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 2025  luglio 03 Giovedì calendario

La dinastia del pianoforte

Sto per raccontarvi la storia di Silvio Ciampi, figlio ed erede di Mario Ciampi il quale, ottant’anni fa, nel 1945, aprì in via Vespasiano 34, quartiere Prati, un negozio di pianoforti che ha rappresentato e ancora rappresenta un vero e proprio pilastro a supporto della grande musica a Roma. È una storia affascinante che riguarda il commercio ma anche tanti pianisti, compositori e direttori d’orchestra di fama mondiale. Tutto inizia prima della guerra.
I LABORATORI
Il giovane Mario Ciampi ha una passione: i pianoforti. A lui, più che l’aspetto artistico dei pianoforti interessa come vengono progettati, come vengono assemblati, interessano le corde metalliche percosse dai martelletti rivestiti in feltro azionati da una meccanica collegata ai tasti. Così, da ragazzo, dopo la scuola, passa interi pomeriggi nei laboratori dell’epoca a osservare gli artigiani e a rubare i loro segreti professionali. Tanto che, finita la guerra, apre il suo negozio che oggi viene portato avanti con amore e passione dal figlio Silvio e da Matteo, il figlio di Silvio. Come dire: tre generazioni al servizio del pianoforte.
IL MUSEO
Incontro Silvio, ottant’anni portati alla grande, elegante, educato, occhi curiosi che sprizzano intelligenza, nel suo mitico negozio vuoto. Siamo soli e intorno a noi tantissimi pianoforti a coda, mezza coda, verticali. Sembra un museo. Se ripenso a più di sessant’anni fa quando, mano nella mano con mamma che mi aveva indirizzato allo studio della musica, entrai nel negozio Ciampi per comprare il mio pianoforte Petrof, bè mi vengono i brividi. Quello che ancora conservo e che suono. Il pianoforte che è stato la consolazione della mia vita. Grazie Ciampi.
Silvio parla un romano di classe: «Papà Mario suonava solo per divertirsi, un po’ di piano e molta batteria! Lui era soprattutto un grande venditore e un formidabile esperto di meccanica. Tanto che la ditta Petrof, subito dopo la guerra, lo chiamò nella Repubblica Ceca per farsi dare consigli tecnici. Fu la nostra fortuna. Papà si legò ai Petrof e in breve divenne il più grande acquirente e venditore in Europa di quella marca».
Gli chiedo: «Sua madre Liliana era musicista?». Silvio ride: «No, era casalinga. Cucinava benissimo. Soprattutto le polpette. E anche queste furono la nostra fortuna». Non capisco: «Che c’entrano le polpette con i pianoforti?». Silvio ride di nuovo: «C’entrano eccome. Oltre che per ragioni di musica, a casa nostra venivano grandi artisti, attori, registi, proprio per mangiare le polpette di mamma. I più assidui erano i nostri amici Armando Trovajoli e Arturo Benedetti Michelangeli, ma anche Marcello Mastroianni, Monica Vitti, Ettore Scola, Aldo Fabrizi, Modugno, Giuliano Gemma, Alberto Sordi. Ho molte foto. Quella con papà insieme a Trovajoli e Benedetti Michelangeli è stupenda. Polpette e fiaschi di vino. Il negozio forniva i pianoforti a Rubinstein, Richter, Willy Ferrero, il gotha della musica classica; casa nostra invece forniva polpette. Pensi che Arturo Benedetti Michelangeli veniva da noi alle otto del mattino e suonava fino alle otto di sera, con intermezzo brodino. Aveva uno Steinway riservato per lui ed era molto esigente. Io sono nato in mezzo a quella gente lì. Una vera favola».
