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 2025  luglio 01 Martedì calendario

Mistero tasse

«L’aumento della pressione fiscale? È un fenomeno che è iniziato nel 2023, perché già in quell’anno c’è stato un forte aumento delle entrate, ben oltre le stime previste dal governo», spiega il direttore dell’Osservatorio conti pubblici italiani della Cattolica, Carlo Cottarelli secondo cui «il fenomeno è proseguito poi con ancora più evidenza l’anno passato e ancora continua visto che anche nei primi 4 mesi di quest’anno le entrate stanno andando meglio del previsto». Le ragioni? Le cifre ufficiali spiegano solo in parte questo fenomeno. «È un po’ un mistero» sostiene l’economista.
Trent’anni di su e giù
Nell’arco di trent’anni, la pressione fiscale ha mostrato aumenti e riduzioni su un range di circa quattro punti di Pil, spiega uno studio pubblicato a fine maggio dall’Ocpi ricordando che un aumento significativo della pressione fiscale si registrò tra il 1995 e il 1997, anno nel quale fu introdotta anche una misura straordinaria (la «famosa» tassa per l’Europa) per raggiungere il target sul deficit stabilito col Trattato di Maastricht. Negli anni successivi si è poi registrato un calo, con la pressione fiscale sotto il 40% già nel 1999. Il calo è poi proseguito nei primi anni Duemila, in particolare durante il Governo Berlusconi II, accompagnato però – viene sottolineato – da un aumento del deficit oltre il limite dei trattati europei (4, 1% del Pil nel 2005). Nel 2005 la pressione fiscale ha registrato il livello più basso degli ultimi trent’anni (38, 9%), per poi tornare a crescere, in particolare per le manovre di aggiustamento adottate durante la crisi del debito, fino al 43,4% nel 2013. «A dispetto delle dichiarazioni dei diversi governi, la pressione fiscale si è mantenuta nell’ultimo decennio intorno al 42% del Pil e sembra destinata a rimanere tale nel prossimo futuro» rileva così l’Osservatorio della Cattolica nel suo studio. Un dato, questo, confermato anche l’ultimo Documento programmatico di bilancio che per quest’anno indica una pressione al 42,7% ovvero lo 0,1 in più del 2024, dopo che in quell’anno si era già avuto un balzo di 1,2 punti rispetto all’anno prima. Detto questo l’Italia in base ai dati del 2023, gli ultimi disponibili per tutti i Paesi, è sì sopra la media Ue (39,8%), ma in Europa occupa solamente la nona posizione dietro a Francia (che col 45,6% presenta la pressione fiscale più alta), Belgio, Danimarca, Austria, Finlandia, Svezia, Norvegia e Lussemburgo.
Un biennio record
Nel 2023 le entrate fiscali del Paese sono risultate più alte del previsto di 14 miliardi. Di questi 14 miliardi, 7 rappresentavano maggiori versamenti dei contribuenti per le principali imposte (Irpef, Ires, Irap), mentre 5 derivavano dal recupero dell’evasione. Nel 2024 la Pubblica amministrazione ha invece registrato 42,8 miliardi in più del previsto, in pratica ben 2 punti di Pil, grazie a 38 miliardi in più di imposte dirette e 4 da maggiori imposte dirette. Le ritenute sulle rendite finanziarie e da capitale, sostenute dall’ottimo andamento dei mercati nel 2024 (fenomeno che è proseguito anche in questo inizio d’anno, favorendo come si è visto un ulteriore balzo della pressione fiscale), sono state di 13,8 miliardi più alte del previsto. Si tratta in particolare di 9,5 miliardi in più dall’imposta sugli interessi e altri redditi da capitale e 2 dall’imposta di bollo sui conti deposito (secondo il Mef c’è stata una ricomposizione dei portafogli di investimento verso questo strumento), e 2,3 miliardi dall’imposta sugli utili distribuiti. Due miliardi di maggiori entrate derivano poi da misure introdotte nel corso del 2024, tra cui quelle volte a indurre un’adesione più ampia all’imposta sostitutiva agevolata sulla rivalutazione dei terreni e delle partecipazioni (1,5 miliardi in più). Il migliore adempimento fiscale ed il recupero dell’evasione hanno fruttato invece 3 miliardi più del previsto, e di questi 2 sono relativi a maggiori versamenti dei contribuenti ed un altro miliardo è dovuto alle ritenute sui contratti versati dalle piattaforme per gli «affitti brevi»). Alla fine restano però 18 miliardi di cui non si capisce bene la provenienza. E per questo Cottarelli parla esplicitamente di «mistero».
Tasse, il nodo del taglio
«Io – spiega l’economista– comincio a sospettare che sia l’effetto di una ulteriore riduzione dell’evasione fiscale. Dopo l’introduzione della fattura digitale che ha avuto un certo impatto la gente ormai si è abituata a pagare con carta di credito e, anche se l’Agenzia delle entrate non ha nessun modo per controllare i flussi di pagamento, questo meccanismo crea un effetto psicologico che induce i tanti che temono di essere scoperti ad emettere fatture e ricevute». Ma adesso, a suo parere, «il punto vero è un altro. Il governo dovrebbe utilizzare queste maggiori entrate, ben più alte del previsto, per tagliare l’Irpef – sostiene Cottarelli –. Il problema è che il fondo per la riduzione della pressione fiscale è alimentato con tre anni di ritardo e con enormi procedure, per cui il maggior gettito di oggi non è immediatamente spendibile. Bisognerebbe cambiare la sua regolamentazione – conclude l’economista – perché già l’anno scorso siamo arrivati quasi ai livelli del mitico Monti: abbiamo toccato il 42,6%, mentre con Monti eravamo al 43%».