawaii, i Culver nello Iowa, i D’Alesandro-Pelosi nel Maryland, i Johnson nel Mississippi, i Reid nel Nevada, i Luján nel New Mexico, i Burdick nel North Dakota, i Matheson nello Utah, i La Follette nel Wisconsin o, infine, i Simpson nel Wyoming.
Sono le dinastie che nel corso dei decenni, sulla base di intrecci parentali e legami di discendenza spesso difficili da seguire (mariti o mogli, figli e figlie, cugini, nipoti, cognati e affiliati vari), hanno dato agli Stati Uniti inquilini della Casa Bianca, ministri, governatori di Stati, sindaci, senatori e deputati a ogni possibile livello. E dunque, per tornare all’oggi (anzi, al possibile domani), se la democratica Hillary Clinton voleva succedere come presidente al marito Bill perché in coerenza con questa storia solo all’apparenza frutto dell’eccezionalismo americano Trump figlio o figlia, sull’altro fronte politico, non dovrebbe ambire alla poltrona oggi occupata dal padre?
La trasmissione per linea parentale del potere e delle cariche politiche è in effetti qualcosa che ai nostri occhi richiama il modello monarchico e l’ancien régime. Tra le novità introdotte dalla democrazia come governo del popolo c’è stata non a caso la messa in discussione delle oligarchie basate sulle tradizioni famigliari e sull’ereditarietà degli uffici pubblici: il potere democratico, proprio perché tale, è potenzialmente nella disponibilità di qualunque cittadino, indipendentemente dalla sua nascita, dal suo nome e dal suo retaggio o patrimonio.
Ma le cose, se si guarda a molte delle democrazie attive nel mondo, sembrano andate in maniera diversa. Quella che poteva essere considerata, nella migliore delle ipotesi, un’odiosa sopravvivenza del passato o un intollerabile anacronismo appunto la politica come affare di famiglia, come professione o ruolo sociale che ci si trasmette tra affini entro le mura domestiche sembra essere diventata un tratto sempre più ricorrente e condizionante della vita pubblica di molti sistemi politici cosiddetti pluralistico-competitivi.
In alcuni casi ciò dipende da ragioni storiche e da fattori socio-culturali che evidentemente erano stati sottovalutati a beneficio di una visione edulcorata, didascalica e puramente normativa (cioè non realistica) della democrazia politica. Vale per gli Stati Uniti, come abbiamo visto, ma vale anche per altre grandi democrazie dall’India al Giappone dove i grandi clan famigliari hanno sempre avuto un peso decisivo. Ma pensiamo anche all’importanza che hanno storicamente avuto le affiliazioni parentali in America latina, in molte nazioni dell’Asia o in parecchie giovani democrazie africane.
Ad aver accentuato il peso odierno del familismo, come si vede anche nell’esperienza di molti Paesi europei (Italia inclusa), sono però alcuni dei cambiamenti che, in anni recenti, hanno investito la scena politica a livello globale. Due in particolare: il declino delle storiche tradizioni ideologiche e quello, contestuale e conseguente, dei grandi partiti di massa.
Del socialismo, del comunismo, del liberalismo ecc. si diceva, forse non a caso, che erano “famiglie politiche”, a dimostrazione di come la famiglia sia stata, nella storia, una sorta di paradigma sociale o prototipo comunitario. Ma la parentela creata da queste ideologie era naturalmente solo figurata e simbolica: ciò che contava realmente era la condivisione, tra estranei che si consideravano però affratellati, di valori, ideali e progetti, di una certa immagine del passato e di una certa visione della società e del futuro.
Il legame ideologico tradizionale era a suo modo impersonale e oggettivo, era una forma di passione collettiva (spesso, come sappiamo, arrivata nel caso di alcune ideologie al limite del fanatismo) che non implicava alcun rapporto di conoscenza diretta. La fedeltà e solidarietà politica che si stabiliva nel nome di una comune credenza prescindeva dai legami personali effettivi.
Lo stesso carattere impersonale e formalizzato che avevano i grandi partiti in quanto espressione organizzata di quelle ideologie. Erano partiti nei quali si militava (e per i quali si votava) sulla base di motivazioni politico-ideali generali, secondo vincoli che erano in senso lato valoriali, culturali e sociali.
Venute meno, o comunque fortemente indebolitesi, queste modalità di aggregazione politica collettiva, non stupisce che ne abbiano preso il posto criteri di affiliazione più soggettivi ed elementari se si vuole persino più primitivi basati sulla conoscenza o fedeltà personale, dunque sull’amicizia o sull’appartenenza a una medesima cerchia professionale o affaristica, sulla condivisione pratica di interessi personali tangibili e, appunto, sulla parentela, la consanguineità e su dinamiche definibili, come si diceva un tempo, nepotistiche.
Dalla fratellanza o famigliarità in senso politico-metaforico si rischia insomma di tornare a forme o pratiche politiche sempre più caratterizzate, anche nei regimi formalmente democratici, dal peso (reale ed effettivo) del sangue e dei legami parentali e/o amicali. Sino ad assistere all’affermazione di quelle che, volendo trovare una formula ad effetto, potremmo definire “democrazie dinastiche” o “democrazie claniche": forme politiche nelle quali il potere di decisione sempre più tenderà a concentrarsi nelle mani di famiglie influenti o di gruppi ristretti e nelle quali più che le leggi e le regole sempre più conterann0 le relazioni personali, i legami affettivi e le dinamiche clientelari.
Sembra l’annuncio di un futuro politico cupo, è ahimé la descrizione di ciò che in parte stiamo già vivendo.