Corriere della Sera, 1 luglio 2025
Intervista a Baldo Baldinini
Dalla fortezza di San Leo, dove 230 anni fa morì l’ergastolano Giuseppe Balsamo, all’olfattorio di Baldo Baldinini nella tenuta Saiano, sulle colline di Rimini, sono appena 20 chilometri. Ma la correlazione fra il conte di Cagliostro e l’imprenditore romagnolo della Dibaldo spirits finisce qui. Impostore esoterico, condannato per eresia dalla Chiesa, il primo; solare alchimista, rispettato da aziende, chef tristellati e bevitori, il secondo. Baldinini, 52 anni, riminese, soffre dalla nascita di acromatopsia, la forma più rara del daltonismo: non percepisce i colori. Però la sua vita non è un film in bianco e nero, perché riesce a distinguere un centinaio di tonalità.
Poteva scrivere «Cinquanta sfumature di grigio».
«Non ne sarei stato capace. In compenso mi assiste la sinestesia, per cui a determinati stimoli associo particolari immagini. In pratica trasformo un suono in odore e un odore in suono. Avverto gli accordi aromatici come se fossero musica. E allora li trascrivo su un pentagramma».
Le note musicali sono 7.
«Appena mi sono reso conto che le mie formule riempivano 6 facciate di quaderno, ho disegnato alcune centinaia di simboli per comprimerle su questi speciali spartiti».
Quando le hanno diagnosticato l’acromatopsia?
«Ero alle scuole medie. Alle elementari i pastelli colorati mi sembravano tutti uguali, ma a quei tempi nessuno ci badava, non è come oggi con la dislessia e la discalculia».
Ha proseguito negli studi?
«All’istituto tecnico industriale. Ero attratto da chimica e fisica. I miei, impegnati a gestire una pensione a Viserba, a 6 mesi mi affidarono a Sergio e Puppa, gli zii di Rimini, per i quali divenni il figlio maschio che non avevano avuto. Tornai in famiglia a 2 anni».
I suoi non le mancavano?
«No. Mio zio era un barbiere appassionato di profumi, con una grande biblioteca. Fui ospite a casa sua, da maggio a ottobre, fino ai 14 anni».
Ricorda il primo profumo?
«L’odore di mia madre».
Profumo oppure odore?
«Odore. Lavorava tanto, era sempre sudata».
L’ha trasformato in arte.
«Studio aromi per liquori ed essenze. Offro consulenze gastronomiche. Compongo formule per dare nuovi sapori persino ai salami».
Quante ne inventa?
«Dalle 600 alle 2.000 all’anno. Ogni giorno mi sveglio alle 5.45 e fino alle 7 riempio pentagrammi».
Sta inalando una sigaretta elettronica anziché fumarla.
«La uso per ripasso. È l’aroma da un lotto di olio essenziale di maggiorana».
Sarebbe potuto diventare milionario creando profumi.
«Non riesco a mettere due lire una sull’altra. Preferisco la ricerca. La fragrance industry non è poi quel mondo complesso e misterioso che vogliono farci credere».
Qualcosa commercializza.
«Solo 9 referenze fra gin, vermouth, amari e bitter, spesso studiati per gli amici. Come il gin dry per Igles Corelli, lo chef del Trigabolo di Argenta, mentore di Bruno Barbieri, e quello per Giancarlo e Riccardo Camanini del Lido 84 di Gardone Riviera, primo italiano nella classifica The world’s 50 best restaurants. O il vermouth chinato per lo storico San Domenico di Imola».
La scelta
Avrei potuto guadagnare di più? Preferisco la ricerca. La fragrance industry non è poi quel mondo complesso che vogliono farci credere
Nel 2023 si contavano 800 gin prodotti in Italia. Oggi pare che siano più di 1.000. Com’è nata questa mania?
«Operazioni commerciali. C’è chi si sveglia la mattina, decide di farsi un gin, si rivolge a una delle tre distillerie che producono per i privati, sceglie la bottiglia, e oplà! Ma i miei sono prodotti sartoriali, su misura, con un’identità, una storia da raccontare».
Cominciata quando?
«Troppo tardi. Gliel’ho detto: come imprenditore sono scarso. Ho studiato la formula 20 anni per uscire con il primo gin nel 2021».
Si dedica solo agli alcolici?
«Anche agli analcolici, dall’aranciata alle acque aromatizzate. Ho inventato ghiaccioli e nuovi gusti di gelato basati su crema e fior di latte».
Per chi?
«Questo non posso rivelarlo. Firmo ogni volta un accordo di riservatezza».
Che altro inventa?
«Tinture e aromi personalizzati. Per esempio, collaboro con Beppe Palmieri, maître e sommelier dell’Osteria Francescana di Massimo Bottura a Modena, tre stelle Michelin».
