Specchio, 6 luglio 2025
Intervista a Vincenzo Schettini
La chiave di tutto è lo stupore. «Ti permette di non perdere la magia che si prova nel fare le cose, alimenta i progetti. Oggi abbiamo tutto a portata di mano, tutto è preconfezionato. È come se ci fosse una gara, quello che vedi in rete ne è un esempio: è talmente esagerato che il senso di meraviglia è spoilerato, rovinato». Il Prof Vincenzo Schettini, fisico, divulgatore, scrittore, amato docente con milioni di follower sui social, è energia pura. Ieri, sabato 5 luglio, ad Ancona, è stato protagonista all’UlisseFest – La festa del viaggio di Lonely Planet con il suo one man show E ancora mi stupisco.
Prof come si recupera il senso di stupore che ci hanno spoilerato?
«Individuando delle vie. Io racconto quella scientifica con il mio progetto La fisica che ci piace il cui obiettivo è far innamorare gli altri di questa materia attraverso gli esperimenti che faccio con oggetti comuni. Questo è stupore. La scienza è la via più bella per arrivarci perché esplora cose che fanno dire “wow”, ma hanno una logica. Tutto diventa così opportunità e conoscenza».
La prima cosa che ha stupito lei?
«A 8 anni mi colpì un esperimento della maestra di matematica. Arrivò in classe con un pentolino con un po’ d’acqua che fece bollire su una fiamma, poi chiamò il mio amico Vito alla cattedra e disse “adesso glielo versiamo in testa”. Ma girandolo non cadde nulla. Forse devo dire grazie a quella maestra, in quel momento ha innescato in me la curiosità per la scienza».
Che bambino era?
«Vivace. A 11 anni, d’estate, con i bambini del mio rione a Castellana Grotte preparavo e presentavo il circo, facendo pagare un biglietto alle persone, all’epoca erano 1000 lire. Poi il Festival di Sanremo a casa: costringevo i miei amici a imparare le canzoni per cantarle insieme davanti alla tv. Ero un organizzatore, chiacchierone, mi piaceva stare in compagnia ma ero anche molto fragile e solo».
Cosa intende?
«Ho vissuto un’adolescenza complessa per la mia omosessualità. All’epoca non se ne parlava, quindi è stata un po’ una tragedia, provavo un forte disagio e mi sentivo solo. Poi avevo un problema con il mio corpo. Ero molto magro e non mi piacevo. Non ho mai vissuto un bullismo diretto, ma abbastanza subdolo. Quindi il fatto che io non fossi desiderabile, lo sentivo. Così per compensare le difficoltà cercavo di essere simpatico. Questo mi ha salvato».
Quando ha fatto coming out?
«Il periodo del liceo l’ho vissuto schermato, nella menzogna se vogliamo. Ho provato ad avere una ragazza visto che tutti i miei amici erano fidanzati, poi, a 20 anni, ho fatto coming out con i miei genitori. È stato molto complicato. Anche se i miei erano persone aperte, hanno avuto paura. Si sono chiesti cosa avessero sbagliato nel mio percorso educativo, se fosse stata colpa loro. Subito c’è stato un raffreddamento nei rapporti, papà non mi ha più parlato, mamma cercava di mediare ma, allo stesso tempo, non mi capiva. Mio fratello, quattro anni più piccolo, mi difendeva ma è andato in confusione. È stato come se fosse scoppiata una bomba, tanto che mi sono pentito di averne parlato. Poi negli anni, piano piano, siamo riusciti a ricostruire i rapporti e ne siamo usciti più forti di prima».
Quando c’è stato il cambiamento?
«Tra le scuole superiori e l’università: mi sono aperto con gli amici, ho cominciato a lavorare fisicamente su me stesso, ad andare in palestra. Se non ti piaci devi fare qualcosa. Tra pesi e dieta equilibrata ho iniziato ad avere fiducia in me stesso».
Oggi come va?
