il Fatto Quotidiano, 29 giugno 2025
La Repubblica fondata sui dossier: dal Sifar alle schede di Pompa
L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul dossieraggio. Lo ripetono i vecchi volponi cinici della politica e dell’intelligence, che si palleggiano con noncuranza la citazione di Norberto Bobbio: “Il potere è di per sé segreto. Il controllo degli altri senza essere controllati è sempre stato un fine più che un mezzo del potere”. L’ultima storia d’ombra è quella dei giovani poliziotti che tenevano sotto controllo gli studenti di Cambiare Rotta e i militanti di Potere al popolo. Ancora in corso le indagini sul software spia Graphite, fornito all’Italia dalla società Paragon e utilizzato per spiare decine di persone, tra cui l’attivista della ong Mediterranea, Luca Casarini, il direttore della testata Fanpage, Francesco Cancellato, e il fondatore di Dagospia, Roberto D’Agostino.
Nella Prima Repubblica, lo spionaggio illegale era una consuetudine degli apparati riservati dello Stato, che avevano ereditato il know-how dell’Ovra, la polizia segreta del fascismo. La madre di tutti i dossieraggi è quella svolta dal generale Giovanni De Lorenzo, direttore del Sifar (il servizio segreto militare) dal 1955 al 1962. In quegli anni, l’agenzia produsse qualcosa come 157 mila fascicoli su cittadini italiani, parlamentari, sindacalisti, dirigenti di partito, industriali, intellettuali, vescovi, preti. Altri 40 mila fascicoli erano ordinati non per nome, ma per argomento. La commissione d’inchiesta appositamente costituita nel 1968 decretò che almeno 34 mila di quei fascicoli dovevano essere considerati del tutto illegali. Prima di allora, nel 1953, restò vittima dei dossieraggi l’astro nascente della Dc, Attilio Piccioni, che ebbe la carriera politica stroncata dallo scandalo Montesi, quello della ragazza trovata morta in una spiaggia dopo un festino molto allegro a cui aveva partecipato suo figlio. I dossier non erano solo degli apparati ufficiali dello Stato, ma anche di organizzazioni parallele come quelle messe in piedi da personaggi come Luigi Cavallo, Lando Dell’Amico, Mino Pecorelli e soprattutto Licio Gelli, con la sua loggia P2. Disseminato di dossier anche il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, come l’archivio segreto di Bettino Craxi trovato in via Boezio a Roma; il “dossier Achille” contro il magistrato di Mani pulite Antonio Di Pietro; l’archivio segreto del generale Demetrio Cogliandro, zeppo d’informazioni raccolte tra il 1984 e il 1991. Poteva mai una così consolidata tradizione italiana non passare anche alla Seconda Repubblica? Ed ecco infatti che nel 2006, quando i magistrati milanesi Armando Spataro e Ferdinando Pomarici, indagando sul sequestro dell’imam Abu Omar rapito nel 2003 a Milano da uomini della Cia, fanno perquisire un ufficio dei servizi segreti in via Nazionale a Roma, scoprono una mole di dossier illegali accumulati su magistrati, politici, intellettuali, giornalisti (in quei faldoni c’erano anche i nomi di chi oggi dirige il Fatto e di chi firma questo articolo). L’ufficio di via Nazionale era il regno di Pio Pompa, detto “shadow”, l’ombra di Nicolò Pollari, allora direttore del Sismi. Pompa si era dato l’incarico di catalogare gli oppositori dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Con l’obiettivo di “disarticolare”, anche con “azioni traumatiche” (notate il linguaggio Br), i “nemici” del capo del governo. Più concretamente, teneva contatti assidui con una sua rete di giornalisti, tra cui Luca Fazzo, Claudia Fusani, Stefano Cingolani, Oscar Giannino. E Renato Farina, l’“agente Betulla” remunerato con almeno 30 mila euro per le informazioni che passava a Pompa. “Shadow” riceveva ma anche dava notizie, soffiava informazioni, diffondeva dossier (a volte farlocchi, come quello del Nigergate, sull’uranio che il Niger avrebbe passato a Saddam Hussein per fabbricare in Iraq le sue “armi di distruzione di massa”: un grande classico della guerra psicologica).
Marco Mancini, braccio operativo di Pollari, era grande amico di un ex collega, Giuliano Tavaroli, che da ex carabiniere era diventato capo della sicurezza di Telecom-Pirelli, dove aveva messo in piedi un ottimo servizio informativo, con relazioni riservate e dossier, a disposizione dell’azienda e dei suoi capi, in un fruttuoso scambio – almeno secondo i magistrati – con il Sismi dell’amico Mancini. Così va il mondo, ripetono i cinici, che guardano con sufficienza anche i più recenti dossier fabbricati da Equalize, l’agenzia milanese privata, concorrente del gruppo romano chiamato “squadra Fiore”, che offriva servizi molto riservati a chi poteva pagarli bene, comprese multinazionali come Heineken ed Eni. Citano Bobbio: “Gli arcana imperii hanno fatto la storia, anche la nostra unità, da Cavour a oggi”.