Corriere della Sera, 29 giugno 2025
«Telefoni in cella in cambio di soldi». Sotto inchiesta 6 agenti e 27 detenuti
Entrava di tutto nel carcere colabrodo della Dogaia. Cellulari di ultima generazione e droga. Schede telefoniche con intestatari fittizi, microtelefoni, smartwatch e persino un router per collegarsi a internet.
Dopo un anno di indagini sotterranee la Procura di Prato guidata da Luca Tescaroli ieri all’alba ha fatto scattare un blitz senza precedenti che ha visto l’impiego di oltre 300 uomini tra agenti della penitenziaria (compreso il Gom, il gruppo che si occupa dei detenuti sottoposti al 41 bis), polizia, carabinieri e Guardia di finanza. Perquisizioni a tappeto nelle celle con l’aiuto dei cani antidroga, mentre all’esterno le forze dell’ordine schierate in assetto antisommossa erano pronte ad intervenire in caso di necessità.
Nell’occhio del ciclone sono finiti i reparti alta sicurezza, con i suoi 111 detenuti, quasi tutti dentro per reati di mafia, e media sicurezza. Sono stati 127 quelli perquisiti, 27 gli indagati. Telefoni e schede arrivavano anche con i palloni lanciati dall’esterno o con le fionde. Venivano poi nascosti in doppi fondi creati nelle pentole, nei frigoriferi, nei sanitari del bagno, sotto i wc, nei piedi dei tavoli o nei muri delle celle dove venivano create intercapedini poi chiuse con la calce (ieri sono stati trovati tutti gli arnesi da lavoro). In molti casi gli oggetti proibiti riuscivano a varcare i cancelli del carcere anche con i pacchi spediti dai familiari. Pacchi che, a quanto pare, non venivano controllati nell’apposito ufficio (dove è risultato non funzionare il laser scanner). Anche la droga arrivava con lo stesso sistema: dentro le suole delle scarpe, tra i biscotti, dentro il ragù o nella confezione di datteri.
Sotto indagine sei agenti della polizia penitenziaria accusati di corruzione. Avrebbero preso soldi dai detenuti per fare passare i telefoni e avrebbero anche fatto finta di non vederli mentre parlavano al telefono. Mille euro a cellulare il prezzo della corruzione. Duemila negli ultimi mesi, con grande rabbia dei detenuti, secondo quanto emerso dalle conversazioni. Nell’arco di un anno la polizia penitenziaria ha sequestrato 34 telefoni, ai quali vanno aggiunti i cinque trovati ieri.
È stato un colloquio captato all’interno del carcere tra un detenuto siciliano dell’alta sicurezza e il figlio a dare il via alle indagini. «Qua possiamo telefonare tranquillamente, le guardie sono a libro paga – aveva confidato l’uomo certo di non essere ascoltato – siamo liberi anche tre o quattro ore». Grazie a un’apparecchiatura che consente di intercettare il traffico telefonico gli inquirenti sono riusciti a fare il censimento dei cellulari clandestini che si trovavano nelle celle e a scoprire decine di utenze con intestazioni fittizie, tutte acquistate in negozi di telefonia tra Roma e Napoli. Hanno scoperto che i telefoni erano quasi tutti utilizzati in modalità «citofono» per contattare quasi esclusivamente i familiari. Lo scorso 11 gennaio è scattato il primo tempo dell’operazione: sono stati perquisiti 104 detenuti dell’alta sicurezza e in un solo giorno sono saltati fuori 10 smartphone.
Tra gli indagati c’è anche un’addetta alle pulizie nell’infermeria del carcere sorpresa con due dosi di cocaina nascoste in un pacchetto di sigarette. A casa sua, nel corso di una perquisizione, hanno trovato un piccolo telefono cellulare nuovo e le confezioni di alcune schede sim acquistate in un negozio di Roma che risultano associate a utenze di cittadini del Bangladesh. Si indaga per scoprire i contatti che la donna aveva all’interno del carcere e con alcuni familiari di detenuti.
Nel carcere di Prato è anche detenuto Vasile Frumuzache, il rumeno che poche settimane fa ha confessato di avere ucciso, a distanza di un anno una dall’altra, le escort Denisa e Ana Maria. Tra gli indagati ci sono anche i tre della penitenziaria che erano in servizio il 6 giugno scorso quando Frumuzache, entrato in carcere, venne aggredito da un detenuto, cugino di una delle escort, che gli lanciò olio bollente e zucchero sul viso. Si tratta di un agente e due viceispettori accusati di rifiuto di atti d’ufficio e lesioni colpose perché, nonostante le direttive del procuratore Tescaroli al comandante del carcere, non sarebbero stati in grado di garantire la sicurezza dell’uomo.