IL PASSATO
Appunto, parliamo di Silvio: «Lei professionalmente come è cresciuto?». Silvio mi racconta: «Sono cresciuto in Prati, quartiere che adoro. Ancora oggi. Ho studiato al liceo linguistico e nel 1968 iniziai a viaggiare per la ditta. Tre anni di seguito in Inghilterra dove compravo pianoforti usati. Tre vagoni di pianoforti all’anno. Mi sono fatto le ossa sul campo». Ho tante domande che mi frullano per la testa. Sparo a raffica: «Dal 1945 a oggi cosa è cambiato nel vostro lavoro?». Un velo di consapevole malinconia stinge il sorriso di Silvio: «Fino agli Anni 80 la crescita fu esponenziale. Oltre ai privati fornivamo pianoforti ai conservatori, alle case discografiche, Rca, Fonit Cetra. Poi le cose cambiarono un po’. Nel 2000 lievitarono i prezzi. E le sembrerà strano ma con l’arrivo del divorzio molte coppie si sono separate e sono andate a vivere in case più piccole dove non c’era più spazio per un pianoforte. Poi sono arrivati gli strumenti elettronici. Altra rivoluzione. E soprattutto sono calate le famiglie che venivano a comprare un pianoforte per i figli. Oggi magari affittano. Ma tutto sommato il mercato tiene. Noi vendiamo anche strumenti elettronici. Comunque, chi ama la musica, non solo quella classica ma anche quella pop, anche tra i musicisti giovani, finisce per forza per suonare il pianoforte. I Fazioli, gli Steinway, i Petrof, gli Yamaha dal tocco più leggero, non finiranno mai. E poi c’è il jazz. Uno dei nostri amici più cari è il grande Danilo Rea al quale siamo legatissimi».
L’EREDITÀ
Continuo. «Lei suona?». Silvio sorride: «No. Ma ascolto tanta musica. Classica. Il mio compositore preferito è Chopin. E pensi che da qualche anno mi sono messo a cantare in un coro. Però come papà anche a me piacciono i pianoforti come oggetti magici. Adoro le forme, le rifiniture. Peccato che oggi tutti li vogliono neri. A me piacciono di più color mogano o noce». Chiedo ancora: «Chi ricorda di più tra i maestri che ha frequentato?».
Silvio chiude gli occhi con tenerezza. «In testa Trovajoli e Michelangeli, poi Lelio Luttazzi, Piero Piccioni, oggi anche Nicola Piovani. Se può, scriva che a parte la musica classica amavo molto De André. Era malinconico e sensibile come me. E poi c’era Ennio Morricone. Avevamo un bel rapporto professionale. Pensi che mio figlio Gabriele, l’unico in famiglia ad aver scelto di studiare musica, fece la sua tesi su Morricone. Poi si è spostato a Los Angeles dove oggi fa il compositore. L’altro mio figlio Matteo, invece, è un grande manager aziendale. Lavora con me e grazie alle sue idee andiamo avanti in linea con i tempi. È bravissimo».
Insisto: «Dopo tanti anni che rapporto ha con la musica?». Sorride: «Invidio chi suona uno strumento. E quando mi chiedono cos’è la musica, rispondo: è la vita dell’anima». Che bello, sorrido anche io. Poi: «Roma, come la trova oggi?». Sorride ancora: «La scopro ogni giorno camminando. Non finisco di conoscerla e amarla. E qui a Prati è un incanto. Per strada le persone mi salutano per nome. Mi fa sentire parte di qualcosa che viene da lontano. Mi fa bene al cuore».
IL CUORE
A proposito di cuore (che in casa Ciampi batte forte) gli faccio l’ultima domanda: «Quale è stata la più grande emozione della sua vita?». Silvio si illumina: «Arrivando in America, mio figlio Gabriele, il compositore, mandò una lettera a Michelle Obama per presentarsi e raccontarle chi era. Sa che è successo? Nel 2016 la moglie del Presidente lo invitò a suonare per Capodanno alla Casa Bianca. Incredibile, no? Quella sera andai anche io. Non sa che emozione ho provato salendo sul taxi e dando l’indirizzo all’autista: White House! Chissà come sarebbe stato fiero mio padre Mario di suo nipote. E della ditta Ciampi che continua la sua meravigliosa avventura». Conclusione: sono pazzo di lui.