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 2025  luglio 06 Domenica calendario

Buoni pasto, appello dei fornitori “Portare l’esenzione a 10 euro”

Pausa pranzo sempre più cara e buoni pasto che, se va bene, coprono al massimo la metà della spesa. Un tema che con l’impennata dello smart working era stato accantonato ma che ora, dopo il rientro in massa negli uffici, torna a pesare sui portafogli dei lavoratori. Le imprese che gestiscono i ticket non hanno dubbi: per rendere più ricchi i buoni il governo deve alzare la quota di esenzione fiscale per gli elettronici, ferma a 8 euro dal 2020, a 10 euro.
Cinque anni fa ci fu l’incremento di 1 euro mentre per quelli cartacei, con lo scopo di disincentivarne l’uso, si è scesi a 4 euro. Dopo però l’inflazione è cresciuta. E il tetto blocca l’incremento del valore perché qualsiasi cifra al di sopra degli 8 euro non è esente da tassazione e contributi sia per il datore di lavoro sia per per i dipendenti. La quota extra fisco a livello europeo è più alta, inmedia 11 euro, e le società chiedono al governo di intervenire con la prossima legge di Bilancio o con un provvedimento fiscale per arrivare almeno a 10 euro.
Mossa che andrebbe in linea con l’innalzamento già deciso dall’esecutivo nel 2023 dei fringe benefit legati al welfare: mille o duemila euro a lavoratore a seconda che abbia o meno figli. «Il buono pasto è uno strumento fondamentale per il sostegno al potere d’acquisto dei lavoratori e un volano per un’intera filiera economica, che va dai piccoli esercenti alla grande distribuzione – sottolinea Matteo Orlandini, presidente di Anseb, l’associazione di categoria delle società che emettono i ticket – il limite a 8 euro, in un contesto di prezzi diverso da quello di cinque anni fa, rischia di limitarne l’efficacia». I salari reali infatti sono scesi di oltre l’8%, metre l’analisi Teha su dati Istat evidenzia che tra il 2021 e il 2023 la spesa reale in generi alimentari – depurata dall’inflazione che nel 2022 ha toccato l’8,1% e nel 2023 il 5,7% – è calata del 4%.
In Europa, come detto, la media di esenzione è a 11 euro. Le aziende chiedono al governo di portarla da 8 a 10 euro in Italia. Il che porterebbe ad un aumento del valore dei buoni di almeno due euro, riuscendo quindi a coprire una fetta maggiore del costo della pausa pranzo, in media intorno ai 12,50 euro.
«Un aggiornamento normativo rappresenterebbe un’opportunità per il settore, consentendo di offrire un servizio più adeguato alle esigenze delle famiglie e di sostenere i consumi», aggiunge Orlandini. Il ritocco provocherebbe, secondo la Sda Bocconi, un impatto sul Pil e sui consumi di circa 1 miliardo e un aumento degli occupati, intorno alle 14 mila unità. E a livello di fatturato degli esercenti l’effetto sarebbe positivo per circa 300 milioni con un ritorno per il fisco sull’Iva di 25 milioni. «I benefici sarebbero per il sistema, ma non solo – rimarca Fabrizio Ruggiero, amministratore delegato di Edenred Italia, una delle maggiori società del settore – i datidel nostro Osservatorio Welfare ci mostrano una realtà chiara: il caro-vita è la prima preoccupazione per il 60% dei lavoratori, con punte fino al 70% nella generazione GenZ. In questo contesto, strumenti come il buono pasto diventano essenziali. Rivedere la soglia di esenzione fiscale non è un costo, ma un investimento per incentivare le imprese a erogare buoni pasto più alti. Una misura che fa bene ai lavoratori, aumenta la competitività delle aziende e fa crescere l’intera economia del Paese». Già oggi il buono acquisto ha un’efficace funzione di integrazione al reddito. In particolare, per le famiglie del ceto medio, tra i 25-50.000 euro, il suo apporto in un anno equivale in media a una mensilità in più.