il Fatto Quotidiano, 3 luglio 2025
Oro, rubini e Genny: il giallo pompeiano della chiave sparita
La poltrona di ministro ormai è andata. Ma Genny Sangiuliano, tornato in Rai dopo l’avventura al Collegio Romano, continua a essere inseguito, braccato, perseguitato e non c’entrano le angherie che dice di aver subito da Maria Rosaria Boccia, la femmina fatale che gli ha fatto perdere la testa e poi il sonno nella calda estate del 2024. Ora l’incubo è il processo per peculato che incombe sul suo capo, peggio delle unghiate feroci: c’entra la chiave d’oro tempestata di diamanti e di ogni altro bendidio con cui l’aveva omaggiato la città di Pompei in quel finire di luglio di un anno fa per la gioia dei presenti: Sangiuliano felicissimo e fiero e Maria Rosaria al suo fianco prima che tutto si imbrogliasse. Lo scandalo della consulenza promessa all’amata che l’accompagnava senza titolo ovunque, le dimissioni, le denunzie reciproche e i mille altri interrogativi di cui resta un solo mistero: chi si è fottuto la chiave d’oro?
La sparizione del monile, infatti, è l’ingrediente più sapido di una trama a cavallo tra Poirot e Sherlock Holmes. Sangiuliano ha giurato e spergiurato di non saperne nulla, o meglio si è incartato: aveva dichiarato alla stampa di averlo portato al ministero della Cultura come prescriverebbe la legge del 2007 per i doni di valore superiore ai 300 euro, ma poi – come gli rinfaccia il Tribunale dei ministri che lo vuole mandare a processo per peculato – lo stesso ministero lo aveva smentito: “Qui la chiave non è mai arrivata”. Poi a settembre 2024, qualche settimana dopo essersi dimesso aveva invece suggerito che il monile poteva averlo la sua ex Boccia, vista “la fotografia postata dalla medesima sui social”. Soprattutto si era detto comunque disponibile a saldare il conto della chiave-gioiello che quel dì a Pompei pensava fosse una patacca senza valore, ma vagli a credere: i magistrati che hanno bussato alla porta del Senato per chiedere l’autorizzazione a procedere in giudizio scrivono che questa versione “non è minimamente credibile considerato il peso del monile pari a circa 92 grammi, le pietre preziose e semipreziose impiegate, il tutto descritto con dovizia di particolari nel certificato di autenticità che accompagnava il dono istituzionale ricevuto (…) che costituisce un dato probatorio ineludibile”.
Insomma, Genny mente e non importa se nel frattempo, certamente ben consigliato, abbia sganciato una discreta cifra per metterci una pietra sopra. Perché per il collegio che lo vuole mandare a processo, “solo dopo che varie testate giornalistiche avevano pubblicato notizie specifiche e concrete di danno erariale ha attivato il procedimento (per ripagare il gioiello, ndr) che per sua stessa ammissione non aveva più nella sua disponibilità” e di cui “egli non ha denunciato né il furto né lo smarrimento: accertato che l’indagato quand’era in carica aveva avuto una relazione con la citata Boccia, deve logicamente desumersi che egli ne abbia volontariamente disposto a favore di terzi in data antecedente alla richiesta di pagare la differenza”. Quanto? La chiave vale 12.150 euro (Iva esclusa) che a Sangiuliano è costata pure 1.200 euro in più per via dell’incremento che ha avuto nel frattempo l’oro, su cui l’aveva incalzato la Corte dei Conti.
Quanto al profilo penale della faccenda, invece, per il Tribunale dei ministri non si scappa: è peculato e pace se Palazzo Madama non abbia concesso l’autorizzazione a dare un’occhiata alle chat tra lui e Boccia. Bastano le “testimonianze” acquisite: l’amministratore della Lina Vitiello Gioiellieri srl, il segretario generale del Comune di Pompei, il capo dipartimento del ministero della Cultura e pure le parole dette o scritte da Sangiuliano per tentare di venir fuori dalla palude. Ma se c’è una prova regina è senz’altro la pergamena consegnata con la chiave al ministro perché si rendesse conto di quanto fosse prezioso l’omaggio di Pompei: peso 92 grammi in oro 9k con incastonatura di pietre preziose (numero 24 diamanti, taglio brillante per 0,6 carati) e semipreziose (24 rubini e 24 smeraldi da 0,72 carati) interamente rifinita a mano con incisioni e dettagli personalizzati tali da renderla e irreplicabile…”. Un pezzo unico dall’impugnatura al pettine dove erano state incise le iniziali del ministro, G.S: che fine ha fatto?