la Repubblica, 6 luglio 2025
Il nuovo show di Giuli “Cinecittà cratere vuoto prima di noi c’era l’Urss”
È l’arrivo di Alessandro Giuli alla festa romana di FdI a segnalare da che parte sta la premier nella guerra contro il cinema ingaggiata dal ministro della Cultura. Altro che fastidio, nessuna irritazione per la rivolta di un mondo che i Fratelli vedono come fumo negli occhi, fiancheggiatori del fronte avverso, amici della sinistra.
Alle sette della sera, il successore di Gennaro Sangiuliano scende il vialetto che conduce al laghetto dell’Eur, quartiere razionalista costruito da Mussolini e perciò amatissimo dai suoi eredi, scortato da Arianna Meloni: la sorella d’Italia che qui è di casa ma non era prevista alla serata conclusiva della kermesse cittadina. Esplicito il messaggio, anche a uso dell’alleato leghista: Giuli è il nostro alfiere, fatevene una ragione.
Lui, sul piccolo palco cui il sole al tramonto concede finalmente una tregua, lo coglie prima di tutti. E non si fa sfuggire l’occasione. Riempiendo di foga ideologica l’intervento sull’ultima querelle che sta infiammando il Collegio romano. «Fino al 15 agosto 2024 Cinecittà era un cratere estivo ribollente del nulla, vuoto di investimenti e reputazione», descrive gli Studios fin lì gestiti dall’ad insediato a suo tempo da Franceschini. Dopo la sua epurazione, «è arrivata Manuela Cacciamani», voluta non a caso da Meloni senior, «ha fatto una due diligence, si è messa a dialogare con noi e con il Mef e oggi è piena di produzioni: in un anno ha tolto l’Unione Sovietica da Cinecittà», esulta il ministro. Prima di lanciare l’affondo contro la stampa «che andrebbe sculacciata» per le cattiverie che scrive: «Ci siamo appena stati con la sottosegretaria Borgonzoni, felici uno accanto all’altra – basta con le scemenze che fanno girare – a goderci i risultati di una governance intelligente», smentisce ogni dissapore. Merito di un «centrodestra che lavora in silenzio». Lo skyline del Ventennio a ispirare un racconto da Istituto Luce.
«Cinecittà per chi governa Roma», riprende Giuli andando stavolta all’attacco del sindaco Gualtieri, «è come se non esistesse. Era governata come l’Unione Sovietica», ribadisce, «solo burocrazia, lentezza, controlli asfissianti da parte di nemici giurati della libertà di intrapresa e di movimento» anziché essere considerata per quel che è: «Uno dei posti più importanti del pianeta, che ha costruito la reputazione di Roma e del cinema italiano nel mondo». Una Cenerentola trasformata da FdI in principessa. Che ora tutti vogliono sposare. Sono gli aneddoti a corroborare la tesi del ministro.
«L’altro giorno ho incontrato il ceo di Netflix: cercavo di spiegargli l’importanza di produrre in Italia storie legate alla nostra tradizione, lui aveva capito che avremmo voluto cambiare il logo di Netflix. Era un misunderstanding, ma lo avrebbe fatto pur di lavorare a Cinecittà». E ancora Mel Gibson, «che ho incontrato a Matera: sono andato al suo albergo alle otto di mattina, lui era in ciabatte, mi ha detto che non vede l’ora divenire» nella nostra Hollywood sul Tevere «perché sa perfettamente che cos’è e sa che abbiamo non solo l’idea di riformulare il tax credit, per premiare le produzioni serie, quelle che non sono fantasmatiche ma reali, ma anche di incoraggiare le opere prime, i giovani, i tanti Mel Gibson che magari non sanno ancora di esserlo e sono usciti dal Centro sperimentale». È tutto luci e zero ombre il mondo narrato dal ministro, e chissà se si ritroverà pure nel bilancio. «Con la nuova governance abbiamo riempito i teatri, accelerato la spesa dei fondi Pnrr, restituito a Cinecittà un ruolo da protagonista», ripete. Rifiutando però di dare spiegazioni sui conti traballanti. «Se indossa la maglietta di FdI», propone alla cronista, «le dico tutto ciò che vuole». Dinnanzi al rifiuto, si rifugia nello stand protetto dal servizio d’ordine. L’allergia alle domande scomode, da queste parti, è contagiosa.