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 2025  luglio 01 Martedì calendario

Per lo sviluppo non è tempo di aiuti: impegni boicottati dall’assenza Usa

«Vietato» parlare di aiuti, impossibile aspettarsi impegni economici. La sibillina definizione chiave, ormai, sul fronte della cooperazione globale è «mobilitazione delle risorse interne». Tradotto: fate da voi. O quasi. Perché tra conflitti in aumento e barriere politiche e commerciali che si alzano, tra nuove emergenze e priorità che cambiano, vedi le spese in aumento per la difesa, per il sostegno al Sud del mondo resta poco, pochissimo. Se non, appunto, mille richiami a quegli investimenti che i Paesi fragili dovrebbero essere in grado di attirare e sbloccare e a quelle entrate fiscali che dovrebbero essere più capaci di raccogliere. Come, non si sa, visto lo stato in gran parte informale di quelle economie, l’inadeguatezza delle infrastrutture, l’opacità dei flussi finanziari, la povertà dilagante e il malcontento delle piazze. Benvenuti a Siviglia, per tre giorni al centro di quell’«industria della cooperazione» che pare annaspare in un mondo in cui, forse, non si riconosce nemmeno più. «Lo sviluppo e il suo grande motore, la cooperazione internazionale, stanno affrontando forti venti contrari», ha riconosciuto qui ieri il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, secondo cui occorre «cambiare rotta», accelerando gli investimenti «con la portata e la velocità necessarie». Da un lato passaggio chiave per un rinnovato impegno nel finanziamento per lo sviluppo, dall’altro presa d’atto delle profonde fratture nel sistema multilaterale globale e della fine di un’era basata sui classici aiuti: difficile individuare mezze misure, nei discorsi ufficiali e tra i colloqui informali di centinaia di delegati arrivati in Andalusia da tutto il mondo per dare nuovo impulso a uno sviluppo equo e sostenibile. Per gli Obiettivi di Agenda 2030 e la riforma dell’architettura finanziaria internazionale siamo forse all’ultima chiamata. Le disuguaglianze globali, la crisi del debito che intrappola le economie fragili, le riforme sulla cooperazione fiscale, gli investimenti legati alle infrastrutture e al cambiamento climatico sono solo alcuni dei nodi sui quali Nord e Sud del mondo si trovano oggi più distanti di un tempo, nonostante una certa buona volontà ostentata a questa quarta Conferenza internazionale sul Finanziamento per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (Ffd4). «L’Unione Europea fornisce il 42% degli aiuti allo sviluppo mondiali. Ne siamo orgogliosi e il nostro impegno è destinato a durare», ha rivendicato qui a Siviglia la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, evidenziando anche la necessità di «dare attuazione all’accordo G20-Ocse sulle norme internazionali in materia di tassazione delle società. Ciò rafforzerà le entrate nelle economie in via di sviluppo». Sui sistemi finanziari globali pesano le attuali tensioni e la crisi del multilateralismo, accentuata anche dalle drastiche recenti posizioni assunte dall’amministrazione Trump, tra cui il taglio dell’83% degli aiuti umanitari Usa, che valgono il 42% degli aiuti globali. Non è un caso se proprio Washington abbia deciso di disertare l’appuntamento spagnolo, dopo aver contribuito ad annacquarne il testo negoziato, denominato “Impegno di Siviglia”, che ha avuto il via libera per consenso alle Nazioni Unite ed è stato formalmente adottato ieri dalla Conferenza. Il documento, definito dagli organizzatori un’opportunità «storica», ha il merito di riconoscere il divario annuo stimato in 4mila miliardi di dollari che i Paesi vulnerabili devono affrontare. Trasformare però l’intesa in azioni significative su tassazione equa, corretta gestione del debito e investimenti pubblici adeguati sarà più complicato.
Permangono infatti disaccordi, tra l’altro, su finanza climatica e cooperazione fiscale, con i Paesi del Nord del mondo che hanno frenato proposte per riforme inclusive guidate dall’Onu. Tra queste, i quadri per la cancellazione del debito e l’istituzione di un forum permanente per la cooperazione fiscale internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite. Oggi 61 Paesi in via di sviluppo spendono il 10% o più delle loro entrate per far fronte agli interessi: per tutti questi Stati restano poche risorse per educazione, sanità e infrastrutture e i meccanismi di ristrutturazione del debito si sono rivelati finora troppo macchinosi. I Paesi ricchi hanno insistito per mantenere il controllo all’interno dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e nei forum gestiti dai creditori. Washington, in particolare, ha espresso l’opposizione Usa a proposte che, a suo dire, interferivano con la governance delle istituzioni finanziarie internazionali e non erano in linea con le priorità statunitensi in materia di commercio, fiscalità e innovazione.

Secondo diverse organizzazioni della società civile, gli sforzi per mantenere il consenso tra i Paesi hanno sfibrato l’ambizione dell’“Impegno di Siviglia”, mentre i blocchi negoziali del Sud del mondo avrebbero subito pressioni per accettare un linguaggio più indebolito. Il documento apre però la porta a una possibile risoluzione dell’Assemblea Generale su una Convenzione Onu sul debito sovrano e alla triplicazione dei finanziamenti da parte delle banche multilaterali. Molti governi del Sud del mondo – tra cui il Gruppo g77+Cina e diversi Paesi del Medio Oriente – hanno parlato di un cauto passo in avanti. «Sebbene il testo finale non sia vincolante e indebolito dal compromesso – fa notare l’Ong Center for Economic and Social Rights – rappresenta un punto d’appoggio politico per le coalizioni che spingono per una riforma più profonda». Molti Paesi stanno in particolare provando a promuovere una riforma sistemica delle banche multilaterali di sviluppo e delle istituzioni finanziarie. Parallelamente a questo impegno, avanza anche la Piattaforma d’azione di Siviglia, in cui oltre 240 proposte (da parte di governi e società civile) vengono presentate insieme al documento della Conferenza. Centrale, nella nuova visione di finanziamento dello sviluppo, restano le operazioni legate a fondi misti pubblico-privati per la mobilitazione di nuovi investimenti. In pochi ritengono invece che la soluzione risieda nell’inseguire ancora le promesse sbiadite del Nord del mondo.
Sono oltre 200 le delegazioni ufficiali di Paesi membri dell’Onu che si confrontano qui a Siviglia, 60 i capi di Stato e di governo, mentre ieri la presenza di re Felipe VI e del premier Pedro Sánchez ha evidenziato l’importanza che la Spagna attribuisce al vertice. «Davanti all’indebolimento dell’azione multilaterale, il nostro governo fa il contrario, lo promuove», ha osato Sánchez. Madrid considera il documento finale solido, capace di affrontare temi vitali come la flessibilità degli strumenti di finanziamento, il margine fiscale per i Paesi in via di sviluppo e i meccanismi per mettere in campo maggiori risorse, oltre al cruciale problema del debito. Sul fronte aiuti, invece, l’Ocse stima un crollo fino al 17% nel 2025, dopo il -9% del 2024. «Il multilateralismo non è mai stato più necessario di oggi», ha sottolineato da parte sua Guterres, evidenziando la necessità di ricostruire la fiducia in un sistema minato dalla diffidenza tra gli Stati e di «ripristinare la giustizia e vite dignitose». Dalle parole ai fatti, però, la strada resta ancora lunga.