il Giornale, 2 luglio 2025
Maestri di inganno: l’arte russa delle fake news
La spesa da un milione di dollari della moglie di Zelensky al negozio Cartier di New York. Gli acquisti immobiliari del presidente ucraino, che nell’ordine avrebbe comprato la villa di Sting in Toscana, un hotel a Courchevel, una splendida
residenza caraibica a Saint-Barthelemy. Oppure, per venire all’Italia, le immagini di Giorgia Meloni con occhi sbarrati, viso stravolto e mano che sfiora ripetutamente il naso, accompagnate da una didascalia ammiccante: «troppi festini con l’amico Volodymyr».
Sono tutti video e notizie apparsi sulla Rete negli ultimi mesi. Tutti falsi e costruiti a tavolino con le tecniche più sofisticate dai servizi di sicurezza russi. Nel campo sono i maestri indiscussi, attivi con successo sin dagli inizi del secolo scorso. Alcuni tra i loro colpi meglio riusciti sono entrati nella storia, come i «Protocolli dei Saggi di Sion», manifesto universale dell’antisemitismo, un falso creato dall’Ochrana, la polizia segreta zarista, con l’intento di diffondere l’odio verso gli ebrei nell’Impero. Oggi, grazie a Internet e all’anonimato concesso dalla Rete hanno visto moltiplicarsi strumenti e opportunità, sviluppando tecniche consolidate di diffusione di bufale e fake news.
Un recente rapporto di Viginum, l’ente francese che si occupa della sicurezza informatica, prende in esame l’ultima massiccia campagna avviata da Mosca e conosciuta come «Storm 1516», analizzandone metodi e finalità. Gli obiettivi sono quelli che più stanno a cuore a Mosca in questo momento: discreditare l’Ucraina, inquinare i processi elettorali e democratici dei Paesi europei, indebolire i loro legami di collaborazione. I protagonisti sono servizi di sicurezza, in prima fila il Gru, il servizio segreto militare, gli uomini vicini all’ala più messianica del potere moscovita come il movimento eurasiatico guidato dal filosofo Alexander Dugin. Non mancano personaggi a metà tra spionaggio e criminalità, come l’americano John Mark Dougan: ex vice sceriffo nella contea di Palm Beach in Florida, si è rifugiato a Mosca nel 2016 per sfuggire ad accuse di molestie sessuali e a una precaria situazione economica. Da allora gestisce centinaia di siti e di server che si propongono di avvelenare il dibattito politico soprattutto nei Paesi di lingua inglese. Quanto alle tecniche di diffusione dei falsi il modello, secondo il già citato Viginum, segue alcuni step predefiniti: una «prima pubblicazione» su siti e social che direttamente o no fanno parte dei network dei servizi russi; una fase di «riciclaggio» in cui il contenuto viene ripreso da siti apparentemente più credibili (spesso situati in Paesi del terzo mondo per renderne più difficile la verificabilità); il momento dell’«amplificazione», in cui i contenuti incriminati vengono disseminati attraverso siti e social più o meno consapevoli della natura truffaldina delle notizie diffuse. È questo il punto in cui, secondo Viginum «vengono presi come obiettivo i tabloid (per esempio l’inglese Daily Mail) e media popolari tra i movimenti della destra populista, considerati più ricettivi alla narrativa pro-russa e anti-ucraina ( Breitbart, Gateway Pundit, Fox News, New York Post)». cw-12Nel frattempo i siti legati al Gru e ai servizi di sicurezza continuano l’opera di disseminazione sulla rete, a cui segue talvolta una fase definita come «moltiplicazione opportunistica» in cui i più conosciuti siti russi (quelli, per così dire, «ufficiali») riprendono le bufale messe in circolazione ufficiosamente in Rete.
Il modello in realtà viene adattato di volta in volta a seconda delle circostanze. Tenendo conto di tre caratteristiche sottolineate da Thomas Rid, docente di studi strategici alla John Hopkins University, considerato uno dei massimi esperti di «Misure attive», come si chiamano le operazioni di disinformazione nel gergo spionistico («Misure attive» è anche il suo libro più conosciuto, pubblicato in Italia da Luiss University Press). La prima particolarità è il livello altissimo di preparazione dei «disinformatori» russi; la seconda è il fatto che i migliori «falsi» sono quelli che partono da un nucleo di verità che poi può essere distorto e amplificato ad arbitrio; la terza è che una leva importante è la possibilità di sfruttare le caratteristiche di società aperte come quelle occidentali.
