la Repubblica, 3 luglio 2025
Intervista a Pupo
La vita è quel che ti accade mentre pensi ad altro. La meraviglia della musica è citare John Lennon parlando con Pupo. «E io avevo l’idea che sarei morto a 50 anni tra sesso e gioco. Ora sono a 50 sì, ma di carriera, che celebro con un tour mondiale, poi il compleanno sarà il numero 70. Tutto mi sta andando benissimo, tra vita privata e lavorativa, e mi chiedo cosa abbia fatto per meritarlo. Scartate ipotesi tipo Divina provvidenza, penso alla buona fede: sono un candido, un puro, ho fatto male solo a me stesso, volontariamente, ad altri è stato senza accorgermi».
Ci dica del tour.
«Parte il 13 da Arezzo e girerà il mondo: Canada, Usa, Svizzera, Germania, Australia, Sudamerica, e Russia».
Alt, Russia. Non ha mai disdegnato andarci.
«Sono popolarissimo lì dal 1979, tempi non sospetti. Perché negare a un popolo, che è anche vittima della guerra, la possibilità di sentirmi? Putin, mai conosciuto. Dove mi chiamano, e pagano ovviamente, vado. Andrei anche in Corea del Nord. E in Ucraina se ci fossero le condizioni di sicurezza».
Le sue fattezze le sono valse il soprannome di Pupo: ma a quasi 70 anni non è un po’ ridicolo?
«Ci ho sofferto per anni. Ma ormai è un marchio, anzi un suono. Solo a Sanremo ‘92 ho provato a farmi chiamare Enzo Ghinazzi: Baudo mi annuncia, dal palco vedo la gente sbigottita chiedendosi chi fossi. Finita la canzone, inizio a rincorrere Gianni Morandi che mi aveva convinto a questo cambio.
Mentre lo inseguo suona il telefonino: è Mogol, che mi rimprovera per aver abbandonato lo pseudonimo. Me lo diede Freddy Naggiar, della Baby Records, il primo discografico a credere in me. Non le dico cosa fu tornare a casa col primo disco, Ti scriverò,e il nome Pupo. Mia madre per la sorpresa e la delusione non mi parlò per un mese e mezzo».
Era il 1975. In cinque anni tutti sapevano chi era Pupo.
«Non ci credeva nessuno, i primi tempi mi mantenevo facendo altro. Distribuivo i dischi della Cramps Records, l’etichetta più alternativa e intellettuale che ci fosse, di Finardi, Area. Il paradosso: un cantante pop che piazza i dischi più diversi da lui che esistano. Alla fine proponevo sempre il mio, mi prendevano a pernacchie».
Ma poi ecco “Gelato al cioccolato” e soprattutto “Su di noi”.
«Che portai a Sanremo dietro insistenza di Gianni Ravera: mi promise mari e monti, anche il diritto di veto su altri concorrenti. Andai e basta, terzo posto e il mondo ai miei piedi. Il mondo, sì: scrissi anche Sarà perché ti amo dei Ricchi e poveri».
Lei non sfruttò benissimo il successo.
«Lasciai libero sfogo ai miei tre demoni. Il primo è la musica, quindi artisticamente tutto bene. Il secondo è il gioco: ho sperperato, in euro, 3-4 milioni. Ho smesso da vent’anni, ma reprimo la tentazione ogni giorno. Il terzo è il sesso, compulsivo e con chiunque e ovunque».
Situazioni estreme raccontabili?
«In un autogrill in Romagna aspettando i soccorsi dopo un incidente. E prima di una sagra con la moglie di un organizzatore, che era pure di una cosca malavitosa. La motivazione di fondo è la stessa del gioco: il rischio. Più è alto, più è spericolata la situazione, più tu godi».
Parlando di oscenità, non male neanche “Italia amore mio”.
«Seconda a Sanremo 2010, anzi prima, ma mi dissero che dal Quirinale non apprezzavano che vincesse Emanuele Filiberto di Savoia, erede al trono che fu. È giudicata la più brutta canzone della storia del festival. Io la trovo bellissima».
Lì però era già il Pupo rilanciato dalla tv.
«Ero distrutto e pieno di debiti nel 2006. Affari tuoi doveva toccare a Fabio Fazio e Teo Teocoli. Fabrizio Del Noce, direttore di Rai 1, l’affidò a me. Non ho mai voluto sapere cosa successe, stimo Fazio, è un amico, ma così andò. Accettai per un solo motivo: i soldi».
Non ama la tv?
«Ai tempi poco, ora per nulla. Ho fatto il commentatore del Grande Fratello senza vederne un secondo, prendeva appunti un autore. Lo schermo è acceso fisso sul 54, Rai Storia. Voglio la cultura che non ho mai avuto. Ho preso da privatista la promozione in quinta Scientifico, nel 2026 ho la maturità, poi mi iscriverò a Scienze della comunicazione».
Cos’è, la frustrazione di chi non è mai stato preso sul serio perché sono solo canzonette?
«Ovvio. Soffro da matti per essere considerato uno che fa solo robetta. Ma scrivere bene il pop è un’arte, come lo è scrivere bene una canzone d’autore».
Altri rimpianti nella vita?
«Convinsi due mie fidanzate ad abortire. Ma non vorrei parlarne».
Ci mancherebbe e ci scusi. Tra l’altro la sua vita sentimentale è tanto strana quanto felicissima.
«Da quasi 40 anni ho una moglie, Anna, e una compagna, Patricia.
All’inizio non è stato facile, ma siamo persone mature e equilibrate».
Altri amori: la Fiorentina. Contento di Dzeko?
«Da buon tifoso viola, perdo la ragione. Se resta Kean possiamo lottare ai vertici. Se va via, chissà che sarà di noi».
Inizierà a capirlo mentre compirà 70 anni.
«L’11 settembre. A Ponticino, dove sono nato, inaugurerò la sede delle attività di musica e spettacolo della famiglia Ghinazzi. Era un albergo mio che ho venduto nei periodi difficili e ora ho avuto la soddisfazione di ricomprare. Che posso dirle? Su di me il mondo è una favola».