il Fatto Quotidiano, 6 luglio 2025
Intervista a Marcello Fonte
Come sta?
Meglio di prima.
Prima, quando?
Di qualche tempo fa; ora ho capito molto di me, del mio lavoro, di quello che è accaduto.
Ecco, cosa?
Uno entra nel personaggio, ma deve imparare a uscirne.
Non lo sapeva.
L’ho imparato sulla mia pelle e l’ho pagata cara.
Quanto?
Tanto; poi amo giocare a poker con la vita e al “tavolo” sono disposto a perdere tutto.
Sa bluffare?
Non mi piace.
Il bluff è parte fondante del poker.
Non lo sapevo, ma nella vita non baro, non bluffo. Preferisco l’autenticità, l’onestà, la verità.
(Marcello “Marcellino” Fonte ci accoglie in un bar di San Lorenzo, a Roma. È il quartiere degli universitari, degli alternativi, di quel che resta della sinistra, anche estrema. È uno degli ultimi scorci pasoliniani, dove le sedie sono piazzate sui marciapiedi, all’ombra; dove si stende la biancheria fuori dalla finestra; dove le valigette da ufficio sono la stranezza alla pari di chiedere “scusi, c’è la striscia blu?”. Marcello Fonte qui si sente protetto. Non giudicato. Coccolato con garbo. Lui cresciuto in una baracca costruita sulla discarica di Reggio Calabria; lui che per anni, a Roma, ha vissuto in un cinema occupato, proprio di San Lorenzo; lui che ha vinto la Palma d’Oro a Cannes con “Dogman” di Garrone. Lui considerato un genio – sempre in chiave pasoliniana –. Lui che è arrivato a Hollywood, poi all’improvviso la vita, la notorietà, la fama, il clamore, i soldi, la gioia hanno presentato il conto. E Marcello ha pagato).
Cosa combina, oggi?
(Sorride) Ho deciso di ispirarmi a San Francesco: voglio rinunciare ai soldi, voglio vedere se si sopravvive così.
Nel pratico?
Ho trovato persone che mi hanno aiutato nei momenti difficili, persone eccezionali come il proprietario del bar.
Serve ai tavoli?
Se posso, sì; (cambia tono) il vero attore è innanzitutto cameriere: serve le battute, aiuta il regista, l’aiuto-regista, il direttore della fotografia. Poi, oltre il cameriere, sono acchiappino.
Si piazza fuori dal bar e invita a entrare?
Non è solo questo: l’acchiappino è uno psicologo, deve capire subito chi ha di fronte e spesso chi mangia ha la necessità di parlare, di farsi ascoltare da qualcuno. Io sono quel qualcuno…
Recita ancora?
Certo, ci sono dei film che devono uscire.
L’ultima volta siamo rimasti alla gloria di Cannes, la Palma, la stanza bellissima nell’hotel, gli applausi…
E alla storia di quando ero bambino e la pioggia batteva sulla lamiera del tetto. Io quel ticchettio lo tramutavo in applausi del pubblico e a Cannes è accaduto veramente.
Sì…
Dalla Palma ho iniziato a viaggiare per il mondo, in alcuni giorni ho preso fino a tre aerei in poche ore: Hong Kong, Sudafrica, Egitto. Ovunque. Mi sono ritrovato da una vita di niente a possedere un sacco di soldi, il lusso più totale, trovarmi nelle situazioni più assurde.
Tipo?
Sono sul Mar Morto, prima di uscire mi taglio la barba. Scendo e mi butto in mare. Un dolore assurdo sul viso a causa del sale; e poi in Marocco con Garrone e Ceccherini, Massimo uomo geniale, creativo. Eccezionale.
Il “ma”?
Sperperavo.
In cosa?
Anche nella produzione di alcuni corti cinematografici. Però ho pagato tutti.
Quindi non si è tolto qualche sfizio lussuoso?
Forse il lusso non è per me.
Cioè?
Non lo conosco; su una barca a vela ci sono salito, però da facchino.
Torniamo ai viaggi per il mondo.
Non sono serviti a nulla, hanno generato solo odio.
Da chi?
Dagli altri attori: a loro arrivava il dato che non ho studiato recitazione, che sono stato scoperto per strada. Che loro meritavano più di me.
Invece?
Non è così: nella vita ho studiato, ho passato anni sul set a guardare ogni angolo, anche quello più nascosto, su come nasce un film.
Le maestranze la conoscono bene.
Una volta Matteo (Garrone, ndr) mi ha chiesto: ‘Come mai ti salutano tutti?’.
Risposta?
So cos’è la gavetta.
Cos’è?
Anni fa andavo a Cinecittà al Museo delle Cere. Lì c’era Alessandro, entriamo in confidenza, e lui mi permette di infilarmi negli studi di posa armato di valigetta, con dentro un book fotografico rimediato grazie a gli scatti di un altro amico. Lasciavo i posati e rimediavo qualche comparsata.
Ha recitato pure in Gangs of New York.
Ho visto chiunque! Ho rubato con gli occhi, ho chiacchierato, ho chiesto. Una sera sono stato accanto a Nino Manfredi ed è stato gentilissimo.
I colleghi attori sono cambiati dopo il premio conquistato?
Intorno a me ho sentito invidia e odio.
Il successo è pericoloso.
Dà alla testa, te la monti.
Pure a lei.
