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 2025  luglio 02 Mercoledì calendario

Prima le sanzioni, poi il divieto dal 2027 È bufera sul più popolare dei fertilizzanti

La guerra è «la prosecuzione della politica con altri mezzi». La massima è notissima. Ma se Carl von Clausewitz, invece di analizzare le guerre napoleoniche si fosse applicato al conflitto russo-ucraino, gettando lo sguardo anche a Gaza e dintorni, avrebbe parlato di «prosecuzione della politica con l’economia». Più o meno come ha detto il sottosegretario polacco al Commercio Michał Baranowski – «la sicurezza passa anche dall’economia» –, mettendo tutta l’enfasi possibile sui nuovi dazi che da ieri gravano sui prodotti agricoli provenienti dalla Russia e dalla Bielorussia. Lo ha deciso il Consiglio dell’Ue del 12 giugno, estendendo le tariffe anche ai beni finora esentati, compresi i concimi chimici provenienti da Mosca e da Minsk. Una strategia che rischia di ritorcersi contro gli europei, perché le società di trading che si approvvigionano in Russia, Bielorussia, ma anche Iran per vendere i fertilizzanti sono maestre nelle triangolazioni con cui cambiano bandiera, ad esempio, a intere navi di cloruro di potassio ed urea. Nel 2023 oltre il 25% delle importazioni di fertilizzanti nell’Ue proveniva dalla Federazione Russa, per un volume di 3,6 milioni di tonnellate e un valore di 1,28 miliardi di euro. Che il quadro non cambi lo sanno anche a Bruxelles, se hanno deciso di introdurre i dazi in modo graduale. Del resto, sono anni che sull’urea prospera la speculazione e che i nostri agricoltori ne pagano il prezzo. A questo scenario rischia di sovrapporsi adesso una improvvisa indisponibilità e gli operatori sono in allarme.
È un mercato complesso. Come commenta l’importatore reggiano Aldo Giglioli, i prezzi ufficiali non esistono: «Nello stesso giorno, lo stesso carico di urea lo posso comprare a 390 o 420 dollari a tonnellata bulk partenza porto estero, me nel giro di pochi giorni possono esserci oscillazioni anche di 50 dollari, in qualche caso di cento». Non poco, quando passano di mano in un solo giorno navi da 30mila tonnellate e il giro d’affari cuba intorno ai 15 miliardi all’anno. L’emergenza nei mesi scorsi ha riguardato l’urea perché è uno dei prodotti più usati per il suo elevato contenuto di azoto (46%) e – finora – quello con il costo unità fertilizzate più basso tra gli azotati. È nel mirino europeo da decenni perché, secondo l’Europa, genera elevate perdite di azoto sotto forma di ammoniaca e protossido di azoto; il primo contribuisce alla formazione di particolato atmosferico; il secondo è un gas serra (oltre 300 volte più potente della CO₂). Che la fine del mondo sia colpa dell’urea non è mai stato provato in maniera scientifica, ma ormai tutti ci credono, per quanto la scienza spieghi come inibire l’ureasi e la nitrificazione che impattano sull’ambiente. Bruxelles ha proposto di vietare l’uso di questo prodotto e i governi, compreso quello italiano, tergiversano, perché le alternative organiche – letami e compost o digestati – sono meno efficienti: bastano 300 chili ad ettaro di fosfato biammonico e di urea laddove ne servono 30mila di nutriente green. Insomma, non siamo pronti alla svolta verde e se ne rende talmente conto la Coldiretti, che pur avendo sposato la politica ambientalista, ha scritto così al governo: «È necessario eliminare il divieto di utilizzo dell’urea, previsto dal 1° gennaio 2027, almeno fino alla costruzione di un quadro normativo chiaro sull’uso dei fertilizzanti organici (come il digestato da biogas) i quali, grazie al loro impiego sostenibile, possono contribuire a ridurre le emissioni inquinanti in agricoltura». Cioè, non scherziamo perché l’agricoltura è sotto attacco. Non metaforicamente: quando gli Usa hanno bombardato gli impianti chimici iraniani da cui escono le materie prime, il prezzo di questo fertilizzante è salito a 550 dollari.
Uno scenario incerto, dunque, in cui il contrabbando prospera. Non pensate a malconci spalloni: il cloruro di potassio lo si trova già al 20% meno del prezzo corrente. L’introduzione di dazi europei su fertilizzanti russi e bielorussi potrebbe favorire quest’area grigia. Mentre i produttori europei lavorano già in perdita, fanno affari i russi e gli iraniani. Anche questi ultimi sono oggetto di sanzioni dal successo incerto. I primi controllano società di produzione e commercio dei fertilizzanti in Europa e Golfo Persico, ma soprattutto ne controllano i traffici. I carichi più importanti di cloruro di potassio bielorusso approdano in Finlandia e in Turchia, ma quando arrivano nei nostri campi parlano tedesco. Analogamente, urea iraniana, imbarcata in Iraq, fa scalo in Oman o Turchia per cambiare casacca e aggirare le sanzioni. Come evitarlo? Basterebbe che ogni dogana controllasse l’origine carico per carico, ad esempio verificando in Oman la reale partenza di una nave omanita che chiede di esser sdoganata a Ravenna? «Qualunque sarà la soluzione, al momento dobbiamo preoccuparci oltretutto del fatto che presto Ravenna – porto di riferimento per questo settore – potrebbe dover drasticamente ridurre la quantità importata perché uno dei maggiori terminalisti intenderebbe eliminare il ramo dei fertilizzanti dal proprio portafoglio. Dopo il caro fertilizzanti, andremmo incontro a una potenziale, e ben più grave, crisi di approvvigionamento» avverte Giglioli.