Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  giugno 29 Domenica calendario

Dopo 2 secoli il debito può dare “interessi”

Come sarebbe Haiti, oggi, se la Francia non l’avesse costretta, duecento anni fa, a pagare cara la sua indipendenza? È la domanda all’origine del dibattito sulla drammatica povertà che attanaglia l’isola da generazioni e sull’idea, difficile ma non impossibile da percorrere, di tentare una causa legale per ottenere da Parigi un “risarcimento” per i danni permanenti causati da quel maltorto: 150 milioni di franchi, l’equivalente odierno di circa 100 miliardi di dollari.
L’economista italiano Ugo Panizza, professore di economia internazionale al Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra, fa parte di un gruppo di ricercatori che ha provato a sviscerare il problema alla ricerca di risposte. «Secondo le nostre stime econometriche – spiega il docente – Haiti avrebbe potuto avere oggi un reddito pro capite simile a quello della vicina Repubblica Dominicana. Ma l’effetto del debito contratto per pagare il prezzo imposto dalla Francia in cambio della libertà è stato devastante. La ricchezza degli haitiani, oggi, è appena un quinto di quella dei dominicani». Haiti, lo ricordiamo, è tra i Paesi più poveri del mondo con un reddito procapite annuale che secondo i dati 2023 della Banca mondiale supera di poco i 1.600 dollari. La ricerca di Panizza è parte di uno studio più ampio, realizzato nel 2021 in collaborazione con la Libera Università di Bruxelles, l’Università della Virginia e l’Università del North Carolina (Chapel Hill), che analizza il costo dell’indipendenza di Haiti nell’ambito della dottrina del cosiddetto “debito odioso”.
Una teoria formulata nel 1927 dal giurista di origine russa Alexander Sack secondo cui un debito è «detestabile», quindi legalmente nullo, se contratto da un regime dispotico, contro gli interessi della popolazione chiamata a pagarlo e nella piena consapevolezza dei creditori dei danni che può causare.
È un principio simile a quelli a cui fanno appello i richiami alla cancellazione del debito dei Paesi poveri. Panizza spiega: «è un concetto legale che però non è mai stato adottato nel diritto internazionale perché molto scivoloso». Il problema principale è tradurre in certezza di diritto contenziosi, come quelli di retaggio coloniale, influenzati dalla storia e dalla politica. Questo è uno dei motivi per cui la riparazione del debito di Haiti fatica ad approdare nelle aule di un tribunale internazionale.
Mitu Gulati, docente di diritto internazionale all’Università della Virginia e co-autore della ricerca, sottolinea: «È difficilissimo pensare di tentare un’azione legale ma non impossibile». L’esperto ha intervistato gli avvocati incaricati nel 2003, dall’allora presidente haitiano, il controverso Jean-Bertrand Aristide, di verificare la fattibilità di una causa contro Parigi per ottenere un risarcimento per il debito d’indipendenza e racconta di aver percepito da parte loro «un discreto grado di fiducia» sulle possibilità di successo.
Pochi mesi dopo, però, arrivò il colpo di stato che depose il governo di Aristide e svuotò l’ambizione del contenzioso. Perché, ci si chiede, non tornare a parlarne? Gunther Handl, docente di diritto internazionale pubblico alla Tulane University di New Orleans, era tra i consulenti del governo di Port-au-Prince più convinti sulle possibilità di successo dell’impresa.
A suo dire, così spiegava in un podcast, il trattato con cui, nel 1825, i francesi concessero l’indipendenza ad Haiti in cambio di una sproporzionata somma di denaro può essere dichiarato nullo perché, avendo avuto l’effetto di rischiavizzazione dell’isola, era contrario ai richiami all’abolizione della schiavitù arrivati pochi anni prima dal Congresso di Vienna e agli stessi impegni che la Francia aveva preso in tal senso in altri consessi diplomatici. «Gli argomenti legali ci sono – insisteva – ma vanno valorizzati dall’azione politica e dalla pressione diplomatica».
L’esperto, in sostanza, ipotizzava il fatto che Haiti potesse avere giustizia anche a distanza di due secoli. Anche perché, dettaglio non secondario, i reati contro i principi del diritto naturale non vanno in prescrizione.