Il Messaggero, 4 luglio 2025
Salvi smartphone, pc e veicoli elettrici Sì all’export di software per i chip in Cina
Per ora la tregua tra Stati Uniti e Cina sta durando e come promesso Washington ha tolto il blocco alla vendita di un asset fondamentale per Pechino: i software per progettare microchip, un settore controllato quasi all’80% da quattro aziende americane – TrendForce, Synopsys, Cadence e Siemens Eda, divisione americana del colosso tedesco – e fondamentale per l’industria tecnologica cinese. In pratica, senza i software Eda (Electronic Design Automation) la Cina non è in grado di costruire i microchip, nonostante abbia centinaia di industrie pronte a produrli, cosa che renderebbe impossibile sviluppare e costruire auto elettriche, computer e altri prodotti che il colosso esporta in tutto il mondo. C’è da dire che dopo il blocco voluto da Donald Trump, il governo cinese ha cercato di investire in aziende locali in grado di sviluppare software Eda, ma per ora il livello di precisione e l’avanzamento del progetto sono ancora a livelli distanti dalle esigenze dell’industria. Gli esperti del settore definiscono questi programmi dei «punti di strozzatura», ovvero degli elementi invisibili e sconosciuti che possono però paralizzare un intero settore. Prima dell’accordo tra Cina e Stati Uniti tuttavia alcuni analisti avevano criticato la scelta di Trump, sostenendo che avrebbe semplicemente spinto la Cina a sviluppare il settore a discapito degli Stati Uniti e del loro quasi monopolio. Nel frattempo le quattro aziende americane hanno detto di aver ricevuto una lettera dal dipartimento del Commercio nella quale si afferma che possono riaprire le esportazioni verso la Cina ma prima devono ricevere l’approvazione da parte delle autorità federali. Infatti gli Stati Uniti avevano informato le aziende produttrici di software per la progettazione di chip, lo scorso 23 maggio, che avrebbero dovuto ottenere delle licenze prima di esportare software e altre tecnologie per semiconduttori verso la Cina.
IL PIANO
La decisione è arrivata dopo un precedente inasprimento dei controlli all’export su altri prodotti legati ai semiconduttori, che aveva già limitato la vendita di processori avanzati per l’intelligenza artificiale da parte di Nvidia e Amd alla Cina. Già nel corso della presidenza di Joe Biden, Washington aveva deciso di tagliare l’esportazione dei chip più avanzati, per evitare che la Cina potesse rafforzare la sua industria bellica e il settore dell’intelligenza artificiale, ma anche per i timori che Pechino potesse poi rivendere i prodotti a Paesi avversari come l’Iran, la Russia o la Corea del Nord. Dopo la decisione di ieri le azioni di Synopsys e Cadence sono salite di oltre il 5% a Wall Street. Sembra che la tregua tra i due Paesi stia tenendo, dando segnali per un possibile accordo più strutturato rispetto a quello raggiunto la scorsa settimana. Per ora i dazi all’importazione dei prodotti cinesi restano del 30% e, in cambio, la Cina si è impegnata a far ripartire l’esportazione di terre rare, di cui è praticamente monopolista, e che servono a Washington sia per l’industria tecnologica che per quella militare. Ma nonostante i segnali di distensione, Trump e i suoi consiglieri economici starebbero cercando di accerchiare Pechino in un altro modo: nell’accordo con il Vietnam infatti, oltre ai dazi del 20%, gli Stati Uniti imporranno tariffe del 40% sulla merce prodotta fuori dal Vietnam che però esporta dal Paese attraverso aziende straniere. E i dati dicono che si tratta di una pratica usata molto spesso dalla Cina – scrive il Wall Street Journal – per evitare di pagare dazi più alti.