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 2025  luglio 01 Martedì calendario

Adozioni estere, salvarle si può?

Bimbi dichiarati morti e poi dati in adozione, piccoli definiti «orfani» anche quando avevano i genitori biologici in vita, documenti falsificati, traffici. Nelle scorse settimane un’inchiesta parlamentare ha rivelato che in Svezia dagli anni Settanta ai primi del Duemila le adozioni dall’estero si sono svolte con diverse irregolarità. Portando il governo a proporre l’interruzione definitiva di questa pratica. Stoccolma si aggiunge così alla lista di Paesi europei che stanno rivalutando il sistema dell’adozione, spesso considerando scandali precedenti alla stipula della convenzione dell’Aja del 1993 su protezione dei minori e cooperazione in materia di adozione internazionale, che vincola gli Stati firmatari – di origine e accoglienza – a rispettare procedure operative rigorose per arginare un «mercato» di indifesi.
I Paesi Bassi, per esempio, hanno deciso di porre fine nel 2021 alla pratica dopo un’indagine simile a quella svedese; in Norvegia uno scandalo ha rivelato che diversi minori provenienti da Ecuador e Corea del Sud furono sottratti con l’inganno; e ancora, nel 2023 il Belgio ha sospeso le nuove adozioni in seguito a irregolarità segnalate in Etiopia, Gambia, Haiti e Marocco; e anche la Svizzera ha deciso di fermarsi ed elaborare, entro il 2026, un progetto di legge per «tutelare i minori dal rischio di abusi».
L’Italia, all’indomani dell’adesione alla Convenzione de l’Aja, ha vietato – unico Paese insieme alla Francia – le adozioni internazionali «fai da te», obbligando gli aspiranti genitori a rivolgersi a enti autorizzati. «Si tratta di compiere una rivoluzione culturale: dobbiamo cancellare una logica adulto-centrica e pensare che i bimbi non sono proprietà assoluta di chi li ha messi al mondo e hanno il “diritto di essere figli”, oggi non riconosciuto nemmeno dall’Onu»: a chiarirlo è Marco Griffini, presidente di Aibi (Amici dei bambini), l’associazione attiva nel combattere l’abbandono minorile con l’adozione internazionale e l’affido. «Ogni piccolo abbandonato è già morto dentro quando è stato lasciato solo, non sempre per motivi legati a guerra o fame. Non dimentichiamo che esistono anche tanti ragazzi con più di 18 anni che, dovendo abbandonare l’orfanotrofio, si ritrovano a vivere per strada, andando incontro a suicidi, prostituzione, delinquenza, nel disinteresse generale», aggiunge Griffini, padre di tre bimbi adottati: un italiano, un africano e un brasiliano. Manca «una cultura dell’accoglienza. Siamo l’unico Paese in Ue che rilascia le idoneità attraverso un Tribunale dei minori e non in modo amministrativo. Poche coppie si avviano oggi all’adozione internazionale, sentendosi selezionate e non accompagnate in un percorso a ostacoli, incardinato in una legge troppo vecchia che nessuno, nemmeno il governo, vuole rivedere. Il salto da fare? Il futuro di ogni bimbo abbandonato non riguarda solo famiglie ed enti, ma tutta la società, in un’ottica di gratuità».
Come riferiscono i dati raccolti dalla Commissione per le adozioni internazionali (Cai), in Italia nel 2024 sono stati 691 i minori adottati dall’estero (352 maschi e 339 femmine), con un’età media di 6,9 anni all’ingresso nel Paese, e 536 le coppie adottive, con 40,4 mesi intercorsi tra il conferimento dell’incarico e l’autorizzazione del minore. E se negli ultimi vent’anni le adozioni nel nostro Paese hanno subito un forte calo, con l’anno della pandemia che ha visto «solo» 526 coppie genitoriali adottive, siamo di fronte a una lenta ripresa.
Come firmatari della Convenzione dell’Aja «dobbiamo garantire procedure trasparenti, rispettose dei diritti di bambini e famiglie, ma anche ristabilire un clima di fiducia tra i Paesi d’origine e quelli di accoglienza. È, quindi, fondamentale un impegno condiviso per prevenire abusi, rafforzare i controlli e sostenere percorsi di adozione improntati all’etica e alla responsabilità, mantenendo al centro il principio del migliore interesse del minore, sancito dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza», evidenzia Vincenzo Starita, vicepresidente della Cai.
Una sospensione generalizzata delle adozioni internazionali «rischia di avere conseguenze non trascurabili per quei bambini che, nei Paesi d’origine, non possono contare su adeguate soluzioni familiari. In molti casi l’adozione internazionale rappresenta ancora una possibilità concreta di tutela e crescita in un contesto stabile e affettivo», conclude Starita, ricordando come in questo contesto l’Italia si distingua per un primato poco noto. «È il primo Paese al mondo per numero di minori con special needs accolti. Una scelta che riflette la crescente disponibilità delle famiglie a farsi carico di percorsi adottivi complessi, ma profondamente significativi». Una trasformazione silenziosa, ma sostanziale.