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 2025  luglio 06 Domenica calendario

Ilva, spinta sulla cordata italiana Restano anche Jindal e Bedrock

Due Ilva: da un lato, un polo del Nord con al centro l’attuale stabilimento di Genova e, dall’altro, un sito produttivo di dimensioni ridotte, rispetto a quelle attuali, a Taranto. E sul primo versante si guarda ai signori dell’acciaio italiano, mentre sull’altro si temono forti ripercussioni in termini occupazionali. Ora dopo ora si indeboliscono le speranze di mantenere intatto il perimetro di Acciaierie d’Italia, quindi tenendo assieme gli impianti di Taranto, Genova, Novi Ligure, Racconigi e Marghera. E si rafforza lo scenario peggiore che il governo non avrebbe mai voluto percorrere.
IL VERTICE
Per la cronaca, il futuro dell’ex Ilva, non sono quella a Taranto, si deciderà tra domani e martedì. E a dare le carte sono al momento quando gli enti locali pugliesi: nelle prossime 72 ore la Regione, la Provincia e il Comune di Taranto, l’amministrazione di Statte dovranno dire se accettano l’installazione di un rigassificatore nel porto del centro jonico (vorrebbero che la nave sia collocata a 12 miglia dalla costa), la presenza di un impianto di un desalinizzazione in alto mare (in questo caso si guarda al porto), sei forni elettrici (opterebbero per due).
Questi elementi sono fondamentali per scrivere il nuovo accordo di programma sull’area, propedeutico sia per chiedere la nuova Aia sia per bloccare gli effetti di una sentenza della Corte europea che impone la chiusura dell’acciaieria per motivi ambientali. Senza dimenticare che nell’accordo di programma sarà scritto che il futuro compratore di Acciaierie d’Italia sarà vincolato a una piena transizione ecologica, ipotesi non contemplata in una forma tanto stringente neppure del bando di gara che ha visto prevalere Baku Steel.
Senza la presenza del rigassificatore in porto salterebbero sia l’interesse degli azeri (per loro questa è una condizione sine qua non) sia la possibilità di installare nella stessa Taranto il polo del preridotto di ferro (il Dri), il materiale necessario ai forni elettrici per produrre l’acciaio di maggiore qualità, quello richiesto dalle industrie dell’automotive e della difesa. Perché, come ha ricordato Snam in un vertice al Mimit venerdì, con gli attuali gasdotti si riuscirebbe a garantire l’approvvigionamento energetico di metano soltanto per due forni elettrici.
Le pressioni sugli enti locali pugliesi – anche da parte del sindacato che vedrà domani il governo- sono forti. E proprio in prospettiva dello scenario peggiore si guarda a uno scenario alternativo per salvare il salvabile. Con l’uscita di Baku – sfavoriti anche dai nuovi scenari politici post trumpiani – i tre commissari straordinari scelti dal governo (Giovanni Fiori, Giovanni Fiori e Davide Tabarelli) proveranno a riannodare i fili con gli altri due attori internazionali, il colosso siderurgico indiano Jindal e il fondo americano Bedrock, nella speranza di trovare un acquirente che acquisti tutti gli asset dell’ex Ilva. Per la cronaca, gli indiani – che già hanno fatto sapere di non essere interessati a investire sulle attività del preridotto – sarebbero alquanto freddi sul dossier.
A quel punto, secondo gli esperti del settore, resterebbero due sole strade. Tra gli imprenditori settentrionali – anche per garantire un futuro industriale al Paese – cresce il desiderio di un polo dell’acciaio da costituire – partendo da Genova – con gli stabilimenti ex Ilva del Nord. Il governatore ligure Marco Bucci e la sindaca della Lanterna Silvia Salis si sono detti già disponibili a favorire in ogni modo il loro territorio, che già può vantare un porto di eccellenza che non farebbe fatica a ospitare una nave rigassificatrice. Al riguardo i commissari potrebbero riallacciare i fili con gli imprenditori italiani che hanno già presentato manifestazioni d’interesse (anche se per singoli pezzi) durante la procedura di gara. Si lavorerebbe quindi per mettere assieme realtà come il gruppo Marcegaglia, Eusider, Vitali, Imc, Sideralba o Profilmec. E si guarderebbe anche ad altri grandi gruppi del settore come Arvedi, Feralpi, Acciaierie Venete e Acciaierie Valbruna. Resterebbe da “piazzare” (magari a un player internazionale) un’Ilva di Taranto, che senza rigassificatore faticherebbe a produrre più di 4 milioni di tonnellate all’anno e vedrebbe dimezzato l’attuale organico. Intanto, per ospitare il polo del Dri, si rafforzano le chance dell’area di Gioia Tauro.