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 2025  giugno 28 Sabato calendario

Fabio Concato: “Che liti con Anna Oxa. Domenica bestiale? Non la sopporto più, appiccicata addosso”

Non lo si vede mai in tv, forse perché ormai i personaggi che girano sul piccolo schermo sono sempre gli stessi. Fabio Concato è da sempre un artista un po’ schivo: ha messo sempre avanti le canzoni, lasciando agli altri le preoccupazioni sul look o le regole sull’apparire. A 72 anni ha conservato la stessa ironia dei suoi anni d’oro, quelli di Domenica bestiale e di Fiore di maggio, e la stessa voglia di suonare per il suo pubblico: tra i suoi appuntamenti estivi c’è anche il Festival Jazz di La Spezia, il 19 luglio. «Sono legato al jazz, era la musica che ascoltava mio padre quando ero ragazzino, insieme alla bossa nova. Mi ha formato, ascolto ancora João Gilberto, ogni volta è come fosse la prima. Mio padre era musicista ma faceva il rappresentante, c’entrava poco con quel mondo e stava poco a casa. Lo amavo profondamente, era molto comico. Mi voleva accanto quando ascoltava musica, era un modo per stare con lui. Ho pensato spesso di fare un tour proprio su questo».

Lei fa ancora tanti concerti. La mancanza di apparizioni televisive è un danno?
«Sono 3 anni che ci do dentro di brutto. Non ho lavorato così nemmeno a 30 anni. Mi diverto come mai, ci sono dei pregi nell’invecchiare, mi sto godendo di più alcuni aspetti del suonare dal vivo. Non so se la tv sia irrilevante, ma questa mia attività piace alle persone che mi vogliono bene. Qualcuno dice “potresti farti vedere di più”, ma faccio solo quello che mi sento addosso. Andare da Bollani per me è divertimento, se vado da Massini imparo tante cose. Credo che la gente se ne accorga. Faccio concerti, sono gli spazi adatti per me».
Che tipo di pubblico trova in platea?
«C’è una fascia definita, che va dai 50 ai 70 anni, e poi c’è una parte di pubblico diversa, più giovane. Nessuno si aspetta che io faccia battute ma mi piace scendere in platea, mi piace quel tipo di rapporto con la gente, l’abbraccio, la foto. A volte è un pubblico indefinibile, tanti ragazzi davanti al mio stupore di vederli lì mi dicono “ci sono tanti tipi di musica”».
Lei uno dei rappresentati più significativi della cultura cantautorale. Secondo lei a che punto è oggi?
«Mi sembra che qualcuno tenti di avvicinarsi all’armonia e alla melodia, che ci siano progressi, ma siamo ancora abbastanza lontani. Ho fiducia che le cose cambino, oggi si ascolta più musica. Considero ancora giovani cantautori Niccolò Fabi, Samuele Bersani, artisti che hanno un marchio, che non confondi con nessuno quando accendi la radio. Però la scena non è più così piatta, qualcuno ci prova. Non ci resta che sperare, visto anche tutto quello che ci accade intorno. Davvero non ne posso più, non solo delle guerre, ma anche di tutte le notizie tremende che ascoltiamo, le cronache nere. Bisogna cercare un po’ di contenere. Solo gli aridi possono vivere bene in un periodo così”.
Il suo primo successo fu “A Dean Martin”, una parodia del divo del cinema americano.
“Quella canzone è nata durante una serata tra amici. Abbiamo iniziato a parlare di musica americana, scherzavamo sul rat pack (Sinatra, Sammy Davis, Dean Martin e Peter Lawford e Jeoy Bishop, ndr), bevendo un po’. Poi a casa ho fatto un po’ di riflessioni. Volevo prendere in giro uno di quei personaggi così famosi, uno di quegli sciupafemmine. Una piccola vendetta. Se non fosse stato per Arbore che lo programmava non sarebbe successo nulla. Ma era l’unica cosa divertente in un disco cupissimo. Un giornalista mi disse “secondo me, Tenco rispetto a te raccontava barzellette”. Tra l’altro la sto riproponendo nei live e quelli che se la ricordano sono molto contenti».

