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 2025  luglio 01 Martedì calendario

Intervista a Giuseppe Cruciani

Giuseppe Cruciani, con il nuovo libro si farà tanti amici...
«Non è il mio obiettivo, farmi amici, sto bene con quelli che ho».
La cosa più ingiusta detta su di lei?
«Adesso dicono che sono una specie di megafono del governo di centrodestra».
E non è vero?
«No, è ridicolo per uno che vuole il matrimonio omosessuale, la droga liberalizzata, l’adozione ai gay, ed è contro la chiusura dei negozi di cannabis light. Mi sento molto più antifascista di chi grida al fascismo continuamente».
Giuseppe Cruciani, 58 anni, esce oggi in libreria con Ipocriti!, scritto per Cairo Editore alla sua maniera, cioè provocando, colpendo di fioretto con la lingua affilata, giocando con le parole come fossero arance nelle mani di un giocoliere. Ne ha per tutti: gli antagonisti che aggrediscono i poliziotti, le femministe che rivendicano un linguaggio inclusivo, gli attori dell’antifa. Usa più volte l’espressione: «Il mondo al contrario», che sappiamo già chi ci ricorda. Chi lo odia, avrà un motivo in più per farlo. Chi lo ama, lo seguirà pure stavolta (uno è il ragazzo che si avvicina per ringraziarlo di avergli fatto compagnia alla radio un Natale di qualche anno fa, trascorso in solitudine con l’Lsd). Eppure, nelle due ore di conversazione davanti a una bibita e a un piatto di polpette di melanzane, il Cattivista per antonomasia sembra perfino timido.
Nel libro fulmina Luca Marinelli con tre parole: «Chiagnere e fottere».
«Si era detto disperato per aver interpretato Mussolini. L’ipocrisia sta nel fatto che il cachet lo ha preso, come è giusto, ma ha dovuto farci sapere che aveva quasi chiesto il permesso alla nonna e a tutta la famiglia».
Papa Francesco «influencer dell’immigrazione».
«Basta ricordare che andò a Lampedusa dopo il naufragio del 2013 dicendo che dovevamo accogliere i migranti. Piccolo particolare: non era lui che se ne faceva carico, ma lo Stato italiano. E, anzi: il Vaticano ha promulgato una legge severissima sulla immigrazione dentro il suo Stato».
Non è credente?
«No, ma vengo da una famiglia molto papalina: mio nonno e mio zio sono stati cavalieri di cappa e spada».
È laziale, in una famiglia di romanisti: bastian contrario anche a casa...
«Vivevamo in centro a Roma, nel palazzo di mia madre, 500 metri quadrati dove stavano anche i miei nonni e altri parenti. Erano tutti romanisti, l’unico laziale era mio zio Riccardo, che mi portava allo stadio da bambino».
Il suo primo atto di insubordinazione?
«Mi divertivo a girare come un pazzo intorno all’enorme tavolo della sala da pranzo, e gli adulti mi sgridavano. Poi una volta, mentre correvo, qualcuno spalancò la porta e la presi dritta sulla fronte: mi portarono in ambulanza al Santo Spirito; se guarda bene, c’è ancora il segno dei punti».
Com’erano i suoi genitori?
«Ai miei 18 anni si sono trasferiti in Abruzzo e io sono rimasto con mio fratello nella grande casa che le dicevo. Non erano molto espansivi, non riuscivano a trasferirci il loro affetto, non esternavano le emozioni. Questo l’ho preso da loro: mi riconosco una certa timidezza che è anche pudore, o riservatezza».
Suo padre?
«Uno stakanovista. Faceva l’agente di commercio, poi ha aperto una sua società. Per molti anni abbiamo vissuto in Sicilia, tra Palermo e Siracusa. Il liceo l’ho fatto lì. È morto di leucemia nel 2008, non so se avrebbe apprezzato quello che faccio in radio».
Sua madre?
«Lavorava con lui, stava attenta ai conti. Si sono amati tutta la vita. Da qualche anno ha una forma di degenerazione cerebrale, sta in una casa per anziani a Pescara, dove vive mia sorella. Non la chiamo, per non destabilizzarla, riportandola a una vita che non le appartiene più. La vado a trovare una volta l’anno».
Ha fatto in tempo ad ascoltare il suo programma?
«Sì, e non è che fosse felice. Mi diceva che non mi aveva fatto studiare per dire parolacce. Provavo a spiegarle che il turpiloquio aveva una sua dignità, ma non la convincevo. Una volta l’ho coinvolta in diretta, quando un ascoltatore mi aveva dato del figlio di puttana. La chiamai e le chiesi se lo fosse: lo mandammo a quel paese insieme».
Da lei cos’ha preso?
