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 2025  luglio 06 Domenica calendario

Rolf Sachs: "Ci sono città dove gli artisti vivono la luce e una particolare libertà Roma è tra queste, l’Italia ispira"

Rolf Sachs è un artista nato a Losanna, Svizzera, nel 1955, che lavora in diversi settori, dalla fotografia, pittura, scultura e installazioni al design degli interni e delle scenografie. Dopo aver studiato negli Usa e nel Regno Unito alla fine degli anni ’80, Sachs si è trasferito a Londra nel 1994 per dedicarsi alla sua attività artistica. Nel 2018 si è spostato a Roma, dove nel 2020 ha aperto un nuovo studio.
Come si descriverebbe?
«Mi considero un artista concettuale multidisciplinare. Ho esordito nel design, ma fin dai tempi della scuola ho avuto una passione per la fotografia. Negli ultimi 25 anni, ho fatto molte mostre incentrate su design, fotografia e scultura, e diversi progetti di scenografie per opere e balletti, lavori architettonici e tematici. Negli ultimi sei anni, mi sono dedicato a dipingere, studiare e catturare l’intangibile, e portarlo dentro la realtà. A volte penso che avrei voluto studiare arte seriamente, ma d’altra parte gli studi formali mi avrebbero probabilmente relegato a una sola disciplina. La sensibilità artistica è innata, non si può imparare».
Lei si ispira al famoso artista tedesco Joseph Beuys, si considera più minimalista o surrealista?
«Per comprendere lo spirito e la profondità del mio lavoro è essenziale visitare il mio studio. Quasi tutto quello che creo è guidato da un concetto. Gli artisti come Beuys mi hanno influenzato, e amo il surrealismo, ma il mio alfabeto creativo è minimalista. Quando lavoro sui mobili, non cerco le “arti decorative”, ma quelle che chiamo “arti emotive”, per creare pezzi che contengano un nuovo concetto, qualcosa di erotico o sensuale. Decostruisco i mobili per introdurre un linguaggio libero. Tutto quello che faccio deve apparire autentico, se qualcuno ha già fatto qualcosa di simile cerco subito un’altra idea».
Cerca ispirazione anche nel suo celebre senso dell’umorismo?
«La mia personalità emerge naturalmente nel mio lavoro. Penso che una certa leggerezza dell’essere sia importante per tutti».
Il suo studio a Roma si trova al piano terra di un palazzo residenziale di fine ’800?
«Sì, a Prati, in un vecchio garage ristrutturato. È una sorta di Wunderkammer, che contiene ogni genere di oggetti. È il luogo dove penso e posso sviluppare le mie idee creative».
Crede che la luce di Roma sia bella e piena di ispirazione?
«Roma ha una luce incredibile. Ci sono città dove gli artisti avvertono una speciale libertà, e Roma è tra queste. Il modello di vita italiano e la mentalità italiana sono indubbiamente fonte di ispirazione per le persone creative».
Perché è approdato a Roma?
«Per amore. Ho incontrato la mia compagna Mafalda von Hessen, con la quale mi sento incredibilmente in sintonia. Siamo entrambi tedeschi, anche se nessuno di noi ha quasi mai vissuto in Germania. È un periodo molto felice della mia vita, soprattutto ora che mi dedico completamente all’arte. Sto esplorando nuove profondità, è bellissimo sentirsi giovani in spirito ma dotati di maturità, soprattutto ora che mi sto concentrando sulla pittura, la vetta più alta che un artista possa raggiungere».
La fotografia in movimento è una sua specialità?
«Sì, muovo la fotocamera intenzionalmente per creare un senso di vigore. È un concetto speciale, non del tutto nuovo, ma poco esplorato. Un fotografo ungherese negli Anni ’30 aveva sperimentato con qualcosa di simile. Ho anche sviluppato una serie che chiamo fotografia d’ombra, che utilizza oggetti di vetro, con le loro ombre sempre uniche».
Nato a Losanna e cresciuto a Saint Moritz, è molto legato alla Svizzera?
«Senza dubbio, ma non mi considero svizzero. Sono metà tedesco e metà francese, con una formazione svizzera. Mi considero europeo».
E ora abita in Italia?
«E prima ancora a Londra. Il mio linguaggio artistico probabilmente è più tedesco che francese. Tradizionalmente i francesi erano più attenti all’aspetto decorativo, negli Anni ’30 avevano ancora designer come Majorelle e Ruhlmann, mentre in Germania c’era un’arte d’avanguardia più concettuale come il Bauhaus, ma anche la scuola viennese o il De Stijl».
Lei si considera un nipote del Bauhaus?
«Sì, ha segnato l’inizio del modernismo. Mi sento molto legato alla sua influenza. Purtroppo è stato spesso frainteso, portando a costruire blocchi di cemento che nel dopoguerra ne invocavano lo spirito, senza la sua sostanza. Molti non si concentrano sull’attenzione per le proporzioni e la sensibilità tattile essenziali per la visione originale del movimento».
Come trascorre la sua giornata romana?
«Vado in studio ogni giorno intorno alle 9.30 e ci resto per 7-8 ore, anche nei weekend. Preferisco lavorare nei weekend perché sono da solo, in completa libertà. Metto la musica ad alto volume e mi immergo nel lavoro creativo. Contrariamente a quello che si pensa, gli artisti fanno una delle professioni più impegnative. In un certo senso, siamo sempre in servizio».
Lei è in qualche modo un artista politico?
«No, ma mi interesso di politica. Io sono più dedito a cercare legami umani, valori come l’empatia, la tolleranza, il rispetto, l’interazione delle persone con la libertà di pensiero. Cerchiamo tutti di avere una mente libera, ma nessuno di noi la possiede davvero perché tutti abbiamo il fardello dei nostri problemi. Ci sono artisti che si dedicano a varie cause, per esempio alla difesa dell’ambiente, ma quello che mi tocca più profondamente è l’animo umano».
Ha abbandonato tutto per la pittura?
«Sì, è la forza interiore che mi spinge. Anche Mafalda prova la stessa cosa, anche lei dipinge, anche se in uno stile più figurativo. Ci diamo ispirazione e stimolo a vicenda, e alla fine tutto si riduce a lavorare, lavorare e ancora lavorare. Se ci si dedica, il lavoro acquisisce profondità, diventa più interessante, mentre si continua a sperimentare. Cerco di inventare sempre dei concetti nuovi, dei nuovi modi per esprimere le emozioni e trascenderle».