repubblica.it, 2 luglio 2025
Intervista a Eva Robin’s
In arte Eva Robin’s (il nome dalla compagna di Diabolik, il cognome dal noto scrittore Harold), al secolo Roberto Coatti, 66 anni, cantante, attrice di cinema e teatro, dal 3 luglio è in sala (prodotto da Mompracem e Rheingold, distribuito da Europictures) con L’oro del Reno, dell’esordiente Lorenzo Pullega. Racconti ambientati tra presente e passato, sulle sponde del fiume.
Come è arrivata a “L’oro del Reno” e al suo momento musical in cui balla sulle rive del fiume?
«È lui che è arrivato a me. La scena è stata girata alla Chiusa di San Benedetto, a Bologna, dove io – insieme ad altri – sono una dei villeggianti del “posto del sole”. Frequento il posto da trent’anni. È un luogo, appunto alla Chiusa di Casalecchio, dove per via di un’escursione termica dovuta alla posizione strategica, si può prendere il sole anche a gennaio, anche con la neve, e non si ha freddo. Lì ho conosciuto il regista, a una fermata dell’autobus. L’anno in cui stavano quasi per finire il film, c’è stata l’alluvione a Bologna, proprio in quella zona, e così le riprese lì sono slittate di un anno».
Da tanto non girava un film.
«Sì, ma ora ne ho tanti. Uno con Carolina Cavalli, Il rapimento di Arabella, con Benedetta Porcaroli. Il mio ruolo era stato pensato per Rossy De Palma. Ma quando Carolina stava iniziando le riprese, non è più riuscita a trovarla. Così la mia vicina di casa Daniela Catari – due David di Donatello per il trucco – ha fatto il mio nome. Carolina mi ha presa sulla fiducia».
Il ruolo?
«Un’ex ballerina di danza classica, maestra di Porcaroli bambina. E lei, in questo road movie, è alla mia ricerca. Ma il nostro incontro potrebbe rivelarsi una delusione. Poi c’è Càgnaz di Alessandro Roja: sono una trans confidente del protagonista. E poi tanto teatro».
Le è mai capitato di percepirsi come una delusione per qualcuno?
«Il mio più terrore è essere una delusione per le persone che credono in me, soprattutto gli amici. Direi che la delusione e la vergogna sono i due sentimenti che più mi spaventano».
Perché la vergogna?
«Temo di fare qualcosa che mi esponga a un giudizio pubblico negativo, capisce?».
Le è successo?
“Sì, in piccole cose. E ho capito che è un’ospite difficile da gestire. Quando capita, faccio una lista delle azioni che mi porterebbero alla vergogna, alla depressione, alla mancanza di lavoro. Le metto tutte lì, nero su bianco. Ho bisogno di impormelo da sola perché non riesco a farmi insegnare queste cose neanche dalla persona con cui condivido la mia vita (una donna, da tantissimi anni, si era parlato di matrimonio, poi non più, ndr)».
Quando ha vissuto per la prima volta queste sensazioni?
«Mi sono vergognata quando mi hanno sorpresa mentre amoreggiavo con un compagno del mio stesso sesso. Quella è stata la mia prima grande vergogna, anche perché sono stata punita per questo. Avevo tredici anni. Ero in un collegio di sacerdoti, sul San Luca, a Bologna. Uno dei preti mi prese per i capelli, eravamo in cerchio, sembrava volesse fare la solita ramanzina, poi all’improvviso cominciò a darmi dei calci sul petto. È stato orrendo».
In alcune sue interviste parla di rapporti, avuti nell’infanzia, con uomini molto più grandi. Le è mai capitato di ripensarci con occhi diversi, ora che è adulta e consapevole?
