la Repubblica, 30 giugno 2025
Non sempre un bacio è soltanto un bacio
Spiace per Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, ma un bacio non è mai solo un bacio. Soprattutto se ambisce a diventare il bacio per antonomasia, l’icona del baciare, l’epitome della bacità. Gara non semplice, da Hayez in poi. Compirà fra poco ottant’anni uno dei pretendenti più accreditati al trono; il VJ-Day Kiss di Alfred Eisenstaedt, il bacio appassionato fra il marinaretto e la crocerossina, sorpreso in mezzo a una Times Square in festa delirante, il 14 agosto del 1945, il giorno dell’annuncio della fine della guerra nel Pacifico. Tutto è a posto, ammiccante e festante e sensuale in quella fotografia: la divisa scura e quella chiara, l’abbraccio e la gambetta alzata, la rovesciata con casqué da tango, l’eccitazione e l’abbandono, e tutto questo sullo sfondo della piazza più piazza d’America, il crocevia del mondo. Apparve il 27 agosto sul numero di Life che celebrava la fine della Seconda guerra mondiale, a dir la verità non fu neppure scelta per la copertina, ma negli anni dimostrò la sua potenza.
Anche troppo. Al suo autore, come accade spesso quando l’opera diventa più famosa dell’artista, non piaceva poi tanto. “Eisie”, fotografo esule tedesco, amava l’arte classica ma seppe diventare un grande fotoreporter del Novecento, creatore di grandi ed eloquenti immagini della sua epoca, le 170 scelte da Monica Poggi che adesso riempiono le sale di Camera Torino per una retrospettiva che ricolloca, finalmente, il bacio di Times Square in una biografia straordinaria, piena di scoop importanti e coraggiosi; come quando osò presentarsi nel 1933 davanti a un Goebbels appena nominato ministro del Reich strappandogli un ritratto con quello sguardo carico di odio, davvero l’espressione del male assoluto, tanto che nelle sue memorie Eisie si chiede: «Ma qualcuno gli aveva detto che sono ebreo?».
Quel bacio fu la chiusura metaforica di un cerchio. Eisenstaedt era alla Pennsylvania Station di New York nella primavera del 1943, quando partivano i militari americani per la guerra europea, e anche lì fotografò baci su baci, ma di angoscia e lacrime. I baci esuberanti e quasi isterici di due anni dopo, almeno per i sopravvissuti, ne furono la revoca e il risarcimento. La foto-icona Eisie la realizzò quasi d’istinto, se bisogna proprio credere al suo racconto: di baci fra sconosciuti quel pomeriggio ne schioccavano a centinaia, l’occasione infrangeva il pudore americano per le effusioni in pubblico, i fotografi ne colsero a decine. Anche Eisenstaedt aveva avvistato quel marinaio più che euforico acchiappare belle ragazze in giro, ma fu con la coda dell’occhio, racconta, che lo intravvide afferrare la nurse in quella posa plastica, si girò e scattò tre volte, ma una sola era quella buona, vera, giusta. Eh, ma i baci sono traditori. E le fotografie pure. Qualche anno dopo, per un anniversario, Life ebbe la buona idea, che presto si rivelò pessima, di invitare gli anonimi bacianti a farsi avanti. Non lo avesse mai fatto. Sbucarono decine di pretendenti. L’un contro l’altro armati e ben decisi a non cedere il piedistallo dell’eroe involontario. Per prima si fece viva l’infermiera: una certa Edith Shain, che Eisenstaedt stesso convalidò dicendo di riconoscerne ancora le belle gambe. Ma la lotta feroce si scatenò sul ruolo del marinaio. Una vera e propria omerica baruffa tra i proci. Il pretendente più accreditato, tale Glenn McDuffie, venne presto sfidato dal rivale George Mendonsa, e tra i due reduci, in un talk show televisivo, volarono perfino parole grosse.
Ne scaturì una battaglia legale con spargimento di prove, pamphlet, analisi fotogrammetriche e antropometriche degne dei Ris. Mendonsa per giunta propose un’altra infermiera come sua partner di quel secondo, di nome Greta Zimmer Friedman. La quale però sganciò un’altra granata: «Quell’uomo era molto forte. Io non lo stavo baciando. Era lui a baciarmi», e la serenità apparente di quella immagine si trasformò in un teatro dell’aggressione sessuale e del #Metoo.
Del resto, «una fotografia è un bacio oppure uno sparo», pare abbia detto Henri Cartier-Bresson, proprio come lo scatto fotografico, il cui clic fa il dolce rumore di un bacetto, ma in inglese si dice shot. E in quel confine labile precipitano tanti baci fotografati. Perché i baci, in fotografia, rendono molto, sono emozionanti e desideranti, ma sono scivolosi.
L’altro grande bacio della storia della fotografia, il Baiser de l’Hotel de Villedi Robert Doisneau, datato 1950 e pure quello commissionato da Life, la cartolina romantica più venduta del mondo, anche quello finì in tribunale per le liti sulle coppiette che credevano di riconoscersi nei baciatori ambulanti, fino a quando a malincuore Doisneau non dovette rivelare di aver usato, e retribuito, due attori. Ma che ci volete fare, «un bacio è sempre rubato» scriveva Édouard Boubat sul suo taccuino di fotografo voleur galantuomo, per farsi perdonare di aver fatto incetta per una vita intera di baci altrui.
Baci ingenui o sensuali, spontanei o recitati, pubblici o privati, la fotografia li ama tutti perché il bacio, specie in pubblico, sta sulla soglia ambigua tra l’innocenza e la trasgressione, e quindi si vende bene. Le cartoline osé d’un secolo fa mostravano baci da boudoir alludendo a ciò che non si poteva mostrare. Il bacio proibito delle celebrità è la preda più ambita dei paparazzi. L’icona fra le più amate di Elliott Erwitt è il bacio fra due suoi amici, inquadrato nel retro di un’auto, così come tra quelle di Gianni Berengo Gardin è il bacio sotto la fuga di un portico di Venezia, solitario eccetto i piccioni appositamente attesi al varco. E il nostro Mario De Biasi, l’“italiano pazzo” che sfidò le pallottole dell’insurrezione di Budapest, cominciò a collezionare baci proprio quando di ritorno da quelle atrocità sorprese una coppia in fuga baciarsi teneramente sul confine.
La storia della fotografia è stracolma di baci declinati in mille maniere. Baci-protesta: due ragazzi di Vancouver sorpresi da Rich Lam allacciati sull’asfalto indifferenti ai fumi degli scontri con la polizia. Baci-potere, quello quasi omoerotico fra Breznev e Honecker. Baci-provocazione, il pretino e la suorina di Oliviero Toscani. Baci-politica, il foto-tweet di Obama appena rieletto, abbracciato alla sua Michelle. Baci-disperazione, quelli della generazione tradita dall’Aids e dalla droga di Nan Goldin. Baci-premonizione, John Lennon nudo come un morto aggrappato a Yoko Ono, fotografati da Annie Leibovitz poche ore prima dell’assassinio.
Baci d’amor non perduti. Da quando esiste la fotografia, purtroppo o per fortuna non so, i nostri baci non svaniscono più come il profumo delle rose. Alcuni diventano simboli. Ma dopo tutto, quello di ottant’anni fa simboleggiò una cosa buona, il desiderio di cacciare via la guerra, l’incubo, la morte. Che è un mestiere che i baci sanno fare.