Ha raccontato che “Domenica bestiale” è un po’ costretto a farla perché la gente la vuole. Come è nata quella canzone?
«Ero innamorato pazzo di mia moglie, l’ho scritta in 25 minuti: la forza dell’amore. Poi incontrai Gino Paoli a Bologna, che mi disse “farà la fine di Sapore di sale, non te libererai più”. Per lui era scontato, in effetti aveva ragione. A un certo punto non ne potevo più di cantarla, me ne ero un po’ allontanato. Però una volta, uscendo da un teatro, una persona mi disse “io avrei pagato anche solo per sentire quella”. Mi ha fatto riflettere».

Anche “Fiore di maggio” è diventata un classico.
«Succede spesso che quando arriva il primo figlio, anzi figlia, si finisca per scriverne qualcosa perché si è particolarmente ispirati. Carlotta ora ha 42 anni. Il ricordo è quello di una grande gioia, mi sembrava che tutto andasse benissimo, eravamo felici. C’era ancora tanto da fare, ma costruire il futuro con una bimba è diverso. Avevo una forza diversa, come quella che ho oggi verso la mia nipotina».
Nel 2004 fu protagonista con Anna Oxa del Viceversa tour: grandi successi e liti tremende.
«Lei è molto brava ma il problema era la scarsa comunicazione. È stato tutto molto difficile, ero convinto che fosse diversa, anche lei forse lo pensava di me. Ho cercato di mettere una pezza perché volevo portare a casa il tour: lo spettacolo era bello, forte, piaceva molto alle varie tifoserie, all’inizio eravamo titubanti. Non abbiamo dato seguito, si pensava di fare un dvd col meglio, ma fummo costretti a rinunciare perché c’erano troppi conflitti».
Ci sono colleghi ai quali, invece, è rimasto particolarmente legato?
«Mi vengono in mente, per primi, Lucio Dalla e a Pino Daniele. Avrei voluto fare molto di più con loro, ma un po’ ci hanno frenato le distanze. Con Lucio feci una versione live di 051, riascoltarla fa male al cuore, lui canta in una maniera meravigliosamente triste. Ho un buonissimo ricordo di Bersani, lo amo molto, con cui ho cantato Gigi, che era il nome di mio padre. Con Branduardi cantammo in tv 051, la fece in un modo tutto suo ma fu bellissimo. I tecnici ci applaudirono per l’emozione. Poi ricordo con grande piacere Bertoli, Toquinho».
Lei è stato stato uno dei primi a scrivere una canzone per Telefono azzurro, “051/222525”, anticipando un tema che negli anni è diventato sempre più drammatico.
«Quel brano è nato in modo banale: ero fermo in auto a Milano causa cantieri, ho visto un manifesto gigante di Telefono azzurro, piazzato tra profumi e collant, con l’immagine di un bambino vittima di violenze. Mi sembrava fuori posto quel faccino martoriato. Ho cominciato a riflettere. Non ho scritto subito, ci ho messo qualche settimana a elaborare. Sono andato nella sede di Telefono azzurro, mi piace ancora adesso che mi tengano aggiornato. Avevo capito che era una cosa grave, che avrebbe avuto uno sviluppo drammatico, complicato».
Cosa si può fare per provare a risolvere il problema?
«Si può provare a insegnare dalle scuole primarie l’educazione sentimentale, a spiegare l’amore, il sesso, il rispetto. Non credo a strumenti coercitivi, ci vuole coscienza, dobbiamo crearla dove non c’è. Non è una cosa facile, però ci si può arrivare, bisogna iniziare fin da piccoli».
Hai qualche rimpianto?
"Credo di sì. Anche a livello di collaborazioni. Non me le sono andate a cercare, mi sono capitate, però dovevo essere più attivo, mi sono perso delle cose. Dovevo avere più voglia di stare con i miei colleghi, anche se sono un solitario. Credo di aver perso qualche treno, anche se sono contento di quello che ho fatto. Ma già il fatto che riempio ancora i teatri, che la gente viene a sentirmi è un grande successo per me”.