«Sì, però allora l’ho vissuto come un gioco. Il primo contatto sessuale l’ho avuto a otto anni. Provocai io l’adulto, ma ovviamente oggi so che una creatura di otto anni non provoca nessuno. Quell’uomo era molto scuro, abbronzato. Ero stata lasciata da un’amica di mia madre a casa di lui. Avevo iniziato una sorta di lotta, un gioco. I bambini non sanno dove può portare una cosa del genere. Lo raccontai a mia madre con entusiasmo, appena tornata a casa. Lei andò subito al commissariato e lo denunciò».
Il rapporto con suo padre?
«Aveva solo un limite: non riusciva a chiamarmi Eva, mi chiamava Roberto. Però mi portava fuori a pranzo, si tingeva i capelli molto più di quanto faccia io ora. Una volta lo ricoverano in ospedale, vado a trovarlo, scopro che l’avevano messo nel reparto donne perché aveva i capelli lunghi, con la crescita bianca. Mi dice: “Pensa, mi hanno messo qui, poi mi hanno portato la padella e hanno visto che non ero una donna”. E io: “Vedi che si sbagliano anche con te?”».
Negli anni è cambiata la sensibilità collettiva su questi temi?
«Credo che ci siano flussi e riflussi. Momenti in cui sembra che tutto vada avanti, poi succede un fatto di cronaca e ti rendi conto che in alcune parti del mondo, o anche solo in altre zone del tuo stesso paese, si è ancora indietro di decenni. Comunque, secondo me, il prezzo più alto lo paga sempre la donna. La diversità inizia da lei, poi vengono tutte le altre forme di alterità. Ma la donna è ancora la più colpita».
Questo che momento è?
«Vedo una regressione. Una sopraffazione nella coppia che non nasce tra sconosciuti. L’aggressore e la vittima si conoscono. Credo che tutto questo derivi da uno sviluppo della libertà femminile che molti uomini non riescono a sopportare. La donna ha fatto le sue rivoluzioni, è andata avanti. L’uomo è rimasto indietro. E per fermarla, la blocca nel modo più brutale, sapendo perfettamente che pagherà delle conseguenze. È come se in quel momento estremo rischiasse tutto, ma non riesce a fare altrimenti».
Il suo rapporto con il cinema. Che film vedeva nell’infanzia?
«Tantissimi western, gialli, film di genere… Andavo al cinema tutte le sere perché mia madre giocava a carte e mi portava con sé in questo cinema parrocchiale. Io mi mettevo a sedere con un dado in mano e guardavo film in continuazione. Poi tornavo al “vaso”, come lo chiamavamo: un posto dove mia madre continuava a giocare per guadagnarsi la pagnotta. Io mi addormentavo lì e poi, che vincesse o perdesse, mi riportava a casa».
Quali attrici Le piacevano?
“All’epoca Lisa Gastoni. Mi affascinava anche Florinda Bolkan, con cui poi ho lavorato in un film, Cattive inclinazioni, nel quale tra l’altro l’ho uccisa. Sto raccogliendo i ricordi per farci una biografia. Anche se, purtroppo, molti dei miei compagni di viaggio non ci sono più».
Ha conosciuto Carmelo Bene.
«Sì, ero una “carmelitana”. Le spiego. A un certo punto dovevamo fare Lorenzaccio di Musset, c’era il personaggio di una marchesa. Cominciai a frequentare Carmelo, andavamo in Versilia insieme, passavamo le vacanze lì. Andavo in tournée con lui. Voleva che interpretassi quel ruolo, ma alla fine non se ne fece nulla, e la marchesa la fece lui, travestito da donna. Amavo ascoltarlo, mi correggeva su tutto. Passavamo le serate a giocare a ping pong con gli amici. Io, però, ero intraprendente: mi vedevo di nascosto con dei ragazzi del posto, passando attraverso un buco nella rete della villa. Avevo le mie avventure».
Sul set di Dario Argento, “Tenebre”, si è divertita?
