La Stampa, 30 giugno 2025
Emir Kusturica: "Il senso della mia vita unire Mediterraneo e letteratura russa"
Con un bagaglio di convinzioni problematiche e prese di posizioni impopolari, Emir Kusturica vive i suoi 70 anni nella certezza di non essere cambiato dai tempi, in cui, nel 1981, era esploso con Ti ricordi di Dolly Bell?: «Sono rimasto – ironizza – lo stesso idiota di allora». A Taormina ha ricevuto, l’altra sera, il Nations Award alla Carriera. Con lui, nell’ambito del Premio Cinematografico delle Nazioni (di cui Marco Fallanca è direttore artistico) sono stati premiati Luc Besson e Terry Gilliam, per Kusturica c’era anche un anniversario importante, i 30 anni dalla Palma d’oro a Cannes per Underground, in cui descriveva la Jugoslavia ai tempi della II guerra mondiale e poi dopo, quando, in seguito alla caduta di Tito, il Paese si era ritrovato in piena guerra civile. Il conflitto è l’argomento che lo perseguita, l’ombra che ha segnato la sua vita e la sua ispirazione artistica, e che anche adesso, dopo le dichiarazioni apertamente filo-putiniane, è al centro delle sue riflessioni: «Negli Anni 90, dopo la caduta del muro, si stava creando un nuovo equilibrio mondiale e ogni nazione cercava di guadagnare un ruolo migliore. Tutta l’Europa occidentale era d’accordo con la distruzione della Jugoslavia, i politici approvavano, e i Serbi erano odiati perché tentavano di mantenere la loro identità, conservare le posizioni guadagnate dopo la fine della guerra. Adesso siamo di nuovo in un periodo turbolento, ci sono nuovi paradigmi di cui bisogna tenere conto».
Cosa si augura in questo momento così difficile per il mondo?
«L’umanesimo e l’illuminismo sono le luci che hanno sempre illuminato la mia esistenza, ho creduto che muovendomi secondo queste direzioni avrei potuto trovare nuovi confini da superare, proprio attraverso il senso dell’umanità. Sfortunatamente il materialismo più volgare e la legge del denaro hanno guadagnato sempre più potere, rispetto alla nostra spiritualità. Questo mi dispiace molto, vorrei che il futuro desse spazio proprio alle relazioni umane, alle connessioni, che sono state trascurate».
In questo momento sembra un augurio un po’ utopico.
«È vero, oggi siamo in una posizione pessima, la guerra sembra l’unica risposta possibile, senza andare nei dettagli, vediamo che i conflitti sono ovunque nel mondo. Si pensa che il modo per fare progressi sia nel darsi battaglie e invece non è così».
Come si progredisce ?
«Le più importanti scoperte scientifiche sono arrivate nei periodi di pace. Vorrei che i conflitti non fossero una chiave di progresso, ma so che questo può apparire effettivamente utopistico. Siamo in una situazione veramente intricata, da una parte c’è l’egemonia americana, dall’altra c’è quella cinese, poi c’è l’asse di Brics, insomma è un equilibrio molto fragile, in cui, se le cose vanno così, assisteremo, nei prossimi cinque anni, a molte più guerre di quelle avute finora».
Cosa significa per lei essere regista?
«Prima di tutto fare un mestiere che non mi obbliga a svegliarmi presto la mattina. Poi, come ho appreso da quando ho iniziato a studiare cinema, significa stare al centro del processo creativo, acquisire una posizione dominante. I film sono fondamentalmente sequenze di vite non vissute e non viste, l’unico che le conosce tutte è il regista e questo mi è sempre piaciuto moltissimo. Sono grato al neorealismo italiano, alla poetica francese, e al cinema sovietico che mi hanno insegnato cos’è la creazione cinematografica, dalla prima all’ultima pagina. Per me tutto questo rappresenta quasi una missione religiosa, un film viene fuori da un’idea che sta nella testa di una persona, è il frutto di quella mente. Per ogni film che ho girato, ho combattuto come se stessi lottando per la mia sopravvivenza».
Qual è l’incontro più importante della sua vita?
«Quello con mia moglie, con cui siamo ancora insieme. Non ho ancora scoperto il significato di questo segreto, di questo sentimento che ci ha unito, dovrei andare indietro, nel passato, per capire la ragione di questa perpetua attrazione. Sicuramente è l’amore, ma non saprei spiegare bene perché produce tutto questo».
A che cosa sta lavorando ?
«Sto preparando un “trittico russo”, cioè tre film che parleranno di grandi maestri della letteratura russa, uno dedicato a Dostojevskij, un altro a Tolstoj. Voglio dedicare il resto della mia vita a dimostrare l’importanza di una cultura che per me ha avuto un valore fondamentale, perché rappresenta il senso delle radici slave e della mia ispirazione».
Saranno biopic oppure trasposizioni di romanzi?
«Saranno racconti adattati per il grande schermo, attraverso la mia interpretazione. Quindi non semplici illustrazioni di storie. L’idea è adattarli al sentire contemporaneo, ai fatti che accadono oggi. Sto cercando similitudini, per esempio come potrebbe essere raccontato oggi Delitto e castigo».
Perché la letteratura russa è per lei così importante?
«Fin dall’inizio della mia carriera ho sentito di essere influenzato soprattutto da due elementi, la cultura mediterranea e la letteratura russa dell’800 e poi del 900. È come se avessi voluto combinare due autori all’opposto come Fellini e Tarkovskij. Una cosa completamente impossibile, come mettere insieme l’heavy metal con 24mila baci. Ma, nel posto da dove vengo, in cui sono cresciuto, i miracoli esistono. Ho sempre cercato di realizzare l’impossibile, e ci sto provando anche stavolta».
Parlare di Russia oggi è come camminare su un territorio minato.
«La cultura russa fa parte della cultura europea, non si può smettere di pensarlo. È impossibile escluderla dal nostro sviluppo, non lo dico per contrappormi a qualcosa o qualcuno, ma ignorare questo contributo enorme sarebbe assurdo, anche se oggi c’è la guerra. Se non si riparte dal passato, non si costruisce il futuro».
Se guarda indietro, quanto si sente cambiato?
«Non sono cambiato, sono ancora molto umile, molto simile a quando sono apparso in scena per la prima volta, mi interessa ancora conservare la mia autonomia di pensiero. Ero a favore del mio Paese, la Jugolslavia, negli Anni 90, così come ora sono contro l’espansione della Nato e il moltiplicarsi delle battaglie che sembrano, purtroppo, sempre più inevitabili».