«Forse l’essere oculato, non butto via il denaro: non mi piacciono le macchine, gli orologi, i ristoranti costosi. Penso che i soldi servano ad affrancarmi dal fare quello che non mi piace».
L’amore più grande?
«Quello che vivo adesso».
Con Eleonora.
«Ci siamo conosciuti a giugno del 2014 nel suo paese natale, Sacile. Ero andato con Filippo Facci per un incontro pubblico e lui mi aveva fatto notare questa ragazza carina che gli piaceva. Poi è finita in un altro modo».
Perché non vi sposate?
«Io sono già stato sposato e mi sono ripromesso di non farlo più. Ma vediamo, magari lo faccio... Però il matrimonio è un contratto, non è importante per certificare che due si vogliono bene. Quasi quasi sarei per i matrimoni a tempo, come i calciatori. Comunque, quella con Eleonora è la mia relazione più lunga».
Con Selvaggia Lucarelli perché finì?
«Ho deciso di non parlare mai di lei e di un’altra storia».
Quella con la moglie di Jovanotti, Francesca Valiani?
«All’epoca, per parlare di quella vicenda, rifiutai anche dei soldi, ma non volevo creare dolore a nessuno, rimestandoci sopra».
Le sente ancora?
«No, nessuna delle due. Non ci sarebbe nulla di strano, ma abbiamo vite diverse, non c’è motivo per farlo».
Ha una figlia, Viola. Che padre è?
«Un po’ assente nella quotidianità, come mio padre, ma penso di essere uno che dà dei consigli: spetta a lei seguirli o no. Forse sono troppo preso dal mio lavoro: spero che un giorno possa capirlo».
L’abbraccia?
«Con grande parsimonia».
Lei l’ascolta alla radio?
«No, ma i ragazzi di oggi fanno altro, guardano i reel. Quando aveva 16 anni e frequentava il Manzoni, gli studenti avevano scioperato il giorno dell’insediamento della Meloni e io feci una filippica contro di loro. Quella volta sbottò: “Non devi dire più un cavolo sulla mia scuola!”. Ho eseguito i suoi ordini».
Torniamo al libro: chi è per lei il più ipocrita di tutti?
«Beh, l’ipocrisia della sinistra sul caso Prodi è stata clamorosa. Quello di Prodi con la giornalista Lavinia Orefici per me è stato un gesto istintivo un po’ paternalistico, non una violenza. Ma siccome ci hanno fatto due maroni così con “basta lo sguardo perché sia violenza”, sei poi difendi Prodi non sei più credibile».
Non accetta la parola femminicidio.
«Non mi piace perché le femministe si sono fissate, mentre penso sia più importante far rimanere gli assassini il più a lungo possibile in carcere. Da anni sostengo che bisogna lavorare per far scomparire gelosia e possesso dal nostro vocabolario: il corpo e le scelte di chi sta con noi non ci appartengono, una donna è libera di piantarci all’improvviso senza dare spiegazioni».
Nel libro paragona il magnaccia a un agente.
«Ma è ovvio che sono contro chi sfrutta le donne che non vogliono prostituirsi e quello sì che è un reato! Ma si dà il caso che ci sono donne che vogliono farlo, e allora l’unica vittima è il fisco».
Chi sono i suoi miti?
«Howard Stern, quello del grande racconto del sesso alla radio, e Jerry Springer, che ospitò in tv il Ku Klux Klan e subito dopo gli ebrei: finì a sediate in testa».
Ha ricevuto tanti premi: a quale tiene di più?
«Sono belli tutti, però tengo molto a quelli per il mio lavoro in radio, come Le Cuffie d’Oro. E poi l’Ambrogino d’Oro: ormai mi sento milanese, vivo qui da 26 anni».
Il prossimo anno La Zanzara su Radio24 compie 20 anni. Il momento più difficile?
«Quando Efe Bal, per protestare contro le cartelle esattoriali, tirò fuori il membro. Mi manca in radio».
Lo scherzo più crudele?
«A Odifreddi, solo da poco mi ha perdonato. Lo chiamammo con la voce del Papa e lui era così emozionato che non voleva più mettere giù».
L’invidia esiste?
«Nel nostro mondo è il sentimento prevalente: non sei contento se hai successo tu, ma se gli altri fanno flop. È una cosa insopportabile, che non fa parte dei miei difetti».
Non invidia niente nemmeno a Parenzo?
«David è un conduttore televisivo formidabile, ha una sua anima pop chiambrettiana che secondo me dovrebbe far uscire di più. Ma di lui ammiro soprattutto il suo legame fortissimo con la famiglia, la vecchia e la nuova: i figli mi chiamano zio. Ecco, penso che lui tragga da loro la forza straordinaria che gli permette di fare tutto quello che fa».