Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  luglio 03 Giovedì calendario

Green deal Ue, più flessibilità. Ma la decisione scontenta tutti

Più flessibilità nel taglio della CO2 nell’Ue, ma a destra come a sinistra c’è chi frena sulla riduzione del 90% entro il 2040 che finisce per scontentare un po’ tutti. Il nuovo corso soft dell’Unione europea sul “Green Deal” mette nel mirino anche gli obiettivi climatici, “Bibbia” dell’agenda verde di Ursula von der Leyen. Dopo una serie di rinvii a causa delle resistenze opposte nei mesi scorsi da vari Paesi, da ultimo la Francia, la Commissione ha alla fine messo nero su bianco il nuovo obbligo di riduzione delle emissioni.
IL TASSELLO
Il -90% entro il 2040 (rispetto ai valori del 1990) è il tassello mancante tra il -55% da raggiungere nel 2030 (l’Europa è sulla buona strada, stimano a Bruxelles) e la piena neutralità climatica, cioè lo zero netto, a metà secolo. Ma il diavolo sta nei dettagli, e per rendere digeribile ai governi il target, l’esecutivo europeo ha scelto di indorare la pillola. Come? Con un pizzico di «realismo e pragmatismo», parola d’ordine del secondo mandato von der Leyen, esternalizzando una parte di questi tagli. Si potranno, infatti, rispettare i vincoli Ue anche con interventi puntuali all’estero, nei Paesi in via di sviluppo: a partire dal 2036, si potranno considerare nel calcolo per raggiungere quota 90% i progetti ambientali finanziati fuori dall’Ue, come ad esempio la riforestazione. La compensazione è limitata a una quota del 3% e purché i crediti “green” così acquisiti siano «verificabili e certificabili. Il nostro pianeta non fa la differenza sul luogo in cui le emissioni sono generate», ha spiegato il commissario al Clima Wopke Hoekstra. A Bruxelles, inoltre, stimano che in un momento di forti tensioni geopolitiche ciò creerà «nuove opportunità per le imprese e gli investitori europei in tutto il mondo».
Il 3% da destinare alla collaborazione fuori Ue coincide con la richiesta avanzata dalla Germania per dire sì, ed equivale a circa 145 megaton di CO2. «Flessibilità richiesta da molti Paesi, compresa l’Italia», ha rivendicato il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, di Forza Italia. La priorità del nostro Paese è «evitare che la definizione di nuovi obiettivi climatici riproponga impostazioni ideologiche, target e scadenze che non siano sostenibili dalle famiglie e dalle imprese europee che devono essere competitive nel mondo».
Dal resto della maggioranza di governo italiana i toni sono meno diplomatici. L’obiettivo al 2040 è «totalmente scollegato dal mondo reale: von der Leyen vuole distruggere l’industria italiana ed europea», ha attaccato la Lega in una nota, mentre per il capodelegazione di Fratelli d’Italia all’Europarlamento Carlo Fidanza «questo provvedimento segna un passo verso la desertificazione produttiva del continente e si tradurrà in un “diluvio” di nuove tasse e burocrazia contro imprese e cittadini». A von der Leyen «manca il coraggio di rivedere tutto l’impianto del “Green Deal"», accusa, dai banchi dell’opposizione, Carlo Calenda di Azione, mentre i verdi celebrano sì il 90%, ma contestano che la flessibilità internazionale «sposta altrove la responsabilità e disincentiva la trasformazione urgente» (così l’eurodeputata Benedetta Scuderi).
Prima di diventare legge, la misura dovrà incassare il via libera dell’Eurocamera e dei governi riuniti nel Consiglio. Al debutto alla presidenza di turno, la Danimarca ha ricordato che le politiche climatiche sono parte della «strategia per la competitività» dell’Ue; Copenaghen, però, non avrà vita facile per superare l’opposizione di molte altre capitali. E anche il Parlamento Ue si prepara alla battaglia su fronti opposti. Il target del 2040 «non poteva più essere rinviato», ma «la flessibilità non può diventare una via di fuga per la deregolamentazione», ha avvertito l’eurodeputato del Pd Antonio Decaro, presidente della commissione Ambiente, contrario a «deroghe mascherate» che rischiano di minare la credibilità Ue. Ma a chi le faceva notare le forti riserve a sinistra sul piano, la vicepresidente esecutiva con delega alla Transizione Teresa Ribera, socialista, ha risposto ecumenica: «Ci possono essere diversità di vedute in Parlamento. Ma quella è un’altra istituzione; qui, in Commissione, teniamo fede al nostro mandato». E al tentativo, politicamente scivoloso, di coniugare “green” e politica industriale.