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 2025  giugno 27 Venerdì calendario

Intervista a Serena Brancale

Serena Brancale: in quattro parole, un anno col botto. Sanremo, i concerti sold out, a “Belve” come ospite musicale fissa. Lo stacchetto di “Affari tuoi” è “Anima e core”. “Baccalà” e La zia, tormentoni soul e r&b in dialetto barese, vengono canticchiati anche in Corea. Il 7 luglio l’aspetta il Blue Note, tempio newyorkese del Jazz. Ce la fa a rimanere coi piedi per terra?
«A dire la verità, mentre le parlo non solo sto coi piedi per terra ma sto pure con le infradito… Sono a Molfetta, in serata salirò sul palco per Battiti live. Nel frattempo, mio padre fa avanti e indietro dalla piazza del Duomo insieme a un suo amico, perché ancora non ha capito bene se sono io a cantare Serenata o è se è il mio brano registrato che fa da sigla all’evento: è la seconda che ho detto, naturalmente (ride). Ieri, poi, grande relax: ho visto mia sorella e mi sono concessa un caffè e una bella chiacchierata con mia zia».

Dunque, sono la famiglia e la Puglia a non farla partire per la tangente.
«Al contrario, le mie radici mi hanno aiutato a non smettere di volare. A non farmi perdere la testa c’è la consapevolezza che la vita è fatta di up and down. Ora c’è il successo ma non è detto che resti per sempre. Però… mo’ me lo godo, e ci do dentro nel lavorare. Ha presente il momento di relax di cui parlavo prima? Non so da quanto tempo non me ne concedevo uno. Da Sanremo in poi sono finita in un frullatore».

Dieci anni fa, sempre a Sanremo, nelle Nuove proposte la mandarono a casa in quattro e quattr’otto. Il brano era “Galleggiare”, sofisticata canzone al profumo di jazz. Il refrain diceva “rimanere a galla”. E poi “aspettare, aspettare, aspettare”. Ha fatto così anche lei?
«No, ho concluso il corso di laurea al conservatorio, ho continuato a scrivere, suonare, sperimentare. Ed è morta la mia mamma, a 60 anni, all’improvviso, per un intervento sbagliato. Sono dovuta diventare grande per forza, capendo che nella musica non si può essere puristi a tutti i costi. Il jazz è bellissimo ma sono belle anche le contaminazioni, il mix di generi. La cosa che non è cambiata da quel Sanremo è la voglia di divertirmi. E canzoni come Baccalà e La zia sono figlie di questo. Baccalà è nata per caso grazie all’incontro con Dropkick_m e alla tecnica del finger drumming. L’abbiamo suonato in macchina, registrando il reel lì. Messo il video su TikTok, in tre ore tre milioni di visualizzazioni. Roba da non credere».

Anche lei è un mix di generi, se ci passa il termine: madre venezuelana e musicista, papà barese ex calciatore della Juve Stabia, della Salernitana e del Catanzaro di Carletto Mazzone.
«A Ceglie del Campo come a Carbonara, due quartieri di Bari, erano una sorta di coppia vip. Il terzino destro e l’artista. Mia madre arrivò piccolissima in Italia con i suoi genitori. Mio padre a un certo punto attaccò gli scarpini al chiodo e lei apri una scuola di musica. E a me e a mia sorella Nicole, che fa la pianista, ci ha fatto innamorare delle note sin da bambine».
A casa musica latino-americana come se piovesse…
“Mia madre cantava anche quando cucinava: orecchiette al ragù di braciola ma anche la “repa”, che è una frittella venezuelana di patate e riso. Era una donna poliedrica, esplosiva, un po’ “pazza” vista da fuori. Oddio… anche da dentro! (ride). Girava a casa con turbanti e tuniche. Mi ha insegnato a ballare la salsa, “il segreto è fare passi piccoli” diceva. Sapeva precorrere i tempi: organizzava concerti house a tema. Del tipo, duo di musicisti e ballerini di flamenco e paella per tutti”».
Chissà quanto sarebbe stata felice di vederla cantare “Anema e core” a Sanremo.
«Starebbe ancora al telefono con le amiche a parlare di me. Comunque, essendo competente, sapeva anche esser dura nei giudizi professionali. E non si fidava di nessuno, a parte il mio manager Carlo Avarello. Sono sicura che a vedermi sul palco del festival, bionda platino, coi capelli corti corti, mi avrebbe detto: “Ma che sei matta?!”».
Lei è polistrumentista e compositrice. È vero che la passione per il jazz gliel’ha trasmessa suo nonno?
“Ogni domenica nonno Michele mi portava con la sua Panda a Ceglie a comprare le mozzarelle e il pane caldo. E poi ci mangiavamo un gelatino. Nel tragitto ascoltavamo Ella Fitzgerald».
Invece le parolacce, che a volte utilizza nelle canzoni, le ha rubate a suo zio.
“Ah, zio Mimmo! Aveva una pompa di benzina e un modo tutto suo, quasi musicale, di infarcire i discorsi con frasi diciamo “colorite”. Vaffammok a li stramuort du mammt era un mantra».
Ad amore come stiamo messe?
“Sto con un pugile. Spartan, ovvero Dario Morello, che a maggio ha conquistando il titolo italiano dei pesi medi. È coccolone, colto, intelligente. Da ragazzino era obeso e veniva bullizzato. Ora voglio vedere chi ci prova… Se non facesse il pugile sarebbe un ottimo medico, secondo me».


Come vi siete conosciuti?
«Vuole una risposta romantica? Non c’è. Diciamo che è stato un incontro moderno: su Instagram. Una sua allieva è una mia fan. Siccome a lui piace cantare, lei gli ha parlato di me. Si è incuriosito, mi ha scritto e abbiamo cominciato ad “annusarci” via social. Più in là ci siamo visti. E ora siamo molto innamorati».

Non abbiamo parlato di lavoro. Invece il 7 luglio c’è il Blu note di New York che l’aspetta. Che concerto sarà?
«Sarà un omaggio alla mia Puglia, una serata in cui voglio essere felice senza preoccuparmi se l’inglese è perfetto oppure no. Farò un omaggio a Quincy Jones, scomparso da poco e che, via social, mi aveva inviato parole incredibili. Poi vediamo, la scaletta è in itinere. Spero ci sia la magia che si è creata a maggio al Blue Note di Shanghai, di Pechino e a Seul: un pubblico educato e preparatissimo. Dal 25 ottobre invece c’è il teatro Arcimboldi di Milano: lì mi piacerebbe coinvolgere di più chi mi conosce meglio come jazzista».
A proposito di Puglia: i conterranei preferiti?
«Checco Zalone, avvocato, fine musicista e comico straordinario. Renzo Arbore, un innovatore della radio e della tv, un foggiano ironico e scanzonato che ha portato la canzone napoletana nel mondo. Così come Domenico Modugno che ha scritto Resta cu mme e ha cantato tanti meravigliosi brani in siciliano. Non sono stati dei “duri e puri, anche loro hanno mischiato, generi, dialetti e talenti».
Una domanda “marzulliana”. Cosa è per lei la felicità?
«È vedere gli occhi di mio padre brillare quando la sera i concorrenti di “Affari Tuoi” scoprono i pacchi. E la cucina di casa, per qualche momento, si riempie di Anima e core…”