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 2025  luglio 04 Venerdì calendario

Britannic, il gemello del Titanic in fondo al mare e mai fotografato tutto intero

Il relitto del Britannic, la nave gemella del Titanic, riposa sul fianco destro, sul fondale del Mare Egeo, a circa 118 metri di profondità. Ben più vicino alla superficie rispetto alla «sorella» più celebre, colata a picco dopo aver urtato l’iceberg e inabissatasi sino a 3.810 metri. Nonostante ciò, non esistono fotografie che raffigurino il Britannic per la sua interezza, né del suo interno. Troppo grande la nave per stare tutta in un unico obiettivo, troppo lunga per illuminarla per una ripresa in campo largo. E molto attenti il proprietario del relitto stesso – sembra incredibile, ma c’è un uomo che vanta i diritti sul relitto – e l’Εφορεία Εναλίων Αρχαιοτήτων, il dipartimento del Ministero della Cultura greco responsabile dell’archeologia subacquea.

«Questi ultimi vietano di entrare nel relitto. E fanno pagare per i permessi e per ogni foto scattata con fini commerciali», spiega Andrea Murdock Alpini, il subacqueo di origini varesine che è appena tornato da una immersione su quella che ha chiamato «Il Leviatano degli abissi». «Perché era stata riconvertita in nave-ospedale durante la Prima guerra mondiale e ridipinta di bianco. Sott’acqua, sembra una grande balena bianca», dice.
Il Britannic era una delle tre navi della Classe Olympic, armata dalla White Star Line e ideata da Joseph Bruce Ismay, amministratore delegato della Compagnia di navigazione, che sul Titanic si salvò. Era la più grande e «sicura» (mai dirlo, di una nave) delle tre sorelle, perché modificata durante la costruzione dopo l’affondamento della più celebre (poteva restare a galla con sei compartimenti stagni allagati, contro i quattro del Titanic). L’Olympic, invece, è stata in un certo senso la più fortunata delle tre, perché ha vissuto dal 1910 al 1935, quando venne demolita, fermata dalla concorrenza dei transatlantici più nuovi, tra cui anche gli italiani Rex e Conte di Savoia e da un brutto incidente che la vide speronare il battello-faro di Nantucket.

Varato nel 1911 sugli scali del cantiere Harland & Wolff di Belfast, il Britannic (che secondo alcuni si sarebbe dovuto chiamare Gigantic) fu requisito dall’Ammiragliato britannico nel 1915 e trasformato in nave ospedale prima che potesse entrare in servizio come liner – era nel frattempo iniziata la Prima guerra mondiale -, con sale operatorie e «corsie». L’ultimo viaggio il 21 novembre 1916, quando affondò dopo aver urtato una mina tedesca, mentre navigava tra Capo Sunio (Attica) e l’isola di Kea, parte delle Cicladi: a bordo 1.066 persone (673 membri dell’equipaggio, 315 Royal Army Medical Corps, 77 infermiere e il comandante). Ci furono 30 morti, di cui solo cinque corpi tra i dispersi recuperati. Tanto che il relitto è diventato tomba di guerra.
 
Il Britannic si girò sul lato di dritta e la nave scivolò nell’abisso. «Il relitto fu localizzato nel 1975 da Jacques Cousteau, che poi vi si immerse nel 1976», racconta Murdock Alpini. Il prossimo anno saranno 110 dal suo affondamento. «Ci siamo tuffati, io con altri sette subacquei, tra cui altri tre italiani (Murdock Alpini è anima della Phy Diving Equipment, che organizza missioni per subacquei esperti, ndr), per documentare lo stato del relitto, oltre a svolgere uno dei primi studi al mondo mirati sulla decompressione e la fisiologia dei sub durante le immersioni ripetute insieme con l’Università di Padova e il Cnr di Milano».
 
Non solo. «Le spedizioni servono anche per prevedere quale sarà il futuro del relitto, se durerà nel tempo. A tal proposito stiamo cercando di capire se richiedere permessi speciali per penetrare al suo interno». Un tabù, consentito a pochissimi. Quest’anno, ad esempio, solo un gruppo di sub che ha preceduto quello di Murdock Alpini ha potuto farlo: ha recuperato una delle due campane di bordo, una lanterna e porcellane, piatti, etc. con il logo della White Star, che dovrebbero essere esposte nel nuovo Museo del Mare di Atene. «Sono le stesse del Titanic, dunque sono memorabilia molto ricercate». Ma non ci sono solo le memorabilia simil-Titanic a far fantasticare i subacquei appassionati di relitti. «Ogni immersione è un viaggio a ritroso nel tempo. Nel caso del Britannic, c’è anche il fascino ulteriore delle sale operatorie, dell’attrezzatura medica dell’epoca, che andrebbe valorizzata».
Memoriabilia proibite, tutelate dal codice penale greco. «Il relitto è un bene culturale ed è protetto come tale dalla Grecia – aggiunge Murdock Alpini -. I controlli di ritorno dalle immersioni sono severissimi A noi ci hanno smontato il furgone delle attrezzature alla dogana…». Ma già prima del tuffo, c’è una selezione. «I permessi sono centellinati: sette anni fa, quando mi immersi per la prima volta su questo relitto, venivano autorizzate 1-2 spedizioni l’anno. Oggi, 3-4. Significa che si immergono 15, massimo 20 sub ogni anno, che decisamente non è molto». Pochi permessi, per preservare quella che è anche una tomba di guerra. E poi, non si tratta di una immersione per tutti. «Le correnti sono forti e soffia spesso un vento di 25-30 nodi, tali da far venire meno le condizioni di sicurezza in superficie. Noi in quindici giorni ci siamo potuti immergere per soli quattro giorni, che sono comunque tanti rispetto alle statistiche». Inoltre, c’è anche il problema del traffico marittimo. «Bisogna avvertire con largo anticipo, anche di anni, la Capitaneria greca, che sposta le rotte delle portacontainer e delle gasiere dirette in Turchia. Il luogo dell’immersione c’è proprio in mezzo».

Ad essere ostativi, infine, sono anche i costi. Oltre a quelli della spedizione, bisogna versare una tassa al governo greco per il permesso di immergersi, e si paga anche per scattare foto e girare video a scopi commerciale (libri, tv). A chi si paga? A Simon Mills, storico britannico, già filmaker, autore di diversi libri sul Britannic, che ha acquisito i diritti di sfruttamento del relitto (e di altri, per un totale di 15 mila sterline) nel 1996, dal governo di Londra – ogni nave da guerra appartiene allo Stato che l’ha armata, anche se in acque territoriali in questo caso greche – via Lloyd’s. E che si è accordato con le autorità di Atene per il rilascio dei permessi d’immersione. «Volevo che il relitto restasse integro, poi pian piano ho aperto alle immersioni», aveva spiegato.
 
Un relitto che per tutte queste ragioni resta finora «elitario». «Per contro, quel tratto di mare regala una visibilità di 25, anche 30 metri. Noi ne abbiamo avuta di 20 metri, sempre». Il che, consente di impadronirsi, almeno con lo sguardo, del Britannic. «Sì, tenendo conto però delle dimensioni della nave, un colosso di 270 metri, di 48 mila tonnellate di stazza. Tutto è gigantesco, l’ancora, un argano sono 3-4 volte più grandi di un uomo. Per avere la scala giusta bisogna allontanarsi dal relitto». E guardare la storia da più lontano.