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 2025  giugno 28 Sabato calendario

Nel silenzio il debito stritola i Paesi fragili: il costo per gli interessi su del 10 per cento

In giornate in cui la comunità internazionale parla solo di armi e guerra e difesa, si fa sempre più assordante il silenzio che circonda il tema del finanziamento allo sviluppo, nonostante lunedì inizi a Siviglia una Conferenza Onu sul tema, a cui già si annuncia l’assenza degli Stati Uniti di Donald Trump. Pressoché ignorato anche da tutti i media, a New York l’agenzia Onu per lo sviluppo e il commercio (Unctad) ha diffuso giovedì il suo rapporto annuale con nuovi inquietanti dati sul debito globale e in particolare sulla situazione dei Paesi in via di sviluppo, le cui economie sono stritolate dagli interessi sui passivi dovuti a creditori privati, pubblici e multilaterali. In un solo anno, certifica il rapporto “Un mondo di debiti”, è cresciuto del 10%, a quota 921 miliardi di dollari, il totale degli interessi netti sul debito dei Paesi vulnerabili, chiamati a indebitarsi peraltro a tassi sempre più alti sul mercato globale del credito. In generale, il debito globale ha raggiunto quota 104mila miliardi di dollari (in crescita dai 97miliardi del 2023): un terzo di questo ammontare, 31mila miliardi, è il rosso dei Paesi in via sviluppo. Il ritmo a cui negli ultimi dieci anni il debito è cresciuto nei Paesi fragili è peraltro doppio rispetto a quello delle economie avanzate. Mentre nel mondo crollano gli aiuti – soprattutto quelli Usa legati al programma Usaid, ma diminuiscono anche quelli di diversi Paesi europei –, i Paesi fragili faticano ad aumentare le proprie entrate fiscali, da un lato per il carattere informale della gran parte delle loro economie, dall’altro per la mancanza di trasparenza e infrastrutture adeguate. Ormai, sottolinea l’Unctad nel suo rapporto, 3,4 miliardi di persone nel mondo (in crescita dai 3,3 miliardi di un anno fa) vivono in Stati costretti a spendere più in interessi sul debito che in salute o educazione. Si tratta di 61 Paesi, rispetto ai 54 di un anno fa. Il risultato è che l’accesso ai servizi di base resta un miraggio per una buona parte della popolazione globale. Una situazione che peraltro aumenta il malcontento delle comunità locali, con il risultato di scontri di piazza violenti, come si è visto ancora nei giorni scorsi in Kenya.

I Paesi in via di sviluppo hanno registrato inoltre un deflusso netto di risorse per il secondo anno consecutivo, rimborsando ai creditori esteri 25 miliardi di dollari in più per il servizio del debito rispetto a quanto ricevuto in nuove erogazioni,
con un conseguente trasferimento netto di risorse negativo. Agli Stati fragili, inoltre, il mercato del credito non fa sconti, tutt’altro. Percepiti come più “rischiosi”, senza gran potere negoziale alle spalle, i Paesi in via di sviluppo hanno visto schizzare in alto i rendimenti dei propri bond. Un titolo decennale africano rende in media il 9,8%, evidenzia l’Unctad, un titolo dell’America latina il 7,1%, un bond della regione Asia-Oceania il 5,5%, contro un 2,8% della media 2020-25 di un decennale Usa: significa, per gli Stati fragili, dover assicurare rendimenti maggiori ai creditori pur di avere denaro fresco con cui andare avanti.
Le ristrutturazioni dei debiti, in caso di mancato assolvimento da parte dei Paesi poveri, sono state caratterizzate negli ultimi anni da lunghezze e difficoltà negoziali, anche per un mercato del credito sempre più in mano ai privati, mentre i default sono già 14 in 9 Paesi diversi dal 2020 a oggi. Nei giorni scorsi la Commissione Giubilare vaticana che era stata nominata da papa Francesco ha lanciato un appello per la riforma dell’architettura finanziaria globale, che sia al servizio delle persone e del pianeta e che non punisca i più poveri in nome del profitto. Per raggiungere questo obiettivo, suggeriva la Commissione, occorre tra l’altro promuovere finanziamenti di sviluppo sostenibili, che favoriscano il raggiungimento di obiettivi economico-sociali di lungo termine con tassi agevo-lati, e migliorare le attuali politiche di ristrutturazione del debito, rendendole più tempestive e praticabili e basandole sulla crescita e non sulla semplice austerità.