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 2025  luglio 02 Mercoledì calendario

La siesta come diritto civile: il caldo e la linea della palma di Sciascia

La linea della palma: ci siamo capiti adesso? E il concetto di controra è diventato un po’ più chiaro? Fin dall’Ottocento serpeggia, anche all’interno della letteratura italiana, la contrapposizione fra nordisti e sudisti, con il Centro – da sempre dispositivo regolatore dell’identità nazionale – che si sforza di operare una mediazione. Chi sta all’ombra delle Alpi non si capacita dell’indolenza dei meridionali, i quali faticano a comprendere l’acritico attivismo dei settentrionali. Ma per ricostruire la storia occorre tenere in giusta considerazione la geografia, questa è una convinzione ormai consolidata, alla cui affermazione hanno contribuito, sia pure da posizioni differenti, il rigoroso Carlo Dionisotti e l’estroso Alberto Arbasino. Un piemontese e un lombardo, guarda caso, ma entrambi con uso di mondo: il primo di casa nel Regno Unito, il secondo teorico conclamato della gita a Chiasso, all’epoca in cui Como Brogeda segnava un confine anche e non soltanto climatico. Tolti loro, non erano molti i settentrionali disposti a sostenere l’importanza della collocazione della scrittura nello spazio geografico. Le raccomandazioni più accorate arrivavano semmai dal Sud. Guardate che non vi rendete conto, provavano ad argomentare gli scrittori del Meridione, isole comprese. Qui il caldo è caldo, toglie la voglia, confonde i pensieri, induce alla rassegnazione perfino i più ardimentosi.
Il punto è che il caldo non è mai stato solamente il caldo, e a questo proposito viene in soccorso Leonardo Sciascia, con la famosa immagine della linea della palma, che sale e risale lungo la Penisola, trascinandosi dietro omertà e connivenza. In origine era una metafora, utile per alludere all’avanzata della mafia nelle regioni del Nord. Adesso è la descrizione decisamente adeguata di un panorama non più prossimo venturo. Forse sulle Alpi le palme non sono ancora arrivate, ma di sicuro è arrivato il caldo tropicale, e ha portato con sé la necessità di fermarsi a prendere fiato nelle ore a ridosso del mezzogiorno. Anche nella pianura padana, insomma, la siesta si presenta come diritto.
E la letteratura? Dire che si sia fatta prendere alla sprovvista non è esatto. Viene in mente, fra i tanti esempi possibili, un bel romanzo di Bruno Arpaia datato 2016 e intitolato Qualcosa, là fuori. Una distopia in generoso anticipo sulle mode, e completamente incentrata sui capovolgimenti del clima. A Napoli si muore di sete, a Milano si brucia e le palme – ancora loro – hanno superato da un bel pezzo la dogana svizzera. Esagerato, aveva protestato qualcuno una decina di anni fa. Se ne potrebbe riparlare in questi giorni, volendo. Peccato che il caldo smorzi anche la smania di polemica.
Non è che la letteratura sia per forza preveggente, intendiamoci. A volte si figura il peggio per scongiurarlo, in altre occasioni si limita ad amplificare il presente per mettere in salvo il futuro. Fosse pure profetica, rimane inefficace se non trova lettori disposti a prestare ascolto. Alla controra globale nessuno aveva voluto credere, quando erano i romanzieri a immaginarsela. Adesso che sta diventando realtà, non resta che intestardirsi nel negare l’evidenza: il caldo c’è sempre stato, sono tutte invenzioni, e via dicendo. Ma il bilancio non è necessariamente negativo. In un Paese come il nostro, incompleto per vocazione e incompiuto per accidente, può darsi che l’onda di calore riesca nell’impresa incominciata dai Mille di Garibaldi e in parte perfezionata dal diffondersi della televisione: unificare l’Italia, fare degli italiani un popolo solo. Accaldato quanto basta, ma finalmente solidale.