il Fatto Quotidiano, 3 luglio 2025
“Il trono con levrieri di Vangelis e l’ultima volta di Jimi Hendrix”
“In un tour arrivavamo sul palco portando una bara. Durante le prove, stanco, mi infilavo nel catafalco per riposare. Gli altri mi ci chiudevano dentro!”.
L’epopea de Le Orme, caro Michi Dei Rossi.
Aprivamo strade per la messa in scena dei live. E non solo: nella copertina di Collage vedevi un cimitero sconsacrato”.
Bare a parte, viveste la stagione d’oro del progressive rock.
Fummo tra i primi a pubblicare un album dal vivo, In Concerto. Nel ’75, al Brancaccio di Roma.
Le Orme erano in giro da un decennio. Ora celebrate i 60 anni di attività. Avete festeggiato giorni fa in Friuli al Festival Folkest (che andrà avanti in questo luglio).
Ero entrato nel gruppo nel ‘67, sostituendo il batterista partito per la naja. Vivevo a Marghera, la Liverpool italiana: c’erano un sacco di band. Iniziai con gli Hopopi, dove militava Tony Pagliuca. Facevamo cover.
La formazione storica: Dei Rossi, Pagliuca basso e voce, Aldo Tagliapietra tastiere.
Ci eravamo fatti le ossa nelle sale da ballo. Nel ’68 suonavamo al Piper, il primo successo fu Senti l’estate che torna. 250mila copie. Ci iscrissero a Un disco per l’estate, soffiando il posto a un monumento, Luciano Tajoli: qualcuno gridò allo scandalo. Arrivammo in fondo alla classifica. Però qualcosa stava cambiando. Quel pezzo fu una scintilla. Se lo riascolto sento l’odore di asfalto bollente, le voci della gente, l’aria carica di possibilità.
Andaste da spettatori al Festival di Wight ’70.
Non potevo sapere che quell’evento sarebbe stato irripetibile. Fine agosto, 600 mila persone, molte entrate abbattendo le recinzioni, si contestavano i biglietti. Ricordo Jimi Hendrix, la sua ultima volta sul palco: notte, pubblico ipnotizzato. Un visionario, oltre che un virtuoso. Non ci rendevamo conto fosse un addio. Morì pochi giorni dopo.
Un cast da dèi dell’Olimpo.
L’energia selvaggia degli Who, la potenza surreale di Miles Davis, l’eleganza dei Jethro Tull. E i Doors: Jim Morrison sembrava lontano, come avesse già un piede in un altro mondo. Fu il commiato all’Europa dei Doors. I ’60 finivano lì, su quell’isola sospesa tra sogno e caos. I ’70, fra tensioni e disillusioni, bussavano alla porta. Io c’ero.
Voi Orme, la PFM, il Banco, gli Osanna e i Trip, vi agganciaste al treno del prog britannico, con uno stile italiano. Frequentaste i Genesis.
Non avevamo un manager. Affittavamo i teatri, che ripagavamo col cachet, facendo due set al giorno. Restavamo senza una lira. Uomo di pezza diventò disco d’oro. Avevamo varcato la soglia. Con i Genesis c’era in comune l’etichetta, la Charisma, che pubblicò in Inghilterra il nostro album Felona e Sorona. Conoscemmo i Genesis a un loro show: scattammo foto insieme, ripromettendoci di vederci in Italia. C’era stima reciproca, apertura.
Felona e Sorona era un concept, il vostro capolavoro.
Gian Piero Reverberi ne unì i fili, in studio a Milano. Dove incrociammo Peter Hammill, leader dei Van Der Graaf Generator. Hammill suggerì il nome Sorona, da ‘sorrow’, il pianeta triste contrapposto a quello felice. Fu il nostro affondo nella scienza e nella mitologia. Un’odissea nel destino, nella luce e nell’ombra, l’equilibrio che si spezza in un eterno ciclo distopico. A Felona si vive in bolle di cristallo sospese, il vento guida le esistenze. Sorona è il regno dell’opaco, nebbie avvolgono città perdute e stagioni morte. In mezzo, un’entità osserva e forse giudica, o resta inascoltata. Una potente allegoria: politica, spirituale, esistenziale.
Hammill ne riscrisse i testi per la versione inglese.
La musica era un terreno di condivisione. Un’urgenza ci univa, come fossimo tutti parte di un motore galattico.
Con Vangelis come andò?
Nel ’77 la Phonogram ci propose di andare a Londra per registrare Verità Nascoste al Nemo, lo studio di Vangelis. Lo incontrammo a casa sua. Stava in trono su una sedia ovale, due levrieri accanto. Il disco ce lo producemmo da soli, fu uno dei nostri più importanti.
Lei è rimasto l’unico membro quasi-fondatore.
Con Aldo e Tony eravamo arrivati così in alto da non poterci più toccare. Proposi un ultimo tour a modo nostro, per chiudere il cerchio. Non ci fu apertura, è stato giusto così. Mi riempie di gratitudine essere ancora oggi la bandiera delle Orme, nel viaggio cosmico tra Felona e Sorona.