Un pochino; (resta zitto, poi alza di un tono) perché gli altri sì e io no? Perché appena ho iniziato a godere, sono stato messo in croce, si sono spaventati tutti?
Addirittura.
Lo so che vengo dalle baracche, lo so che sono povero. Quindi uno povero non può godere?
Qual è stata la goduria?
Per me il massimo è quando lavoro su un set, e la Palma è stata importante.
È ancora in suo possesso?
Per un periodo non ho avuto una dimora fissa, per questo l’ho consegnata a un amico.
Adesso dove dorme?
Da poco ho una casa per me, ho trovato la mia dignità e non vedo l’ora di poter stare con mio figlio.
Aveva perso la dignità.
Per un po’ sono entrato in depressione.
Troppi bassi e alti.
E torniamo alla questione del personaggio: quando reciti, tutti ti coccolano, ti vestono, ti pettinano, ti curano, ti vengono a prendere a casa con il macchinone; (ride) arrivavano con una enorme Mercedes e io uscivo da un palazzo occupato. Poi finisce il film è tutto si spegne. Altro film e si ricomincia.
Altro che bassi e alti.
Dietro le quinte di Cannes, Benigni mi ha chiesto: ‘Ci sei o ci fai?’. ‘Non lo so’.
Non si è offeso.
A me piace quando mi guardano come uno scemo.
Come sono i suoi colleghi?
Dopo la Palma li ho odiati, perché si sentono ’sto cavolo, malati di narcisismo. Oggi li adoro perché ho capito la loro fragilità. E lo sono pure io: fragile.
La depressione quando si è manifestata?
Nel momento in cui non ho più lavorato, allora ho perso me stesso, non sapevo chi fossi. E allo stesso tempo gli altri mi hanno cambiato, manipolato.
Usato.
Usato e buttato via.
Solo.
Urlavo, ma nessuno ascoltava.
E lì ha avuto problemi con la droga.
Qualche volta l’ho provata, ma il problema non è quello.
Paura di morire?
Sono morto varie volte e sono rinato.
Pentito del successo?
Mai una volta. Mi ha permesso di crescere.
Percorso duro.
Va bene così, ho ripreso in mano la mia esistenza. Ho imparato ad assumermi le mie responsabilità.
Lotta da tutta la vita.
Uno la mattina si deve svegliare presto, anche alle cinque, altrimenti non fa la rivoluzione.
Garrone lo sente?
È una delle poche persone importanti della mia vita.
Ha seguito il suo percorso?
In generale evito di parlarne, ho paura di disturbare. Cerco di risolvere da solo; (pausa) ho davvero vissuto un periodo particolare, tanto da tornare a vivere nella mia vecchia cantina. Lì ho trovato il tempo per riflettere e salvarmi.
Dallo champagne alla cantina.
La cantina mi fa stare con i piedi per terra, altro che il consumismo, il continuo sperpero.
Ha sperperato molto?
È l’unico aspetto di cui mi pento.
Fa mai i conti di quanto?
Lasciamo perdere.
Sopra i 100 mila euro?
(Gli esce una risata lunga, fragorosa. Di quelle con la testa all’indietro) Magari.
Sopra i 500 mila?
Cambi domanda…
Il “ma”?
Ora sto meglio, sono maturato.
(Arriva il proprietario del bar: “Ieri sera in una piazza romana abbiamo incontrato Mark Ruffalo. Quando si è accorto di Marcello è impazzito dalla felicità).
Ha recitato con Ruffalo.
Oggi con una persona come lui mi trovo bene, a mio agio. Un tempo non era così, mi sentivo piccolo; (sorride) lui ripete sempre ‘e che cazzo!’.
Come sono i set negli Usa?
Organizzati perfettamente, niente al caso. Se con loro lavori in maniera seria, rispettando le indicazioni, ti tengono in considerazione. Poi giravo con una Ferrari…
Nientepopodimeno che…
Prestata da un signore che aveva una pizzeria. Un giorno gli ho chiesto: ‘Quanto consuma?’. E lui: ‘Non lo so’.
Chi ha la Ferrari non si preoccupa dei consumi.
È stata una domanda stupida; al massimo, in Calabria, ho posseduto una Vespa modificata: raggiungeva i 180 km/h. Dopo tre mesi ho fuso il motore.
In Calabria ci torna?
Sì, ho mamma: ha 87 anni e ancora zappa. Che donna!
(Chi scrive ha recitato, con una piccolissima parte, in un film di Mimmo Calopresti – “Aspromonte” – dove Marcello Fonte era tra i protagonisti. Sul set c’era sempre sua madre con in dono, per tutti, melanzane e pomodori sottolio)
Sua mamma prepara sempre quelle delizie?
Sì, ma ora sbaglia il sale: la lingua è “bugiarda”.
Un tempo la sua passione erano le tombe degli attori al Verano…
Ci vado spesso, ieri ho scoperto quella di Mastroianni. Ma la mia preferita resta quella di Sordi.
E sempre un tempo riconosceva i set sparsi per Roma dal tipo di cestino…
La sera mi capita di passeggiare e quando trovo un set mi fermo e mi offrono un pezzo di pizza.
Riguarda i suoi film?
Sì, e mi piaccio. Alla fine sono come tutti gli altri: un narcisista, un attore di merda.
Dovesse tornare il successo?
Lo riprendo.
L’errore da evitare?
Buttarmi via.
È un sopravvissuto al successo.
Me l’ha detto Michele Placido.
Chi è lei?
Marcello.