Snaporaz, 1 luglio 2025
Dialogo tra un critico letterario e uno scrittore
Lo scrittore ricevette una telefonata da parte del critico. I due si conoscevano da decenni come si possono conoscere uno che di mestiere fa lo scrittore e uno che di mestiere fa il critico: come il topo e il gatto.
– Carissimo, ti ho chiamato solo per dirti che presto uscirà la recensione che ho scritto sul tuo nuovo romanzo, – annunciò il critico.
– Mi dai una notizia meravigliosa!
– Come sai ti ho sempre stimato.
– Lo so bene, amico mio.
– Ultimamente leggo di grandi, mirabolanti stroncature di mostri sacri. Alcuni critici su queste intransigenze fatue ci hanno costruito carriere più o meno solide. Che narcisismo dilagante!
– Concordo pienamente! Vorrei ricordare a costoro che qualunque autore è attaccabile, qualunque scrittore nella sua finitudine umana e mi verrebbe da dire artistica è incompleto e pieno di difetti.
– Ma certo! Le opere, ben dopo l’ermeneutica, smettono di essere analizzate e cominciano a essere amate. Anche, e forse soprattutto, se si analizzano. Gli autori senza questo amore non sarebbero niente, e noi critici neppure.
Lo scrittore gongolò pensando che il suo nuovo libro era stato trattato con questo approccio amorevole, ma volle informarsi lo stesso sull’esito. – Posso avere una piccola anticipazione?
Il critico si schermì. – Meglio di no, esce presto. Tanto il tuo ufficio stampa te la girerà immediatamente, ancora prima che le edicole aprano i battenti.
– Sai quanto tenga alla tua lettura, potrei dirti che è l’unica a cui tengo e sai che non direi una bugia per compiacerti…
– Se la metti così, ti anticipo che sarà un’analisi molto accurata, almeno tre o quattro colonne del giornale, con una piccola riserva.
Lì per lì lo scrittore non diede peso alle parole che il critico aveva pronunciato prima di salutarlo, pensando che tra poco la recensione sarebbe uscita, e che il suo romanzo era stato sottoposto a un’analisi accurata. Tuttavia, a mano a mano che passavano i minuti, quella «piccola riserva» cui il critico aveva accennato cominciò a diventare la parte più importante dell’intera telefonata. Lo scrittore non si dava pace: “Perché telefonarmi se la recensione non è del tutto positiva? Quale piccola riserva potrà mai avere nei confronti del mio romanzo?”, cominciò a chiedersi incessantemente.
Lo scrittore prese il telefono e decise di chiamare il critico per dirimere la questione.
– Carissimo, ci siamo sentiti poco fa, – esordì. – Per curiosità, vorresti anticiparmi la piccola riserva di cui mi hai parlato?
Il critico si mise a ridere per minimizzare. – Come siete sensibili voi scrittori! È una perplessità generale sulla tenuta del testo, tutto qui.
– Tutto qui?
– Ma certo, cosa avevi capito? Che vuoi che sia un appunto del genere in un’opera di prosa di un certo respiro come la tua? Come diceva il buon Nietzsche: “Bisogna essere un mare per accogliere un fiume torbido senza diventar impuro”.
Lo scrittore chiuse la telefonata di cattivo umore. La sua preoccupazione invece di essere stata blandita cresceva di minuto in minuto. La «piccola riserva» adesso era diventata una «perplessità generale». E poi che diavolo c’entrava quell’immagine di Nietzsche sul mare e il fiume? Non rovesciava la prospettiva? Non stabiliva irrimediabilmente che, sebbene il suo romanzo fosse mare, c’era del fango che minacciava di intorbidarlo?
Lo scrittore si vide costretto a richiamare il critico per tagliare la testa al toro.
– Carissimo, dici che la tua perplessità riguarda la tenuta del testo. Ma da quale punto di vista? Strutturale, linguistico, tematico?
Il critico stavolta rispose con meno giovialità. – Non mi fare dire tutto adesso sennò la recensione a che serve? Posso soltanto anticiparti un segreto di Pulcinella, visto che come critico mi conosci come le tue tasche. Cioè che un romanzo, per come la vedo io, dovrebbe essere una costruzione architettonica perfetta. Se manca qualcosa viene giù tutto.
– Intendi dire che la struttura la lingua e il tema sono elementi intrecciati tra loro?
– Si capisce, lo sanno anche gli scrittori esordienti.
– Allora sul mio romanzo dai un giudizio terribile!
– Un giudizio severo, semmai. Ma non mi esprimo mai attraverso giudizi assolutistici, non mi piace, dovresti saperlo, io sono a favore del ragionamento.
Lo scrittore chiuse la telefonata in malo modo. Era furioso, non c’era che dire. La «piccola riserva» era diventata una «perplessità generale» che era diventata un «giudizio severo», e ora anche ai suoi stessi occhi il romanzo aveva cominciato a perdere il suo spessore, il suo valore.
Lo scrittore volle richiamare il critico, perché davvero avrebbe voluto saperne di più, arrivare almeno a un punto fermo.
– Carissimo, scusa se ti disturbo ancora, ma queste telefonate tra noi mi hanno gettato nello sconforto. Vorrei sapere quanto è severo il tuo giudizio.
Il critico tossì infastidito. – Sto scappando a un convegno sulla morte, adesso non ho molto tempo. Ho letto il romanzo con molta curiosità, mi ha ispirato una lunga riflessione che appunto leggerai appena la recensione uscirà, per il resto che dirti? Il tuo è un romanzo ben fatto, se vuoi, ma è anche profondamente sbagliato, da qui il mio pollice verso.
La telefonata si chiuse, intanto però la «piccola riserva» che era diventata una «perplessità generale» che era diventata un «giudizio severo» adesso si era tramutata in un «pollice verso». Dove si era cacciato adesso l’amore tanto strombazzato dal critico all’inizio di quelle telefonate? Gli sarebbe bastata anche la pietas, a quel punto, considerato come si erano messe le cose.
Quando la recensione finalmente uscì, lo scrittore si precipitò all’edicola più vicina e la lesse tutta d’un fiato. Ancora prima di pagare il giornale, compose il numero telefonico del critico.
– Mi hai stroncato, – disse, con un filo di voce. – Una stroncatura terribile, crudele, disumana.
Il critico cacciò un sospiro. – Sì, ma non dirmi che non ti avevo avvisato.