«Viviamo un momento culturale molto delicato perché con un presidente degli Stati Uniti che lancia messaggi che ostacolano l’inclusività c’è stato un grande passo indietro. L’omofobia sui social la senti, non siamo così emancipati. A volte leggo messaggi che mi lasciano grande amarezza. Perché si deve parlare di natura e contronatura? Stiamo regredendo, ricordiamoci che il rispetto viene prima di tutto. E sono la cultura e la conoscenza che portano al rispetto».
Ha mai sognato di essere genitore?
«Con il mio compagno siamo insieme da vent’anni: ci abbiamo pensato e ne abbiamo parlato, ma ci siamo sempre confrontati con dei limiti: a una coppia gay non è consentito adottare bambini. Questo è lo status quo delle cose. Quindi, da persone civili, ci si adatta».
Che difficoltà vivono i ragazzi oggi?
«Non si sentono ascoltati e considerati. Sono incapaci di parlare di loro stessi perché spesso il confronto lo cercano in rete, non con una persona. È molto difficoltoso per i giovani questo mondo».
Quando ha capito che voleva fare il professore?
«Da piccolo. Ricordo le estati con mio fratello e i cugini, per studiare li riunivo, spiegavo e li interrogavo. Poi, avendo avuto una mamma insegnate, mi capitava di andare spesso con lei a scuola, ero affascinato dal registro».
La passione per la fisica come è nata?
«Dal ruolo del tenete Ellen Ripley, interpretato da Sigourney Weaver in Alien. Mi sono innamorato di questa eroina che percorreva le galassie contro le specie aliene. Astronavi, combattimenti e tecnologie di quel film sapevano di fisica e hanno innescato qualcosa in me».
Come si pone in classe con i suoi studenti?
«Cerco di mediare tra il presentarmi in maniera easy e il portare i ragazzi a comprendere quanto sia importante sacrificarsi nel percorso scolastico. Lo studio è metodo. Gli dico di studiare non per il voto ma per apprendere, perché diventeranno persone acculturate in grado di trovare il proprio spazio nel mondo».
È più complicato oggi il rapporto insegnanti-genitori?
«Con loro ho un rapporto diretto e di grande rispetto. Però mi rendo conto che oggi a scuola arrivano ricorsi per delle bocciature o per alunni rimandati come se piovesse ed è assurdo. I genitori sono costantemente informati del percorso scolastico del proprio figlio, quindi, quando accade, resto perplesso. Fate attenzione al messaggio che mandate: “Nessuno ti tocca, ti difendiamo noi”. È un errore per la sua crescita e per il suo futuro»,
Vede l’intelligenza artificiale un’opportunità o un pericolo?
«Entrambe le cose. Per un quattordicenne è un enorme problema perché lo ingabbia e impigrisce. C’è chi si fa fare i compiti da ChartGp ed è la fine. Per un ventenne che ha già un metodo di studio alle spalle, all’Università o nel lavoro può aprire nuove opportunità».
Come ha preso vita “La fisica che ci piace”?
«L’idea era di trasformare la fisica da pura lezione a vero e proprio intrattenimento. Il progetto è nato nel 2015 come canale YouTube poi è approdato nel tempo su tutte le altre piattaforme: oggi conta milioni di iscritti. È una cosa gigantesca, inaspettata. La gente sente la mia spontaneità, credo. A chi mi dice che sono un rivoluzionario della divulgazione scientifica rispondo che, in realtà, mi sento un bambino non cresciuto sotto alcuni punti di vista e pieno di entusiasmo».
Lei è violinista diplomato al conservatorio, ha fondato un gruppo gospel. La musica era il suo piano b?
«Da piccolo componevo e con il gruppo Wanted Chorus, nato 30 anni fa, continuo a esibirmi. Lo dirigo. La musica è parte della mia vita. “La fisica che ci piace” è un progetto che unisce le mie due anime: arte e scienza».
Cosa le piace e cosa non le piace del suo carattere?
«Il mio lato positivo è la creatività, quello negativo è che mi faccio influenzare troppo dalle mie sensazioni. Dovrei essere un po’ più panta rei».