Quando cominciò a realizzare questo olfattorio?
«Nel 1987. Avevo 14 anni».
Quante essenze conta?
«Si chiamano botaniche. Circa 60.000, nelle varianti tintura madre o essiccata. Il segreto sta nella selezione. Un pepe del Vietnam o del Camerun cambia le note olfattive, aromatiche e gustative ogni anno, a seconda dell’appezzamento di terreno».
Quindi?
«Sono andato a cercarmi un pepe selvatico nella foresta del Madagascar».
Che altro ha scovato?
«Il neroli del Marocco. Mezzo secolo fa si otteneva dalle arance amare in Sicilia, Calabria e Liguria. E il giaggiolo, un iris che è diventato il simbolo di Firenze, da tutti scambiato per un giglio. Sono fra i pochi al mondo ad avere l’olio essenziale di zafferano».
Come li conserva?
«In flaconi farmaceutici da 5 millilitri a 1,5 litri, mantenuti a 15 gradi costanti, con tappi ermetici. Ho anche creato le capsule del tempo».
Che cosa sono?
«Contenitori di vetro. Ci metto dentro un cibo e verso un liquido di mia invenzione, in modo che il sapore si tramandi anche fra 100 o 200 anni, quando dell’ossobuco alla milanese potrebbe restare solo la ricetta».
Teme che possa accadere?
«È già accaduto. Con il piano Marshall, in Italia abbiamo perso il 60 per cento delle varietà vegetali. Pensi che esistevano 60 tipi di anguria, oggi sono ridotti a 3-4».
Le capsule del tempo
Sono contenitori di vetro in cui metto un cibo, poi verso un liquido di mia invenzione in modo che il sapore si tramandi anche tra 100 o 200 anni
Che c’entra George Marshall, segretario di Stato statunitense nel 1947?
«Finita la guerra, c’era un popolo da sfamare. L’America ci fornì le sementi che offrivano il grano a più alta resa e le maggiori produzioni di frutta e verdura».
Mi definisca il suo naso.
«Un organo in declino. Cala la vista: ti metti gli occhiali. Cala l’udito: ti metti gli apparecchi acustici. Cala l’olfatto: non puoi farci nulla».
Una polizza assicurativa?
«Due compagnie me l’hanno proposta, ma non posso permettermela. Ho l’impressione che i critici enogastronomici che assicurano le loro papille gustative lo facciano per accrescere il proprio mito. Io invece sono negato per le pubbliche relazioni».
Detesta farsi fotografare.
«Una forma di umiltà che ho imparato da Bob Noto, l’Oliviero Toscani della cucina, e da Giacinto Rossetti e Bruno Biolcati, il fondatore e il maître del Trigabolo. La mia immagine è l’olfattorio».
Che cosa distingue con il suo olfatto?
«Persone, situazioni, ambienti. Da bambino ero in grado di dire ai miei amichetti, annusandoli, che cosa aveva cucinato la loro mamma».
Il suo profumo preferito?
«Quello che scriverò o che indosserò domani».
Facciamo oggi.
«Note mediterranee di una colonia salvia e rosmarino».
Luchino Visconti volle l’aroma di zagara sul set del «Gattopardo» perché Claudia Cardinale s’immedesimasse subito nella parte.
«Non lo sapevo. Degno di un leggendario regista».
Le puntate alle slot machine di Las Vegas sono aumentate del 45 per cento con un profumo ruffiano nei casinò.
«Guardi che lo spargono pure nei centri commerciali».
Ma lei giudica a naso?
«Nel valutare le persone è un organo importante».
Qui vicino morì Cagliostro. Pensa di assomigliargli?
«Per nulla. Lui pensava solo a ingannare, apparire e arricchirsi. Per me l’alchimia è una filosofia di vita, la trasformazione di sé stessi».
Però imbottiglia il Nostradamus gin e il Paracelso gin.
«Omaggi a un visionario e a un medico. Fu Paracelso a ottenere dall’oppio il laudano, l’analgesico che alleviò le sofferenze dell’umanità».
Le rarità selezionate
Ho scovato il neroli del Marocco, mezzo secolo fa si otteneva dalle arance in Sicilia. Sono tra i pochi ad avere l’olio essenziale di zafferano
Chi erediterà l’olfattorio?
«Non sono sposato, però ho un figlio che, quanto a naso, promette bene. Ha 11 anni e già a 3 era capace di distinguere a occhi chiusi 40 botaniche. Per la sua generazione sto mettendo a punto un progetto che farà del miele il prodotto tipico di Rimini, più ancora del mare».
Ma le api stanno sparendo.
«Il collezionista trova e conserva. Le api torneranno»