“Abbastanza. C’erano anche Lara Wendel e John Steiner, è stato tabnti anni fa. Poi c’è stato Hercules: dovevano farmi un calco completo del busto e del viso, per trasformarlo in una maschera. Ricordo che mi sentivo come sotto anestesia, mi avevano messo su un tavolo in una cantina e colato addosso una specie di gesso. Respiravo attraverso una cannuccia, tutta sommersa. E poi Mascara, girato in Belgio. Nacque un bellissimo rapporto con Charlotte Rampling, uscivamo spesso con il regista a cena. Una sera pensavo di essere rimasta sola al ristorante e invece lei era crollata a terra, ubriaca fradicia. Adorabile».
Di Damiano Damiani, “Gioco al massacro”, che ricorda?
“Un bel ceffone. Avevamo una scena in cui c’era Nathalie Baye, e lei doveva morire. Piangevo tantissimo e il muco colava tutto sui capelli di Nathalie. Poi, per il primo piano, non avevo più lacrime, perché le avevo spese tutte prima. Damiano mi fa: “Bimba, non piangi?”, e mi dà una sberla. E ricomincio a lacrimare. Era così. Un matto. Ma efficace».
Nel film c’erano anche Tomas Milian e Elliott Gould.
“Gould l’ho conosciuto a Capri, giravamo a Villa Bismark. Prendevo il sole quasi nuda. C’è una scena in cui si vede tutto, completamente nuda, come nel film di Benvenuti, Bella al bar. Elliot mi chiese: “Ma tu sarai nuda così nel film?”, gli dissi di sì e lui: “Solo questo vale il prezzo del biglietto”. Con Tomas Milian nessun feeling: c’era una scena, diciamo così, erotica, in cui mi inginocchiavo e dovevo aprirgli la zip, lui mi bloccò la mano».
Era amica di Sandra Milo, con cui aveva fatto “8 donne e un mistero” a teatro.
«Ricordo un episodio: le avevano tagliato il riscaldamento nella villa e ci serviva il tè indossando una pelliccia di volpe argentata. Eravamo con sua figlia, Azzurra, mi sembra fosse Natale».
Ai suoi inizi da cantante lavorò come corista, in playback, con Amanda Lear. E ha conosciuto Grace Jones. Tra le due?
«Due animali da palcoscenico pazzeschi. Amanda era particolare. Una volta la introdussi sul palco a Miss Alternative, una manifestazione di drag queen che quell’anno presentavo io. Eravamo mano nella mano mentre salivamo le scale e lei, d’un tratto, mi diede uno schiaffo sul braccio per allontanarsi da me, non voleva ci vedessero così. Grace Jones mi fregava tutti i fidanzati: arrivavo con un ragazzo e lei se lo portava via. Ma una volta cantavo in una discoteca, e lei strappò il segui-persone al tecnico luci e mi fece le luci personalmente, mentre mi esibivo. Un gesto meraviglioso. Ma le voglio raccontare un episodio curioso su Patty Pravo. La incontro a una cena, poi lei torna dopo tre giorni, io sono con la mia compagna, lei fruga tra il cibo ma ci sono solo avanzi. Assaggia una cosa, poi si mette un cappello di lana in testa. Le chiedo: dove vai con quel cappello? E lei: “Vado a mangiare”. Esce. Non l’ho mai più rivista. È uscita anche dalla mia vita. Però era simpatica».
Cita spesso il suo incontro con Paolo Villaggio.
«Era un uragano intellettuale. Mi sorprendeva con discorsi profondi. Io capitai di soppiatto a una festa, una di quelle situazioni in cui ti imbucavi. All’inizio tutti gli occhi erano puntati sulla mia amica, molto vistosa. Ero piccolina, passavo inosservata. Poi venne fuori che la piccolina era anche fornita… e da lì Villaggio cominciò a supplicarmi di fare qualcosa, neanche sapeva bene cosa. Quella sera, visto che era estate e non faceva freddo, mi sono spogliata. Da lì iniziarono gli inviti, diventai una presenza fissa a feste e cene esclusive, mi ritrovai in mezzo a personaggi come Marta Marzotto, Bianca Jagger, Christian Bulgari, industriali come Barilla… E poi fui adottata dalla moglie di un ricco industriale dell’acciaio tedesco».
