Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  luglio 01 Martedì calendario

“A pesca di archeoplastiche quei reperti immortali che soffocano i nostri mari”

Il primo e indimenticabile è un flacone di Ambra Solare, spuma spray abbronzante con comodo gancio, prodotto nel 1968 e allora in vendita a 990 lire. Ritrovato sulla spiaggia di Carovigno, cinquanta e passa anni dopo. Che reperto, della nostra società dei consumi, del nostro disinteresse e colpa collettiva, della malagestione italiana dei rifiuti.
Poi, da quell’oggetto (ancora integro, seppure scolorito) è partito tutto un progetto che coinvolge un sacco di gente, tra raccoglitori seriali di spazzatura che riemerge dal mare, ambientalisti sparsi, studiosi e persino collezionisti di pezzi vintage, che si chiama Archeoplastica, fondato da Enzo Suma, che ha 44 anni, vive a Ostuni, si è laureato a Cà Foscari in Scienze ambientali, poi è tornato in Puglia dove fa la guida naturalistica. Ha anche 450mila follower su Instagram, tra “segnalatori” di spiaggiamenti (montagne di roba), di oggetti datati, di volontari per le raccolte collettive che organizza dal 2010, non solo in Puglia.
E l’ultima plastica interessante, cos’è?
«Un cartello di divieto di pesca, che è arrivato qui dal cuore del Trentino, e precisamente dalla Val di Non. Ha fatto oltre mille chilometri, per approdare alla provincia di Brindisi».
E come ci è arrivato?
«Lungo l’Adige, fino alla foce a Rosolina Mare, poi ha cominciato a galleggiare nell’Adriatico, fin qua. Ma abbiamo trovato anche un divieto di caccia di Verona, che ha fatto lo stesso percorso. Tutto quanto galleggia, prima o poi arriva da noi, soprattutto d’inverno, quando la pioggia gonfia i fiumi del Nord Italia, e il maestrale e le correnti superficiali spingono i rifiuti verso sud».
A sacchi.
«Centinaia di sacchi. Allora avvisiamo l’azienda di raccolta rifiuti del posto, e gli operai vengono a ritirare con i camion.
Ormai non mostriamo neanche più questi ritrovamenti, perché sono la norma. E le nostre spiagge sono strette, quindi i rifiuti tendono ad accumularsi. D’estate il fenomeno è meno visibile, perché i Comuni fanno ripulire le spiagge, gli stabilimenti balneari puliscono i loro tratti e così si copre il problema agli occhi dei turisti».
E pure i turisti, fanno la loro parte.
«Già. Aumenta la plastica monouso, che spesso viene abbandonata in spiaggia, e poi finisce in mare. Troviamo contenitori di prodotti non ancora scaduti, quindi nuovissimi. E poi gli oggetti vecchi, che sono in giro dagli anni Sessanta e anche da prima. Questi li schediamo e li mettiamo online, con la spiegazione, la data di produzione, il luogo del ritrovamento. E facciamo delle mostre itineranti, così la gente capisce».
Ma capisce?
«Sì, perché sono oggetti che parlano da soli. Davanti al flacone di polietilene flessibile che conteneva il talco “8x4”, prodotto in Germania alla fine degli anni Cinquanta, non si può non pensare alla responsabilità che ciascuno ha dei propri rifiuti. E così per tutti gli oggetti ancora in perfetto stato, pur essendo così vecchi. Perché la plastica è eterna, e la bioplastica è un’illusione, perché in mare non si degrada mai».
Abbondano gli oggetti archeologici anni 60, dal talco Felce azzurra al gelato miniball Eldorado. E il “misterioso clown greco”?
«Trovato a Torre Chianca, provincia di Lecce. Prodotto in Grecia dal ’60 al ’69, conteneva miele. Identificato da un’esperta diquegli oggetti. Purtroppo le correnti ci portano anche i rifiuti dei Balcani, come in Sardegna e Toscana arrivano quelli spagnoli e francesi».
Ma come è possibile che un flacone di Vetril anni Settanta sia ancora in circolo, nell’inconfondibile colore azzurro, intatto. Questa plastica è immortale?
«A volte gli oggetti restano coperti dalla sabbia o intrappolati nelledune, immobili. Ma a un certo punto la duna va in erosione, e le mareggiate li spostano. Però in quegli anni non c’erano etichette, che nei prodotti moderni sono invece staccabili, e quindi una forma separata di inquinamento.
Purtroppo le etichette piacciono molto alle tartarughe, perché fluttuano nell’acqua».
Il vostro catalogo comprende prodotti non più in produzione, eppure iconici, tra cui il Barbapapà, “Pez lo sparacaramelle”, e molti gadget e giocattoli…
«… che i collezionisti riconoscono e datano a colpo sicuro, perciò siamo sicuri dell’epoca. Ultra resistenti, ancora colorati, talvolta incrostati dagli organismi marini.
Ma interi, indistruttibili».
E ci spieghi invece i ritrovamenti dei dischetti neri. Cosa sono?
«Sono componenti di impianti di depurazione delle acque.
Abbiamo cominciato a trovarne a migliaia, prima a Rosolina, quindi foce dell’Adige, e poi in Puglia, a Torre Colimena, famosa spiaggia salentina sullo Ionio, e anche a Taranto. Significa che hanno doppiato Santa Maria di Leuca, e poi sono risaliti verso nord. Noi pensiamo che arrivino dal Trentino, da un impianto molto moderno che usa questa tecnologia, e che forse non sa di queste perdite di materiali».
Finirà mai?
«No. Il problema sta peggiorando.
Tonnellate di bottiglie, cotton fioc, cannucce, polistirolo… Siamo diventati la discarica d’Italia. Il mare si vendica, e ci sputa in faccia la nostra immondizia».