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 2025  luglio 01 Martedì calendario

Se l’AI batte i medici

Un nuovo sistema di intelligenza artificiale ha dimostrato di saper fare diagnosi di casi clinici complessi meglio dei medici. E ha imparato a farlo comportandosi proprio come farebbe un medico. Procedendo cioè passo dopo passo, facendo domande specifiche su sintomi e analisi, richiedendo esami diagnostici di approfondimento dopo aver ricevuto i referti, fino a raggiungere la diagnosi finale. Ma l’efficacia delle sue diagnosi ha raggiunto un’accuratezza dell’85 per cento, contro il 20 per cento di medici esperti che hanno partecipato al test. Il sistema è stato messo a punto da Microsoft, che ha pubblicato uno studio dove spiega in dettaglio metodo e risultati raggiunti. L’obiettivo del team era migliorare le capacità di ragionamento clinico delle Ai. Portare quindi il software a ragionare come uno specialista, lavorando a diagnosi graduali per capire il problema del paziente. Ma con una marcia in più rispetto agli umani: la quantità enorme di dati in grado di analizzare prima di dare delle risposte. Un approccio innovativo che ha fatto in modo che Mai-Dxo (il nome del software) ottenesse risultati oltre le più rosee previsioni dei ricercatori. Otto su dieci le diagnosi corrette della macchina, due su dieci quelle dei medici. Il team di ricercatori di Redmond ha selezionato e usato i casi di studio dalla rubrica Case Record del New England Journal of Medicine, una delle fonti più autorevoli al mondo che pubblica casi medici difficili. Non si è trattato quindi di quiz, ma resoconti clinici, descritti in dettaglio: dal primo contatto del paziente con i sintomi, ai vari test diagnostici, fino alla conclusione clinica. All’Ai (così come alla controparte umana del test) venivano forniti solo le indicazioni iniziali dei sintomi. Da lì ha dovuto simulare il processo analitico. Per quali malattie? Nel documento pubblicato da Microsoft si parla di «sfide diagnostiche complesse, spesso con sintomi ambigui o ingannevoli»; patologie che richiedono l’intervento di più specialisti insieme; condizioni rare o atipiche, come malattie autoimmuni, tumori, infezioni sistemiche, disturbi neurologici o malattie metaboliche. Casistica ampia e complessa di casi che avrebbe avuto il merito di confermare la bontà del metodo usato dai ricercatori per indurre le macchine a un ragionamento raffinato e soprattutto corretto. Il team ha utilizzato modelli di Ai esistenti, tra cui quelli più popolari (ma nelle loro versioni più avanzate) come ChatGPT di OpenAI, Meta AI, Anthropic, Grok di Elon Musk e Gemini di Google. Una sorta di cervello centrale che coordina più modelli di Ai per creare quello che ha chiamato un “orchestratore diagnostico”. Orchestratore che imita in effetti un gruppo di medici, che poi formulano la diagnosi. L’intelligenza artificiale messa a punto quindi non indovina la diagnosi attraverso calcoli statistici o correlazioni, ma è un sistema che – provando a immaginarlo all’opera – potrebbe dialogare con un paziente e capire attraverso domande la strada giusta da seguire. Può farlo da solo? La risposta di Microsoft è no. Sebbene in alcune condizioni sembra lavorare meglio di un team di umani, il colosso del software americano parla di Mai-Dxo non come di un sostituto, ma come di un “potente alleato”, in grado di aiutare soprattutto in quei casi in cui la complessità diagnostica mette a dura prova le capacità individuali del medico, o dello specialista. Piuttosto al momento la strada che sembra più probabile è quella di un’alleanza uomo macchina. In cui l’Ai si fa supporto, anche decisivo. A questo si aggiunge una netta riduzione dei costi – citata nello studio, ma al momento non quantificabile – che deriverebbe soprattutto dalla maggiore precisione degli esami richiesti, evitando quelli inutili. Di conseguenza del tempo necessario per individuare una patologia specifica. Promesse. Che al momento si scontrano con la realtà, dove l’uso di questi strumenti deve sottostare a rigidi controlli e regole per evitare un uso distorto o peggio a casi in cui a pagare le conseguenze di cattive diagnosi siano i pazienti. Ma per Microsoft il sistema presto sarà in grado di mettere in campo una “profondità e ampiezza di competenze” che supera quella dei singoli medici, perché in grado di muoversi tra diversi settori. «Migliorare in questo livello di ragionamento – scrivono i ricercatori – ha il potenziale di rivoluzionare la sanità. L’Ai potrebbe aiutare i pazienti a gestire in autonomia la cura e fornire ai medici un supporto decisionale». Sebbene la stessa azienda ammetta che il sistema non è ancora pronto per l’uso clinico, la strada sembra già tracciata, e ha un nome: “la via per una super intelligenza medica”, la chiamano i ricercatori. Uno scenario in cui un software sa ragionare e diagnosticare in ogni campo meglio di un medico umano. E affrontare ogni tipo di patologia. Quello che poteva sembrare fantascienza, oggi è una direzione concreta della ricerca.