La Stampa, 1 luglio 2025
I ragazzini su tiktok in abito da battaglia
La terza guerra mondiale è la tendenza moda della primavera-estate 2025/2026 in quella fashion week permanente che sono i social. Su Instagram, e soprattutto su TikTok, si è sviluppato il tragicomico filone del «cosa mi metto se mi arriva la cartolina dall’esercito?» con relative prove di trucco per vedere se il mascara resiste al fosforo bianco e consigli su quale Gucci bag portarsi sull’F-16 come bagaglio a mano. Insomma, nulla di nuovo sul fronte occidentale in tuta mimetica. Fa ridere? Fa ridere se il bersaglio del video sono i ventenni della GenZ che fanno ironia su se stessi, sull’ossessione del fit check, sul naturale e drammatico smarrimento davanti al telegiornale. Se invece chi fa il video inizia a mettere le mani avanti, a fare la morale con gli slogan e le bandierine, a dire che non vuole offendere nessuno no, non fa più ridere, perché vuol dire che non ha capito nemmeno lui qual è il bersaglio della sua battuta. C’è anche un altro filone, quello sul diario, che fa più o meno così: «Mi spiace Anna Frank, ma questa volta sarà il mio diario a essere il più venduto».
La guerra non poteva che ridursi a meme, che è un po’ la reductio ad Hitlerum per chi non ha finito il programma di terza media. Immaginare la terza guerra mondiale combattuta da podcaster, influencer e tiktoker è un esercizio comico e drammatico che funziona, e funziona perché è uno scenario possibile: agire per la pace vuol dire anche scongiurare l’eventualità che un influencer imbracci un fucile, e senza poterlo postare su Instagram. In realtà, ho la convinzione che questi video siano un tentativo di esorcizzare la morte da parte di gente che viene da ottant’anni di pace e che non ha nessun ricordo, ad esempio, dell’11 settembre. Si è parlato tanto di quanto “i giovani” non sappiano nulla della seconda guerra mondiale, ma secondo me il dato è che non sappiano nulla dell’11 settembre, quando uno aveva paura a uscire di casa, ma d’altra parte col programma di storia si fa bene solo la Mesopotamia, ma non la Mesopotamia di oggi.
In questi video c’è chi chiede consigli per una playlist da portare in trincea – la più quotata è “Blow” di Kesha – chi va in negozio a provare le Dr. Martens per capire se fanno subito le vesciche o si può correre, chi prova diversi outfit a seconda del futuro impiego: spia in pelliccetta ecologica perché bisogna essere cruelty free anche in guerra, generale in latex, shoegazer con gli anfibi, fan degli Oasis con il parka mimetico. Poi, purtroppo, bisogna fare anche i conti con il fatto che una qualsiasi idea sui social diventa solo un mezzo per fare visualizzazioni e non per esprimere qualcosa di autentico.
Pochi giorni fa il generale Vannacci, durante un suo intervento in Puglia, ha detto: «Quali sono le persone che oggi vengono cresciute con ideali come onore, difesa della patria, lealtà, coraggio, sprezzo del pericolo? In Toscana recentemente c’è stato il Gay pride, ci mandiamo questi signori a morire al fronte? Ditemelo voi». Per come sono andante le cose nei recenti Pride, tra scismi interni e inclusive esclusioni di minoranze, direi che se in guerra ci vanno gli spietatissimi organizzatori abbiamo una qualche possibilità di vittoria sul confine intersezionale. Alla fine, speriamo davvero a seppellirci sia una risata e non altro.