Il caso di scuola, in questo senso, è il «furto» delle mail del comitato elettorale democratico a pochi giorni dal voto che vide contrapposti nel 2016 Hillary Clinton e Donald Trump e la cui rivelazione, secondo numerosi osservatori, orientò definitivamente il voto a favore del tycoon. A condurre l’operazione, secondo le successive indagini del Congresso Usa, fu una unità del Gru, la 26165, conosciuta anche come 85esimo Direttorato speciale. A guidarla dal centro di Mosca una specie di genio dell’ingegneria informatica come Viktor Netyksho, autore di importanti studi su funzioni probabilistiche e reti neurali. Con lui alcuni tra i migliori hacker russi, che avevano studiato nelle più celebrate facoltà matematiche del Paese. Una tradizione, quella di attirare le menti migliori, che risale ai tempi del comunismo, quando il cosiddetto servizio A del primo direttorato del Kgb (responsabile, appunto, delle «misure attive») poteva contare su migliaia di funzionari e risorse praticamente illimitate.
Nel 2016 l’unità 26165, che aveva utilizzato negli anni precedenti vari nomignoli, da Sofacy a
Apt28 fino a Fancy Bear, prese di mira le mail personali e quelle d’ufficio dei vertici democratici, fino a ritrovare una falla nel sistema. Le mail recuperate dimostravano che il partito, anziché mantenersi sopra le parti, favoriva la Clinton a danno del candidato di sinistra Bernie Sanders. Una miniera d’oro che, adeguatamente comunicata, era in grado di far aumentare l’astensione tra i potenziali elettori democratici e di far prevalere il candidato più gradito. Il problema però era come diffondere le informazioni «grezze» in mano al Gru.
E qui le cose si complicarono anche perché nel frattempo uno dei migliori giornalisti specializzati in sicurezza informatica, Lorenzo Franceschi-Bicchierai, nato in Spagna da genitori italiani, aveva scoperto e scritto che in rete circolava materiale proveniente da un’operazione di hackeraggio dei servizi russi. Il blog creato dal Gru, Guccifer, non sembrava essere in grado di far scoppiare lo scandalo. Fino a quando Julian Assange, più esperto di politica Usa degli ufficiali di Mosca, riuscì a farsi inviare dai russi, attraverso Wikileaks, migliaia di mail, individuando e selezionando quelle in grado di far scoppiare l’incendio.
Non c’è bisogno di pensare a una complicità interessata tra Assange e il Cremlino, scrive il già citato Rid. Anzi: la capacità dei russi è proprio quella di saper giocare a proprio favore uno dei tratti dell’Occidente: la presenza di movimenti ispirati all’estremismo libertario come quello di Assange. Resta la natura disinformativa di un’operazione in cui l’opinione pubblica è mantenuta all’oscuro sulle vere circostanze della pubblicazione di una notizia.
Con altre tecnologie e metodi è comunque quello che il Cremlino ha sempre fatto. Ai tempi dell’Aids Mosca avviò nei Paesi del Terzo Mondo una complessa operazione per dimostrare che il flagello era nato dalle spericolate sperimentazioni nei laboratori delle Forza Armate americane. Subito dopo il golpe in Cile l’allora Kgb fabbricò dal nulla, grazie alla collaborazione di alcuni fuoriusciti tra cui lo scrittore Eduardo Labarca, le memorie del ministro della Difesa di Salvador Allende, il generale Carlos Prats, morto durante il colpo di Stato. Il testo, di 137 pagine, Una vida por la legalidad, era un falso totale, ma ricevette reazioni commosse dalla stampa di mezzo mondo, compresi giornali autorevoli come Washington Post e Guardian.
Soprattutto contribuì a far passare nell’opinione pubblica internazionale una narrazione degli avvenimenti che metteva in cattiva luce gli americani e sottolineava amicizia e buona volontà dei compagni sovietici.
Per certi versi questo tipo di attività pare inscritto nel Dna stesso dei servizi di sicurezza dell’ex Unione sovietica, un’eredità poi passata alla Russia di Putin. Non erano passati che un paio d’anni dalla Rivoluzione d’ottobre che nel 1923 l’allora capo della Cheka (poi Kgb) Feliks Edmundovic Dzerzinskij, creò il primo ufficio per la disinformazione. Le prime vittime furono i cosiddetti emigrati «bianchi»: i comunisti crearono un finto movimento di opposizione, il cosiddetto Motsr, Organizzazione monarchica della Russia centrale con cui finirono per controllare i dissidenti che si erano rifugiati all’estero. E anche in questo caso il pieno successo arrivò con un libro, «La resurrezione della Russia». Il finto movimento di opposizione fece rientrare nel Paese «illegalmente» (o almeno così riteneva l’interessato) uno dei più famosi dissidenti, Vassili Shulgin.
Le fonti e la realtà che gli furono presentate erano del tutto menzognere ma riuscirono a risultare credibili. L’uscita del libro, in cui si presentava il nuovo mondo comunista come solido e inattaccabile, segnò la fine dei tentativi di riscossa degli emigrati. Cambiano i metodi ma la manipolazione è la stessa.