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 2025  giugno 29 Domenica calendario

La sfida: il memoriale di Navalny al freddo confine russo-norvegese

Il sole di mezzanotte sfiora il Mare di Barents per rimbalzare nel cielo del nuovo giorno, proprio dove Norvegia e Russia condividono il punto più settentrionale dei 196 chilometri di frontiera che le separa.
Aggregati come osservatori a una delegazione dell’esercito norvegese, siamo partiti da Kirkenes, assonnata cittadina incastonata tra fiordi e montagne ancora innevate, per dirigerci dapprima verso nord, fino a Grense Jakobselv, un villaggio dominato da una cappella luterana costruita nel 1869 per marcare la parte norvegese del confine e dedicata a re Oscar II. Poi a sud, sino a raggiungere a Treriksrøysa, nel parco nazionale di Pasvik-Inari, dove un cippo segna il triplice confine tra Norvegia, Russia e Finlandia. Duecento chilometri di confine condiviso da barriere fatte principalmente da laghi ancora ghiacciati e da fiumi le cui sponde opposte a volte si restringono sino a pochi metri. Le regole, per chi percorre il lato norvegese sono chiare: vietato fotografare il versante russo nel caso questo sia presidiato da pattuglie, ma soprattutto, vietato urinare verso la Russia.
«Una forma di rispetto verso un Paese di cui non condividiamo le scelte politiche, ma con cui abbiamo condiviso sino al 2022 grandi prospettive», dice il tenente che ci accompagna, aggiungendo che il cartello è stato messo dopo che qualche turista è stato scoperto mentre liberava la sua vescica nel fiume Jacobselva: «Cerchiamo di evitare ogni provocazione».
Nel mezzo, tra Grense Jakobselv e Pasvik, si apre l’unico valico di frontiera tra Norvegia e Russia, quello di Storskog, a 12 chilometri da Kirkenes. Prima dell’invasione russa in Ucraina, quasi mille persone al giorno passavano le sbarre di Storskog, oggi sono quasi perennemente abbassate dopo che, nel maggio 2024, la Norvegia ha chiuso il valico al turismo. I passaggi quotidiani sono una decina: «Russi naturalizzati norvegesi che tornano a trovare le famiglie e membri del consolato russo di Kirkenes» racconta un impiegato della dogana.
Il minuscolo consolato russo di Kirkenes di cui parla il funzionario è un bell’edificio a pochi metri dal municipio cittadino. Sebbene sia ancora ufficialmente aperto, le sue funzioni sono di fatto sospese «e nessuno sa cosa accada lì dentro» suggerisce con un compiaciuto piglio da Intrigo internazionale, John, un inglese che lavora per la Booking Kirkenes, una compagnia norvegese che gestisce escursioni in tutta l’area. In realtà Mosca vuole tenere in vita un simbolo di cooperazione con il Finnmark, regione storicamente ed economicamente importante per la Carelia. Nei cantieri navali Kimek si rimettono in sesto i pescherecci russi e il commercio transfrontaliero, sebbene oggi sia stato azzerato, garantiva ottimi guadagni all’economia russa di Murmansk. Quello che colpisce, tuttavia, non è tanto l’edificio in sé, quanto il silenzioso e potente atto di protesta che si svolge quotidianamente davanti ad esso. Gli abitanti di Kirkenes hanno trasformato lo spazio antistante il consolato in un memoriale spontaneo per Alexeij Navalny. Fotografie del dissidente russo contornate da fiori, sono esposte con regolarità. È un gesto semplice ma carico di significato, un modo per gli abitanti di questa remota cittadina di esprimere la loro solidarietà con la causa della democrazia e del dissenso, e di ribadire la loro condanna all’oppressione. Proprio mentre osserviamo la foto, una coppia di circa vent’anni, depone frettolosamente un mazzo di fiori: «Non possiamo fare molto altro – sussurra la ragazza – ma possiamo far sentire la nostra voce, anche qui, alla fine del mondo». Poco distante, su una collina al centro di Kirkenes, la statua che ricorda la liberazione sovietica del Finnmark dall’occupazione nazista è stata motivo di attrito tra il sindaco di Kirkenes, Magnus Mæland e il console russo Nikolai Konygin sin dal 2023, quando il 9 maggio fece un discorso in difesa dell’invasione russa in Ucraina.
Accanto staziona un pulmino dipinto con i colori della bandiera ucraina e le scritte «Stop the War, Stop Russia, Stop Putin». Appartiene a una famiglia, la cui giovane mamma e la figlia di 4 anni giocano nel giardinetto antistante: «La Norvegia ci ha accolto a braccia aperte e tutti a Kirkenes continuano a mostrarci il loro appoggio morale. Per noi è molto importante». La prospettiva raccolta lungo i villaggi lungo il confine sulla Russia è quasi unanimemente chiara: un netto rifiuto della politica di Putin e un forte sostegno alle restrizioni imposte contro la Russia. In un piccolo caffè a Skogfoss, sul fiume Pasvikelva, due avventori e la proprietaria raccontano la loro delusione per la deriva degli eventi. «Eravamo vicini», dicono indicando la Russia a pochi metri di distanza, «avevamo scambi, amicizie. Ora, tutto è bloccato. E per cosa? Per la follia di un uomo».
A Kirkenes, all’entrata della chiesa nota per il suo sostegno al festival Barents Pride della comunità Lgbt, un cartello scritto a mano accoglie i fedeli: «Frieden betyr håp», «la pace significa speranza». Robert, che ha lavorato per diversi anni con le Nazioni Unite in Africa e in Medio Oriente, spiega che «Sappiamo cosa significa la libertà. E non possiamo accettare che qualcuno la calpesti».
Alla fine del viaggio, non è quindi una sorpresa sentire Bjarge Schwenke Fors, direttore del Barents Institute, affermare chiaramente che «è giunto il momento di reinventare un’identità locale meno legata alle relazioni transfrontaliere e meno alla Russia, al fine di contrastare la svolta autoritaria in atto nel Paese, con il crollo della società civile».