il Giornale, 3 luglio 2025
L’Ilva dice addio a Taranto. Il suo cuore sarà a Genova. Dopo l’uscita di scena del socio privato Baku Steel rivelata martedì dal Giornale – si profila un nuovo scenario per l’acciaio italiano
L’Ilva dice addio a Taranto. Il suo cuore sarà a Genova. Dopo l’uscita di scena del socio privato Baku Steel rivelata martedì dal Giornale – si profila un nuovo scenario per l’acciaio italiano. Un Piano B che alla luce dei reiterati “no” da parte degli enti locali alla nave rigassificatrice nel porto di Taranto (propedeutica a tutto il piano di rilancio del polo siderurgico), taglia fuori il capoluogo pugliese dai piani nazionali per il preridotto meglio noto come DRI, l’acciaio green a zero emissioni.
Secondo quanto ricostruito dal Giornale, il progetto starebbe prendendo piede dopo i colloqui bilaterali tra il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, il presidente della Regione Liguria, Marco Bucci, e il sindaco di Genova, Silvia Salis, nell’ambito dello sviluppo del polo siderurgico ligure.
"Nel corso di due confronti telefonici ha scritto ieri il Mimit in una nota – il ministro Urso ha illustrato i contenuti del nuovo Piano Siderurgico Nazionale, che traccia la transizione verso una siderurgia sostenibile attraverso l’adozione di forni elettrici e la realizzazione di impianti DRI (Direct Reduced Iron) al fine di ridurre le emissioni e rafforzare la competitività del comparto. Particolare attenzione è stata inoltre dedicata all’approfondimento delle potenzialità del sito ex Ilva di Genova-Cornigliano, così come di quelle dei vicini stabilimenti di Novi Ligure (Alessandria) e Racconigi (Cuneo)”. Un’attenzione che martedì prossimo – dopo l’ennesimo e finale confronto con gli enti locali – si formalizzerà in un nuovo piano per Genova e Taranto.
Una pagina bianca, tutta da riscrivere (ma con un futuro) per gli stabilimenti ex Ilva presenti in Liguria e in Piemonte che, a differenza di Taranto, possono avere facilmente a disposizione il gas necessario agli impianti DRI e sono quindi stati identificati come alternativa di sviluppo del nuovo acciaio made in Italy.
Per la città pugliese, a questo punto, si profila un forte ridimensionamento sicuramente più in linea con la volontà della cittadinanza e degli enti locali che rispediscono al mittente, ormai da tempo, e a fasi alterne, ogni progetto di rilancio per lo storico polo dell’acciaio ridotto al lumicino.
Dopo l’incidente all’Altoforno 1, produce circa 1,5 milioni di tonnellate di acciaio: un dato lontanissimo dai 6 milioni annui di produzione che sarebbero necessari per il pareggio finanziario. Una condizione produttiva che in nessun modo potrà essere cambiata prima del febbraio 2026. Un tempo infinito per le imprese del made in Italy che hanno bisogno ora di acciaio italiano per le nuove commesse e per i progetti infrastrutturali.
La mini-Ilva ovviamente non potrà produrre lo stesso acciaio, né mantenere i medesimi livelli occupazionali. Per cui si prevede un significativo ridimensionamento del numero di addetti e una produzione a forni elettrici (ma non DRI), in pratica una produzione di acciaio cosiddetto sporco da rottame.
Non è un caso che ieri il ministro abbia rinviato l’incontro dell’esame della Cigs (previsto per oggi) al 14 luglio. Evidentemente il periodo guadagnato serve ad affinare il Piano B prima dell’annuncio ufficiale.
In ogni caso il giorno della verità (formale) sarà martedì prossimo. Dopo quella data la storia dell’Ilva cambierà per sempre e ancora una volta a causa di interessi particolari e prese di posizione, in un intreccio perverso tra magistratura locale e politica del territorio, che negli anni hanno affossato un’industria che nel primo decennio degli anni duemila era il fiore all’occhiello dell’industria europea.
Il tramonto su Taranto è l’epilogo di una serie continua di veti, politici e giudiziari, a cui il governo Meloni ha deciso di dire basta con un’alternativa che potrebbe salvare – questa volta davvero – quello che resta dell’acciaio italiano, prodotto però a un indirizzo diverso.