Avvenire, 28 giugno 2025
I giovanissimi e le relazioni «oppressive» La maggioranza ne ha avuta almeno una
Un giovane su due ha avuto almeno una relazione oppressiva nella propria vita, percentuale che nella fascia 18-24 anni diventa addirittura maggioritaria, raggiungendo quota 56%. È quanto hanno dichiarato i giovani tra i 18 e i 34, interpellati dal Consiglio Nazionale dei Giovani, con il supporto tecnico dell’Istituto Piepoli. «Abbiamo voluto ascoltare i giovani per sapere cosa pensano dell’amore, come lo vivono, quali paure, pressioni, aspettative condizionano le loro relazioni. Perché è lì, tra le pieghe dell’intimità quotidiana, che si annidano gli squilibri di potere, le insicurezze, le prime forme di abuso psicologico», ci spiega Maria Cristina Pisani, presidente del Consiglio Nazionale dei Giovani (Cng) che ha condiviso in anteprima con Avvenire i dati di quest’ultima rilevazione.
Non solo molti giovani adulti under 34 hanno sperimentato rapporti tossici, ma ancora troppi, il 15% di quelli ascoltati, dichiara di trovarsi tuttora in una relazione con un partner geloso e in parte oppressivo. Un malessere diffuso che si riscontra anche nelle dichiarazioni di sei giovani su dieci per i quali in generale le relazioni sentimentali di oggi sono vissute con ansia: il dato più alto si registra tra i giovanissimi (63% nella fascia 18-24 anni) e le donne, dove coloro che hanno questa percezione sono il 69% a fronte del 48% rilevato invece tra i giovani uomini. «La sensazione diffusa di forme di ansia, soprattutto, nelle relazioni tra giovanissimi, è un campanello di allarme che non può essere ignorato – specifica Pisani –. Ed è per questo importante accompagnare i ragazzi e le ragazze nella crescita affettiva e relazionale e a non ignorare la trasversalità della violenza che ha numerose sfaccettature e maschere, non è soltanto manifesta come quella fisica, ma può essere anche psicologica e verbale».
Eppure, a fronte di un’apparente capacità di riconoscere il dominio dell’ansia nelle relazioni degli altri, solo il 15% degli intervistati dice di percepire ansia nella propria relazione individuale: ossia un valore quattro volte inferiore rispetto a quando il focus si sposta sul piano collettivo e sull’osservazione del fenomeno. «I dati raccolti ci restituiscono un messaggio inequivocabile. Cresce la consapevolezza tra i giovani, ma persiste una profonda difficoltà nel riconoscere tempestivamente i segnali di una relazione tossica», commenta la presidente. Secondo il Consiglio, la forbice tra stati d’ansia percepiti individualmente e quelli a livello collettivo potrebbe indicare, infatti, una tendenza a minimizzare il disagio personale o una maggiore consapevolezza critica nei confronti delle relazioni osservate attorno a sé. A sostegno di questa tesi anche il dato su come reagiscono i ragazzi di fronte a queste problematiche. Oltre il 60% dichiara di aver “gestito” la relazione oppressiva parlandone con il partner, solo il 22% ha chiesto aiuto a un amico, mentre ben il 20% ha ignorato il problema. Ad accettarlo passivamente, però, sono meno le donne (il 14%) degli uomini (il 25%). «Colpisce in particolare il divario di genere nella percezione. Le ragazze avvertono maggiormente i segnali di una relazione ansiosa e manifestano maggiormente la capacità di saper chiedere aiuto», continua Pisani. Le donne, infatti, non solo tendono a ignorare di meno cosa sta succedendo, ma dimostrano anche maggiore capacità di chiedere aiuto: lo fa il 36% di loro rispetto al 10% dei coetanei maschi che si sono trovati in situazioni simili.
La diffusione di relazioni sentimentali segnate dal controllo e dall’ansia è un dato che non può certamente essere trascurato a fronte dell’allarmante numero di femminicidi che hanno segnato le cronache recenti: «Il fenomeno della violenza contro le donne continua a ripetersi perché non basta intervenire sull’emergenza. Occorre intervenire strutturalmente, risalire alle radici, alla cultura, ai modelli relazionali che iniziano a formarsi fin dall’adolescenza. È per questo che come Cng abbiamo scelto di promuovere un’indagine sulle relazioni sentimentali tra i ragazzi italiani. Per capire, ascoltare, prevenire». Conoscere questi meccanismi – si augura Pisani – può essere il primo passo per cambiarli, perché «la violenza non è un destino, ma l’esito estremo di un percorso fatto di disuguaglianze normalizzate, di stereotipi mai deco-struiti, di relazioni basate sul controllo e sul possesso anziché sul rispetto reciproco». Cambiare è urgente: «C’è una generazione che ha bisogno di nuovi strumenti per amare ed essere amata in modo sano. La lotta alla violenza comincia dalla scuola, dalla famiglia, dalle parole che scegliamo, dalle relazioni che costruiamo».