Specchio, 29 giugno 2025
Un’enciclopedia di sette miliardi di vocali al giorno
«Ti racconto com’è andato il mio weekend a Barcellona con il tizio che ho conosciuto in palestra…» non è solo un messaggio vocale tra amici, ma l’incipit di un piccolo romanzo orale.
Niente a che fare con la letteratura, beninteso. Un bizzarro congegno narrativo fatto di esitazioni, risate, sospiri, lamentele: tutto ciò che la scrittura piatta dei messaggi testuali non riesce a restituire. Ogni vocale è un frammento di realtà, un pezzetto di autobiografia condivisa che scivola via nella cronologia delle nostre chat, ma che nel momento dell’ascolto diventa una confessione, una richiesta di attenzione, l’espressione di un bisogno di vicinanza.
Tributo alla scienza
L’Università svizzera di Neuchâtel ha deciso di studiare il fenomeno dei messaggi vocali in modo sistematico, lanciando un progetto di ricerca linguistica intitolato “Give your voice to science”. Gli studiosi hanno raccolto e analizzato 1.600 messaggi vocali provenienti dalla Svizzera francese, nel tentativo di decifrare la grammatica emotiva e sociale che si cela dietro ogni audio. Ne emerge un sorprendente ritratto della società contemporanea, fatto di sfoghi sul lavoro, resoconti amorosi, battute improvvisate e analisi psicologiche fai-da-te. Insomma, una vera e propria enciclopedia sentimentale del nostro tempo.
Diari collettivi
Sono lontani i tempi in cui era il diario segreto a custodire i nostri pensieri più intimi, oggi basta un tasto premuto su WhatsApp per riversare emozioni, chiacchiere e confessioni direttamente nella memoria digitale dei nostri interlocutori. Il messaggio vocale è diventato, forse senza che ce ne accorgessimo, uno strumento di auto-narrazione quotidiana: una forma di racconto orale che unisce immediatezza e intimità, e che risponde a un bisogno profondo, quello di essere ascoltati.
Un lungo flusso tranquillo
Il fenomeno esploso con WhatsApp nel 2013 e poi dilagato su Instagram, Messenger e Snapchat, spopola soprattutto tra la Generazione Z. Instagram ha da poco annunciato l’estensione della durata dei messaggi vocali da 59 secondi a 5 minuti, a dimostrazione dell’importanza che ha assunto nelle nostre vite questo modo di comunicare.
La dittatura del testo
E se nel 2022 WhatsApp dichiarava che ogni giorno venivano inviati sette miliardi di vocali nel mondo, ci si può legittimamente chiedere quanti di questi contengano davvero qualcosa che non si poteva scrivere e che, comunque, valeva la pena incidere. Ironia a parte, il messaggio vocale è un sintomo interessante del nostro tempo. Un tempo in cui vogliamo comunicare subito, ovunque, ma con il minimo sforzo possibile e in cui la voce torna protagonista, dopo anni di dittatura del testo scritto (anche se spesso con una certa libertà grammaticale).
Amore e odio
Certo, c’è chi li ama e chi li odia, chi li ascolta per non perdere l’amicizia e chi addirittura ritiene che ti rendano una persona peggiore.
Come conferma un’indagine condotta in Francia su oltre 1.500 persone: i francesi inviano e ricevono in media 3,7 messaggi vocali al giorno. La cifra cresce vertiginosamente nella Gen Z, dove quasi 1 su 5 ne scambia più di dieci al giorno. Ma non è solo una questione generazionale: dietro l’uso smodato dei vocali si nasconde una verità scomoda e, per certi versi, universale. Il 33 per cento degli intervistati confessa che la motivazione principale è la pigrizia.
Sforzo ed espressività
Ma c’è di più. Questi vocali sono anche il sintomo di un’epoca ossessionata dal debriefing costante: raccontiamo, registriamo, inviamo per processare ciò che ci succede, quasi che la condivisione – anche asincrona – possa renderlo reale.
Il vocale è diventato dunque un manifesto della comunicazione contemporanea: meno sforzo, più espressività. Secondo il 39 per cento degli intervistati permette di spiegare meglio e di farlo con tono, pausa, sospiri e risate.
Al di là delle preferenze personali, però, resta un punto fermo: il vocale non è una scelta comunicativa neutra, perché cambia il ritmo della conversazione, il tipo di attenzione richiesta, persino il tempo di reazione. E se molti lo usano con disinvoltura, altri lo subiscono in silenzio.
Le irruzioni
Il 50% degli intervistati ha confessato che i vocali sono spesso inascoltabili. Non in senso figurato, proprio letteralmente. Già, perché se è facile inviare un vocale da un marciapiede affollato, non lo è ascoltarlo in una sala d’attesa, in ufficio o in treno: troppo intimi, troppo invasivi, spesso troppo prolissi. Richiedono cuffie, attenzione e, talvolta, anche coraggio. Perché non sai mai se riceverai una semplice comunicazione di servizio o un flusso di coscienza da tre minuti e mezzo su cosa mangiare a cena. O a volte, rivelazioni sgradite.
I tempi medi
E poi, appunto, c’è la durata. La soglia di sopportazione media? Secondo lo studio, 41 secondi. Ma chi invia vocali sarà consapevole che questo limite esiste? Difficile dirlo. Nel senso che il rispetto di questa misura pare più un auspicio che una prassi consolidata.
La cosa interessante è che i vocali sono preferiti soprattutto quando non c’è molto di preciso da dire. Quando si tratta di dare un numero di telefono o un indirizzo, la maggioranza (rispettivamente il 43 per cento e il 41 per cento) preferisce il messaggio di testo che si può copiare, non si deve riascoltare tre volte. Anche la pigrizia, in fondo, ha i suoi limiti.