Robinson, 29 giugno 2025
Intervista a James Gunn - sul nuovo "Superman"
Questi tempi chiedono un Superman che vuole salvare, non combattere. Ne è convinto James Gunn, il regista nerd che dopo aver trasformato i perdenti spaziali dei Guardiani della galassia nella costola più riuscita degli Avengers, è stato nominato dalla rivale Warner copresidente e direttore artistico dei DC Studios. Oltre a dirigere Superman, in sala il 9 luglio, il regista, sceneggiatore e musicista — che ha scontato tempo fa un periodo di purgatorio mediatico per via di antichi tweet scorretti — ha il compito di disegnare l’universo di Batman e Joker, Wonder Woman e Flash. Lo abbiamo intervistato.
Secondo Umberto Eco, che ne scriveva in “Apocalittici e integrati”, Superman non è un’entità astratta e universale ma un mito continuamente ricontestualizzato. Ogni interpretazione è figlia del proprio tempo. Che tipo di Superman è il suo?
«Lo ha scritto Umberto Eco? È pazzesco che non l’abbia mai letto. Comunque il mio è un Superman molto gentile, compassionevole e pieno di speranza. Ma penso che il mondo in cui si trova non sia necessariamente così. Del nostro tempo quindi ci dice che abbiamo bisogno di compassione, gentilezza. I valori umani fondamentali,che negli ultimi anni sono stati svalutati e presi in giro».
La storia inizia quando Superman è già in giro da tre anni e sta iniziando a frequentare Lois Lane. Quindi più che un “Superman Begins”, è uno a metà strada.
«Volevo evitare la storia delle origini. I bambini nei villaggi più remoti del mondo sanno che Batman è diventato tale quando i suoi genitori sono stati assassinati, che Spider-Man è stato morso da un ragno radioattivo e che Superman è un alieno mandato dai genitori biologici sulla Terra in un’astronave scoperta da un contadino del Kansas. Basta. Nella nostra storia Superman e Lois sono in una fase iniziale. Lui è ancora una novità per il mondo, ma non così tanto che la gente dica: chi è quello che vola in cielo?».
Elia Kazan diceva che il novanta per cento del lavoro in un film è scegliere gli attori giusti.
«A un certo punto avevamo tre Superman e tre Lois Lane, li abbiamo provati a coppie: tra Rachel Brosnahan e David Corenswet c’era qualcosa di magico. che li distingueva da tutti. Non solo il talento individuale, ma la loro alchimia».
Che relazione c’è stavolta tra Superman e Clark Kent?
«Il viaggio di Superman è personale. Scopre cose del suo passato che non gli piacciono, reagisce. Lex Luthor agisce contro di lui, mina la sua immagine pubblica e la sua pazienza. Per molti Superman è la vera identità, Clark Kent la maschera: c’è un fondo di verità, ma le unichepersone che conoscono davvero il personaggio — Clark Kent, Kal-El, Superman — sono i genitori e i pochi che ne vedono entrambi i lati».
È un Superman meno cupo delle ultime versioni, c’è un’atmosfera fresca, tanti bambini.
«Sì, è vitale. Non ha paura di usare gli elementi classici dei supereroi, ma anche di essere diverso».
Billy Wilder diceva che va dato al pubblico ciò che si aspetta, ma non nel modo in cui se lo aspetta.
«Non ci sono regole certe per il successo, ma io vorrei che i film di supereroi rischiassero di più. I più grandi successi —Guardiani, Deadpool, Iron Man — sono nati proprio da film che, all’epoca, erano diversi. Non è che la gente non vuole più film di supereroi, è solo stufa di film mediocri».
Nel contesto politico globale il fatto che Superman sia un immigrato che incarna gli ideali americani è qualcosa di rivoluzionario?
«Superman, come i miei nonni che venivano dall’Irlanda, è un immigrato. È un elemento importante. Ma Superman rappresenta la bontà e la capacità di fare scelte forti di fronte a qualsiasi cosa, indipendentemente da chi o cosa si trovi davanti. È figlio dell’America, sì, ma anche del mondo. Non crede che qualcuno meriti di essere ferito o oppresso, in nessun luogo, mai. A volte agisce contro ciò che le autorità pensano che dovrebbe fare, e questo gli crea molti problemi, conseguenze politiche.
Sono partito parto da questo: che farebbe Superman se fosse reale, incredibilmente buono e volesse solo impedire che la gente muoia? Il mio Superman ama salvare le persone, molto più che combattere. Ma le azioni hanno conseguenze, anche politiche».
È difficile mantenere questo approccio realistico senza accostarsi troppo a un presente così tragico?
«Sì. Bisogna fare attenzione, rispettare le persone coinvolte nei conflitti e non dare l’impressione che Superman — questo ideale di finzione — stia dicendo qualcosa sul loro Paese o sulla loro situazione. Questo film non è un’allegoria del Medio Oriente. Non è questo il punto. Nella Marvel ogni luogo negli Stati Uniti è reale, mentre il resto del mondo no, a parte Londra e Parigi, ed è un messaggio che non mi piace. Nella DC, invece, si vive in un universo alternativo: non New York, Chicago, Los Angeles, ma Metropolis, Gotham, Star City. È una realtà alternativa in cui i metaumani esistono da trecento anni.
Quindi raccontiamo storie più nello stile del Trono di spadeo Star Wars, con conflitti che accadono in un altro universo. E questo ci dà quella libertà che non potremmo avere se raccontassimo storie ambientate in paesi reali».
Quali libri, film e fumetti l’hanno ispirata?
«Due graphic novel in particolare. All Star Superman di Grant Morrison e Frank Quitely è stata l’ispirazione principale. Non per la trama, del tutto diversa, ma per iltono, il modo in cui usano la fantascienza, la palette dei colori, la vanità di Lex Luthor. Poi Superman for All Seasons di Jeph Loeb e Tim Sale, che restituisce l’anima da ragazzo di campagna di Superman, il suo rapporto con Ma e Pa Kent. E, soprattutto, il film originale di Richard Donner del ’78. Nel Superman di Christopher Reeve, c’era una giocosità che si è persa nei film successivi. Quando salva un gatto, sorride. Quando salva Lois che cade da un palazzo, sorride. Gli piace essere Superman».
In ogni film di “Superman” c’è qualcosa del regista. Nel suo, ci sono la musica, il cane e...?
«Ho da sempre un legame forte con la musica e il cane… è la mia creatura preferita al mondo. Quanto a Superman, anni fa non lo avrei mai detto, ma mentre scrivevo ho capito che è il personaggio, tra tutti, con cui mi identifico.
Non sono gentile, né forte come lui. Ma lui è uno che sembra l’archetipo perfetto del ragazzo normale, poi però si sente del tutto diverso, e solo. Mi sono sentito così per tutta la vita: sembravo diverso dagli altri, ma allo stesso tempo riuscivo a integrarmi, a stare nel sistema. La mia carriera è mainstream, anche se in un ambito non tradizionale. Ma c’è sempre una parte di me che non si sente di questo mondo, che vorrebbe solo essere umano e cerca di capire come si fa. Ed forse è questa l’unicità del mio Superman. Ah, e poi il cane. L’ho già detto del cane?».