E tutto questo le faceva piacere?
«All’inizio sì, poi ho iniziato anche a rifiutarlo. Ero diventata un giocattolino, un cliché. Non è che mi chiedessero di spogliarmi, non erano proposte esplicite. Semplicemente c’era il passaparola da discoteca, battute tipo “vedi quella”… No, per fortuna nessuna richiesta di prestazioni».
...come invece accade con Francesco Nuti.
«In verità non lo conoscevo, mi chiamò una sera al telefono con Carole Bouquet, probabilmente erano un po’ brilli, mi fecero delle proposte… Ma in quel momento mi stavo facendo un impacco ai capelli e non andai. Era un periodo disastroso, registravo Primadonna a Roma, il programma con Gianni Boncompagni, mi ero trasferita ma andava malissimo».
Boncompagni, che insieme a Antonio Ricci fu uno dei suoi mentori televisivi.
«Sì, peccato però che a un certo punto si sia disamorato. Mi ha abbandonata. Brutto a dirsi, ma probabilmente l’ho deluso in qualcosa. Avevamo un rapporto quotidiano, mi mancava. Con Ricci, invece, è stato tutto strepitoso: Il lupo sanitario era avanguardia visiva. Era avanti, avanti davvero».
Ci sono proposte cinematografiche che rimpiange di non aver accettato?
«Quella per Snack bar Budapest di Tinto Brass. Faccio il provino, in una camera con lo specchio dietro al letto. Non ricordo cosa dovessi fare, ma a un certo punto il regista mi guarda e fa una faccia strana. Poi dice “ma com’è secca...”. Da lì non mi hanno più presa. Poi, il provino di Manuale d’amore 2, con Monica Bellucci. Cercavano una trans per l’episodio con Albanese e Rubini. Arrivo sul set, Monica mi dà un bacio e mi dice “in bocca al lupo, ci teniamo che ci sia anche tu”. Vedo una fila di povere transessuali che aspettavano sotto il sole, mentre a me fanno fare il provino subito. Dico le mie battute, vedo Giovanni Veronesi che guarda il monitor, fa una faccia contrariata e commenta “ma sembra una donna...”. Insomma, mi hanno scartata perché ero troppo donna. Scelsero una brasiliana senza seno, le hanno tagliato tutte le battute, ma tanto volevano solo il cliché».
Qual è invece il film che non rifarebbe.
«Hercules di Luigi Cozzi. Recitavamo in inglese, io non lo conscevo affatto. Mi cambiavano le battute all’ultimo momento, una cosa così irritante.... Anche nel film di Damiani ho recitato in inglese, ma andò meglio. Poi mi sono auto doppiata in italiano».
Invece non si è mai lasciata sedurre dei reality.
«Come no. Per la seconda edizione de L’isola dei famosi, con Belen, condotta da Simona Ventura, avevo già il contratto in mano. Poi un direttore di rete non mi ha voluta, vengo a sapere da Dagospia che non ero più in lista. E poi Ballando con le stelle: dovevo partecipare a un’edizione in cui la “quota diversità” era già riempita. Milly Carlucci mi disse: “Faremo il cavaliere mascherato”. Quando mi ha chiamato per farlo, però, ero impegnata a teatro».
Oggi parteciperebbe a “Ballando”?
«Più che Ballando, sarebbe slogando con le stelle. Ma il programma mi piace. Magari se Milly legge questa intervista…».
Oggi?
«La mia vita è fatta di piccole cose. Sono una che va a letto molto presto, la sera. E molte cose accadono di notte… Ma ormai, più che l’adrenalina, ho la melatonina».
Cosa sogna?
«Guardi, mi aspetto da un momento all’altro che cada un fulmine da qualche parte, perché va tutto talmente bene che quasi non ci credo. Se mi reggono la salute e il lato B, ce la posso fare».