Avvenire, 1 luglio 2025
La crisi di Boeing e le prospettive nella difesa
Il Salone internazionale dell’aeronautica e dello spazio di Le Bourget (che si è svolto negli scorsi giorni) è arrivato in un momento quantomai opportuno, ancorché non necessariamente propizio, per questo settore cruciale per il sistema politico ed economico mondiale. Sono infatti molteplici i fenomeni che lo interessano, alcuni legati all’attualità, altri a cambiamenti di natura strutturale. La tragedia di Ahmedabad, che con 279 vittime è la più pesante dal 2014, oltre a rilanciare il dibattito sulla sicurezza del trasporto aereo (che resta la modalità più sicura, una volta ponderate le distanze percorse), solleva nuovi interrogativi sull’affidabilità degli aerei Boeing. Le scatole nere del 787 Dreamliner di Air India non sono ancora state esaminate, ma è immediato pensare ai molti incidenti che negli ultimi anni hanno colpito la società di Seattle e Chicago, e in particolare ai due crash di 737 MAX nel 2018 e 2019 in cui morirono 346 persone. Sotto la guida di Kelly Ortberg, un veterano del settore richiamato dalla pensione lo scorso agosto, Boeing aveva iniziato a rimontare il piano inclinato, con l’obiettivo di medio periodo di cambiare in profondità la cultura d’impresa, dominata a lungo da un mix tossico di tagli indiscriminati dei costi e pressioni a rispettare programmi di produzione sempre più esigenti. Un exploit, anche dal punto di vista borsistico – certo ancora parziale e incerto, celebrato dal Financial Times appena tre giorni prima che gli eventi in India causassero un nuovo tonfo del titolo (-6,4%) e costringessero Ortberg a rinunciare alla trasferta parigina.
Se tutto ciò che riguarda il principale esportatore degli Stati Uniti riceve un eco notevole, a Capodanno è passato quasi inosservato l’annuncio della Commercial Aircraft Corporation of China (Comac) che un C919, fino ad allora operativo solo su rotte interne, ha servito per la prima volta una tratta internazionale, ancorché sui generis, da Shanghai a Hong Kong. Eppure nei mercati fortemente concentrati a livello globale, l’arrivo di un nuovo player è un avvenimento sufficientemente raro da essere evidenziato sul calendario. Così nell’aeronautica commerciale in mezzo secolo sono entrati solo tre nuovi produttori di jet: Airbus nel 1974, la canadese Bombardier nel 1992 e la brasiliana Embraer nel 1997. Una volta ottenuta la certificazione necessaria per vendere in Occidente, il C919 a 176 posti (indicativamente) farebbe concorrenza all’Airbus 320 e al Boeing 737, nonché al modello da circa 200 posti che Embraer sembra destinato a sviluppare. Al Bourget, Comac ha anche dichiarato che il C929, un widebody simile all’Airbus A350, sarà pronto tra 10 anni.
Passare da un duopolio (in cui oltretutto uno dei produttori, appunto Boeing, è soggetto per motivi di sicurezza a un tetto nel numero di apparecchi che può produrre) a un oligopolio con tre o quattro attori, sarebbe ben accolto dalle compagnie aeree, costrette negli ultimi anni a lunghi tempi di attesa per la consegna di aeromobili. Per quanto riguarda i prezzi, comprare un aereo è verosimilmente diventato più oneroso, anche se le cifre sono riservate. Un altro vento contrario – reso necessario dall’elevato impatto ambientale del trasporto aereo – è costituito dall’impiego di sustainable aviation fuel (Saf), tre volte più caro del carburante tradizionale e che ha, secondo la Iata, aggiunto 1,6 miliardi di dollari alla bolletta energetica delle linee aeree nel 2024. Anche se la reddittività, misurata dai profitti netti, è comunque migliorata nell’ultimo esercizio, l’Ebit resta basso (6,4%).
I rischi all’orizzonte sono in gran misura gli stessi che per altre industrie e legati innanzitutto alle tensioni geopolitiche globali. Compagnie aeree e imprese aeronautiche erano riuscite ad adattare le proprie strategie alla pandemia, alla guerra in Ucraina, allo sbriciolamento di catene di subfornitura. Negli ultimi mesi sono sopraggiunti nuovi shock: la guerra commerciale ha causato l’improvviso congelamento degli ordini cinesi per aerei Boeing, il conflitto tra Iran e Israele ha costretto all’ennesimo cambio nelle rotte tra Europa e Asia. In questo contesto, a Bourget sono annunciati ordini per qualche centinaio di apparecchi, una frazione dei 1303 conclusi nel 2023.
La prospettive sono migliori sul fronte della difesa, che rappresenta quasi un terzo del fatturato Boeing e meno di un quinto di quello Airbus. Il riarmamento in Europa e il lancio ormai prossimo del programma per il caccia di sesta generazione promettono anni floridi per i general contractors. Il problema è che i modelli tradizionali di warfare stanno dimostrandosi inadeguati di fronte al moltiplicarsi di nuovi strumenti, come i droni e le reti satellitari diffuse.