Il Messaggero, 3 luglio 2025
Dal Qatargate alla guerra di Obama Paese che vai, "paletti" che trovi
Durante la campagna elettorale del 2008, Barack Obama diceva che i lobbisti avevano troppa influenza sul Parlamento ed erano il principale problema di Washington. La Corte Suprema gli diede torto. L’attività di lobbying, scrissero i giudici, era protetta dal Primo Emendamento, che garantisce ai cittadini il diritto di rivolgersi al governo non solo per ottenere giustizia per un torto subito, ma anche per convincere il legislatore ad adottare un provvedimento. Il problema nasceva solo quando la pressione veniva esercitata sulla base di una «quid pro quo corruption»: sì dunque alle attività di lobby regolamentate, no a soldi in cambio di favori. Un principio che la maggior parte dei Paesi tende oggi a cercare di far rispettare.
Le leggi che negli Usa cercano di impedire la corruzione, e che Obama riteneva insufficienti, sono in vigore dal 1995 e sono riunite nel Lobbying Disclosure Act. I lobbisti devono iscriversi a un registro, specificare dettagliatamente le loro attività, dichiarare pubblicamente per conto di chi lavorano e nessun funzionario pubblico può dedicarsi ad attività di lobby subito dopo avere lasciato l’impiego. Il problema è che per quante regole si facciano le scappatoie restano molte. Si possono pagare i politici non solo con buste piene di soldi sotto al tavolo, ma anche con conferenze molto ben retribuite, consulenze, promesse di un posto in un Cda al termine della carriera politica, o nelle sue pause.
REGOLE RIGIDE IN UE
Il Parlamento europeo ha stabilito regole rigide sulle attività di lobbying, specie dopo il cosiddetto Qatargate. Prevedono che i lobbisti debbano registrarsi e fornire informazioni su attività, obiettivi e finanziamenti. La Commissione pubblica i dettagli degli incontri con i lobbisti registrati, ma molti ritengono che il tallone d’Achille della normativa stia nel fatto che i parlamentari sono autorizzati a mantenere un’attività anche durante il mandato. Possono farsi assumere, ricevere compensi, fornire consulenze e farlo garantendo semplicemente di non avere conflitti di interessi.
Le leggi più severe contro il «quid pro quo» le ha emanate l’Austria nel 2013, dopo lo scandalo del 2019 che portò alle dimissioni del vice cancelliere Heinz-Christian Strache. A Ibiza la presunta figlia di un magnate russo, Alyona Makarova, gli offrì soldi in cambio di appalti pubblici. Strache le chiese anche di comprargli il controllo del giornale Kronen Zeitung, che voleva piegato ai suoi interessi politici. Makarova era solo un’attrice: la conversazione fu filmata e inviata a Der Spiegel e alla Suddeutsche Zeitung, causando grande indignazione. L’Austria ora considera lobbying qualsiasi contatto con titolari di cariche pubbliche. I lobbisti devono registrarsi al ministero della Giustizia. Le violazioni sono punite con sanzioni fino a 60.000 euro e nei casi più gravi con la cancellazione dal registro. La Slovenia ha normative simili, con l’obbligo aggiuntivo di pubblicare ogni contatto sul web.
L’Irlanda ha approvato nel 2015 una legge considerata punto di riferimento e che adotta molte delle limitazioni austriache, aggiungendo il divieto americano agli ex funzionari pubblici di fare i lobbisti. In più, l’Irlanda rivede le norme ogni due anni. La Germania ha un codice di condotta dal 1951, che pur aggiornato risente dell’età. La Francia ce l’ha dal 2009, con il registro e l’obbligo di trasparenza, ma con molte scappatoie. La Gran Bretagna ne ha uno tutto suo. Nei paesi con un forte governo, i lobbisti vanno dai ministri, non dai parlamentari, che per giunta a Londra sono divisi tra una parte eletta dal popolo (i Comuni) e un’altra nominata tra privilegiati (i Lord). Alcuni giornalisti che si sono finti uomini d’affari hanno concordato la garanzia di un intervento da alcuni Lord in cambio di centinaia di migliaia di sterline. La registrazione all’albo dei lobbisti, che era volontaria, è diventata obbligatoria nel 2014. Come fece spesso Carlo prima di diventare re, chiedendo interventi a favore di politiche ambientali, agricoltori, allevatori, pescatori e artigiani. Ma essendo all’epoca l’erede al trono, non aveva certo bisogno di registrarsi o di corrompere i politici per ottenere un po’ di attenzione.